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◄ ATTUALITA´: Walter Tobagi
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Respuesta  Mensaje 1 de 5 en el tema 
De: lucy46  (Mensaje original) Enviado: 28/05/2014 09:24
Walter Tobagi
(San Brizio di Spoleto, 18 marzo 1947 – Milano, 28 maggio 1980)
è stato un giornalista e scrittore italiano, che venne assassinato in un attentato terroristico perpetrato dalla Brigata XXVIII marzo, gruppo terroristico di estrema sinistra.
 
Walter all'eta di 8 anni  si trasferì con la famiglia  a Bresso poiché il padre Ulderico era un ferroviere. La sua carriera di giornalista cominciò al ginnasio, come redattore del giornale del Liceo Parini di Milano La zanzara, reso famoso per un processo provocato da un articolo sull'educazione sessuale. Dopo il liceo, Tobagi entrò giovanissimo all'Avanti! di Milano, ma vi rimase solo pochi mesi per poi passare al quotidiano cattolico Avvenire. Sia all'Avanti! sia all'Avvenire si occupava di argomenti diversi, ma andava sempre più definendosi il suo interesse prioritario per i temi sociali, per l'informazione, per la politica e il movimento sindacale, a cui dedicava molta attenzione anche nel suo lavoro «parallelo», quello universitario e di ricercatore. Ma Tobagi non trascurava neppure i temi economici: si misurò con inchieste in diverse puntate sull'industria farmaceutica, la ricerca, la stampa, l'editoria, ecc. In quegli stessi anni si mostrò interessato anche alla politica estera, in particolare all'India, alla Cina, al Medio Oriente, alla Spagna (alla vigilia del crollo del franchismo), alla guerriglia nel Ciad, alla crisi economica e politica della Tunisia, alle violazioni dei diritti dell'uomo nella Grecia dei colonnelli, alle prospettive politiche dell'Algeria, e così via. Tuttavia, l'impegno maggiore Tobagi lo dedicò alle vicende del terrorismo, a cominciare dalla morte di Giangiacomo Feltrinelli e dall'assassinio del commissario Calabresi. Si interessò, inoltre, alle prime iniziative militari delle Br, ai «covi» terroristici scoperti a Milano, al rapporto del questore Allitto Bonanno, alla guerriglia urbana che provocava tumulti (e morti) per le strade di Milano, organizzata dai gruppuscoli estremisti di Lotta continua, Potere operaio, Avanguardia operaia. Nel 1972, passò al Corriere della Sera, dove poté esprimere pienamente le sue potenzialità di inviato sul fronte del terrorismo e di cronista politico e sindacale. Faceva il suo lavoro  seguito con scrupolo. Un metodo rigoroso, consistente nell'analizzare essenzialmente i fatti, alieno dalle ipotesi fantasiose e dalla facile emotività. Forse è per il suo voler innanzitutto «capire» che Tobagi è stato ucciso. Al Corriere della Sera Tobagi seguì sistematicamente tutte le vicende relative agli «anni di piombo»: dai tempi degli autoriduttori che disturbavano le Feste dell'Unità agli episodi di sangue più efferati con protagoniste le Br, Prima Linea e le altre bande armate. Analizzando le vicende luttuose del terrorismo risaliva alle origini di Potere operaio, con la galassia delle storie politiche e individuali sfociate in mille gruppi, di cui molti approdati alle bande armate. In Vivere e morire da giudice a Milano Walter raccontò la storia di Emilio Alessandrini, 39 anni, sostituto procuratore della Repubblica, assassinato in un agguato da Prima Linea: un magistrato che si era particolarmente distinto nelle indagini sui gruppi estremisti di destra e, successivamente, su quelli terroristi di sinistra.  Un giudizio che doveva trovare una tragica conferma proprio con la uccisione di Tobagi. Negli ultimi articoli intensificò le analisi su certe realtà urbane a Milano, a Genova, a Torino («Come e perché un 'laboratorio del terrorismo' si è trapiantato nel vecchio borgo del Ticinese», «Vogliono i morti per sembrare vivi», «Bilancio di 10 miliardi all'anno per mille esecutori clandestini», ecc.). Non trascurò il fenomeno del pentitismo, con tutti gli aspetti anche negativi, e studiò il terrorista nella clandestinità, («C'è una regola dei due anni, termine ultimo oltre il quale non resiste il Br clandestino»). E siamo dunque a uno dei suoi ultimi articoli sul terrorismo, un testo che è stato ripubblicato molte volte perché considerato uno dei più significativi sin dal titolo: «Non sono samurai invincibili». Tobagi sfatò tanti luoghi comuni sulle Br e gli altri gruppi armati, denunciando, ancora una volta, i pericoli di un radicamento del fenomeno terroristico nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro, come molti segnali gli avevano indicato. Le sue opinioni risultano confermate anche in un'altra significativa intervista al figlio di Carlo Casalegno, Andrea. In quell'intervista, concessa un mese prima dell'uccisione di Tobagi, Casalegno disse: «Non sento la benché minima traccia di odio, né provo alcun perdono cristiano. Sento l'offesa come nel momento in cui è avvenuta». L'intervistatore chiese se riteneva giusto denunciare i «compagni di lotta». E Andrea Casalegno rispose senza reticenze: «La denuncia è importante e va fatta se serve a evitare atti futuri gravi. È un dovere, perché è assolutamente necessario impedire che vittime innocenti cadano ancora». La sera prima di essere assassinato, Walter Tobagi presiedeva un incontro al Circolo della stampa di Milano. Si discuteva del «caso Isman» e dunque della libertà di stampa, della responsabilità del giornalista di fronte all'offensiva delle bande terroristiche. Il dibattito fu piuttosto agitato e l'inviato del Corriere fu fatto oggetto di ripetute aggressioni verbali, cosa non nuova, del resto, come ha raccontato il suo collega ed amico Gianluigi Da Rold. A un certo punto, durante quel dibattito, Tobagi, riferendosi alla lunga serie di attentati terroristici, disse: «Chissà a chi toccherà la prossima volta». Dieci ore più tardi era caduto sull'asfalto sotto i colpi dei suoi assassini. Lasciava la moglie, Maristella, e due figli, Luca e Benedetta.


