Maria Pasquinelli si diplomò maestra elementare e successivamente si laureò in pedagogia a Bergamo. Iscrittasi nel 1933 al Partito Nazionale Fascista, frequentò la scuola di mistica fascista.
La guerra[modifica | modifica sorgente]
Nel 1940 si arruolò volontaria crocerossina al seguito delle truppe italiane in Libia. Nel novembre 1941 lasciò l'ospedale di El Abiar (a 40 km da Bengasi), dove prestava servizio, per raggiungere la prima linea travestita da soldato con la testa rasata e documenti falsi; scoperta, fu riconsegnata ai suoi superiori e rimpatriata in Italia. Nel gennaio 1942 chiese di essere inviata come insegnante in Dalmazia e per qualche tempo insegnò l'italiano a Spalato, annessa all'Italia nel 1941 a seguito dell'occupazione italo-tedesca della Jugoslavia e incorporata nel Governatorato di Dalmazia.
L'attività in Istria e Dalmazia[modifica | modifica sorgente]
Dopo l'armistizio di Cassibile, il 12 settembre 1943 Spalato fu presa dai partigiani jugoslavi che disarmarono la Divisione Bergamo. Parte dei militari italiani costituì il battaglione Garibaldi che fu impiegato contro i tedeschi a Glis[1]. Nel contempo numerosi soldati e civili italiani furono imprigionati dai partigiani jugoslavi, altri furono uccisi,[2][3][4] nell'indifferenza del generale italiano Emilio Becuzzi,[3] tra i quali il provveditore agli studi Giovanni Soglian di cui la Pasquinelli era la segretaria e diversi insegnanti[2]. La stessa Pasquinelli fu imprigionata dai partigiani comunisti jugoslavi e condannata a morte,[5] finché fu liberata dalle avanguardie tedesche che occuparono la città[6] il 27 settembre. A Spalato aiutò a recuperare da una fossa comune le salme di 106 civili italiani[7] e militari della "Bergamo" uccisi durante il periodo in cui la città era stata liberata dai partigiani jugoslavi e documentò le uccisioni di italiani compiute in Dalmazia ed Istria dai titini[6]. Minacciata di morte dai comunisti, ma temendo anche gli ustascia, su consiglio di amici abbandonò la città rifugiandosi a Trieste il 1º novembre 1943[8].
A Trieste collaborò con il "Comitato Profughi Dalmati" subissando di memoriali e di denunce le autorità della RSI. Si trasferì poi a Milano, dove riprese il lavoro di maestra ed entrò in contatto con il principe Junio Valerio Borghese, comandante della Xª Flottiglia MAS, cui consegnò copia della sua documentazione "Italiani e Slavi nella Venezia Giulia" in ipotizzo una unione di tutte le forze militari presenti sul confine orientale in chiave anticomunista per opporsi all'avanzata titina[9]. Decise poi di far ritorno a Trieste per portare aiuto ai profughi[10].
Inviata sotto copertura dalla Xª Flottiglia MAS con l'appoggio del Comando Mezzi d'Assalto Alto Adriatico,[11] cercò di stabilire contatti con i partigiani della "Franchi" legati ad Edgardo Sogno, nella speranza che facessero pervenire la documentazione fino al momento preparata al governo del Sud,[12] e con quelli delle "Brigate Osoppo"[13] col proposito di costituire un blocco per la difesa dell'italianità al confine orientale[14]. La Pasquinelli riuscì a contattare la Osoppo e un unico incontro avvenne il 1º gennaio 1945 cui prese parte il capitano Manlio Morelli del battaglione "Valanga" della Xª MAS[15].
Il 2 marzo 1945, decisa a raccogliere ulteriore materiale riguardo alle uccisioni di italiani in Istria, si recò in viaggio a Pisino, Parenzo e Pola[16]. Nella sua attività fu aiutata dalle federazioni fasciste locali e da alcuni responsabili del CLN[16].
