Damiano Laterza per “Il Sole 24 Ore“
Quando si sposarono, Frida Kahlo e Diego Rivera erano decisamente una coppia sui generis. Lui aveva vent’anni in più ed era già un artista di fama. Lei aveva appena capito che voleva essere artista ma il suo corpo era afflitto dallo strazio perenne. Dopo un’infanzia funestata dalla poliomielite, infatti, ebbe un tremendo incidente mentre viaggiava su un autobus. Ci vollero 32 operazioni chirurgiche per ridarle una forma umana. Ciò nonostante, Frida soffrì per tutta la vita e morì nel ‘54, a soli 47 anni. Per fortuna ebbe Diego al suo fianco, uomo mastodontico che sostenne le sue fragilità, alimentando la di lei arte.
Oggi, Kahlo e Rivera tornano di nuovo insieme, protagonisti di una delle mostre più suggestive dell’estate europea, in corso presso la Pallant House Gallery di Chichester, nel West Sussex (Regno Unito), fino al 2 ottobre 2011. Un’esposizione ricca di capolavori presi in prestito dalla collezione di J. e N. Gelman, storici mecenati nel Messico degli anni ’40. Quadri che ostentano modus vivendi latino e anima precolombiana in un mix che ammalia e inquieta, conducendo lo spettatore direttamente nei meandri della turbolenta relazione, foriera di stimoli e ansie creative ininterrotte.
Lei lo vedeva come un bambinone e alimentò sempre il suo infantile egocentrismo. Attraverso tali segni scorgeva la sua superiorità di grande artista. Per Frida, Diego era un uomo universale, capace di abbracciare lo scibile umano, persino quando, come nel celebre “Abbraccio d’amore dell’Universo”, l’universo abbracciava lui. Per mostrare questo, sul quadro, Frida gli mise un terzo occhio al centro della fronte e lo battezzò l’occhio della «supervisibilità».
I dipinti di Frida sono interiori: le sue tele raffigurano se stessa, la passione per Diego, il dolore fisico e lo strazio del profondo. Ma stando con i piedi per terra: «Ho sempre dipinto la mia realtà, non i miei sogni», sosteneva. Una donna-artista capace di manifestare e glorificare la naturale propensione femminile alla tolleranza della verità. Cioè di una realtà disumana che è – sovente -marcata dall’afflizione. Diego invece lavora su temi epico-rivoluzionari, in favore dei contadini, degli indios, dei diseredati. Contesta i dogmi del mondo borghese, lotta contro lo schiavismo dei padroni della terra, sogna il ritorno a uno stato di natura ancestrale. Diego celebra la bellezza delle masse al lavoro e Frida è la sua sacerdotessa: l’amore della Kahlo per Rivera è infatti una vera e propria religione, con tutti i riti e i sacrifici correlati.
Frida Kahio e Salvador Dalì
Diego Rivera - Autoritratto