Rientrata a Trieste, essendo ricercata sia dall'OZNA, la polizia segreta jugoslava, per la sua attività in Istria,[17] che dalla polizia tedesca per "ambigui contatti con il governo del Sud"[18][19] fu nascosta dal capitano di corvetta Aldo Lenzi della Xª Flottiglia MAS[11], ma scoperta fu arrestata dalla Luftwaffe il 15 marzo. Fu liberata l'11 aprile per intervento personale di Junio Valerio Borghese[senza fonte]. Sempre ricercata dall'OZNA, riparò a Milano presso il comando della Xª Flottiglia MAS,[20][21] dove rimase fino al 26 aprile assistendo allo scioglimento del reparto[22]. In maggio consegnò tutta la documentazione che aveva raccolto allo Stato Maggiore dell'Esercito.[senza fonte]
L'uccisione del generale De Winton[modifica | modifica sorgente]
La mattina del 10 febbraio 1947 il brigadiere generale Robert de Winton e (comandante della guarnigione britannica di Pola) lasciò il suo alloggio. In quelle stesse ore a Parigi era in corso la firma del trattato di pace che assegnava la città di Pola (annessa all'Italia nel 1918) alla Jugoslavia.
Il passaggio di poteri sulla città di Pola avrebbe avuto luogo in concomitanza con la firma del trattato di pace. Per l'occasione, la guarnigione britannica era stata schierata davanti alla sede del comando ed il generale De Winton fu invitato a passarla in rassegna. De Winton, arrivato in macchina, stava avanzando verso il reparto schierato quando, dalla piccola folla presente, si staccò Pasquinelli e, dirigendosi verso il generale, estrasse la pistola che nascondeva in una delle maniche del cappotto e gli sparò tre colpi di pistola nella schiena. Poi lasciò cadere la pistola a terra e si lasciò arrestare da uno dei soldati britannici.[23]
In tasca di Pasquinelli venne trovato un biglietto di rivendicazione nel quale si leggeva:
« Mi ribello, col fermo proposito di colpire a morte chi ha la sventura di rappresentarli, ai Quattro Grandi i quali, alla Conferenza di Parigi, in oltraggio ai sensi di giustizia, di umanità e di saggezza politica, hanno deciso di strappare ancora una volta dal grembo materno le terre più sacre d'Italia, condannandole o agli esperimenti di una novella Danzica o con la più fredda consapevolezza, che è correità, al giogo jugoslavo, sinonimo per la nostra gente indomabilmente italiana, di morte in foiba, di deportazioni, di esilio. »
(Dal biglietto trovato indosso alla Pasquinelli[24][25])
Il processo e il carcere[modifica | modifica sorgente]
Maria Pasquinelli durante il processo
Il 19 marzo 1947 ebbe inizio il processo contro Pasquinelli, davanti alla Corte Militare Alleata di Trieste. L'imputata si dichiarò colpevole dei fatti addebitatigli e spiegò le ragioni che l'avevano indotta a compiere l'attentato.[26][27] Il 10 aprile la Corte alleata pronunciò la sentenza di condanna a morte. All'invito rivoltole dalla Corte ad appellarsi entro trenta giorni, Pasquinelli rispose:
« Ringrazio la Corte per le cortesie usatemi, ma fin d'ora dichiaro che mai firmerò la domanda di grazia agli oppressori della mia terra. »
(Maria Pasquinelli dopo la lettura della sentenza[27][28])
Il giorno seguente Trieste fu inondata di manifestini tricolori sui quali era scritto:
« Dal pantano è nato un fiore, Maria Pasquinelli. Viva l'Italia »
(Scritto sui manifestini comparsi a Trieste[29][30])
La condanna a morte fu poi commutata in ergastolo.
Dopo la scarcerazione[modifica | modifica sorgente]
Nel 1965 tornò in libertà andando a vivere a Bergamo. Nel 2011, rilasciò brevi interviste alla giornalista Rosanna Turcinovich Giuricin[31]. è scomparsa a Bergamo, nella sua casa, il 3 luglio 2013, 3 mesi dopo il suo 100-esimo compleanno.