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Respuesta  Mensaje 2 de 5 en el tema 
De: Lietta Enviado: 28/05/2014 23:32

Walter Tobagi (San Brizio di Spoleto18 marzo 1947 – Milano,28 maggio 1980) è stato un giornalista e scrittore italiano, che venne assassinato in un attentato terroristico perpetrato dallaBrigata XXVIII marzogruppo terroristico di estrema sinistra


Walter Tobagi




Respuesta  Mensaje 3 de 5 en el tema 
De: Lietta Enviado: 28/05/2014 23:34
Dopo il liceo, Tobagi entrò giovanissimo all'Avanti! di Milano, ma vi rimase solo pochi mesi per poi passare al quotidiano cattolico Avvenire. Il direttore, Leonardo Valente, disse di lui:
« Nel 1969, quando lo assunsi, mi accorsi di essere davanti a un ragazzo preparatissimo, acuto e leale. Di lui ricordo le lunghe e piacevolissime chiacchierate notturne alla chiusura del giornale. Non c'era argomento che non lo interessasse, dalla politica allo sport, dalla filosofia alla sociologia, alle tematiche, allora di moda, della contestazione giovanile. Affrontava qualsiasi argomento con la pacatezza del ragionatore, cercando sempre di analizzare i fenomeni senza passionalità. Della contestazione condivideva i presupposti, ma respingeva le intemperanze.[senza fonte] »
Sia all'Avanti! sia all'Avvenire si occupava di argomenti diversi, ma andava sempre più definendosi il suo interesse prioritario per i temi sociali, per l'informazione, per la politica e il movimento sindacale, a cui dedicava molta attenzione anche nel suo lavoro «parallelo», quello universitario e di ricercatore.
La prima inchiesta ampia pubblicata su Avvenire fu sul movimento studentesco a Milano: quattro puntate di storia, analisi, opinioni sui gruppuscoli e sulle lotte del movimento degli studenti in quegli anni: un'inchiesta che costituì la «base» per un più organico e ampio lavoro pubblicato nel 1970 da Sugar col titolo Storia del movimento studentesco e dei marxisti-leninisti in Italia. Sul frontespizio del libro si leggeva: «Il Movimento studentesco espressione dei ceti medi proletarizzati può essere considerato di fatto una avanguardia proletaria? Dalla prospettiva del Movimento il Partito comunista va considerato come 'l'ala destra del movimento operaio' oppure 'l'ala sinistra della borghesia'? E a sua volta il Movimento Studentesco è «l'ala sinistra del movimento operaio», oppure il nucleo del partito rivoluzionario?».
Ma Tobagi non trascurava neppure i temi economici: si misurò con inchieste in diverse puntate sull'industria farmaceutica, la ricerca, la stampa, l'editoria, ecc. In quegli stessi anni si mostrò interessato anche alla politica estera, in particolare all'India, alla Cina, al Medio Oriente, alla Spagna (alla vigilia del crollo del franchismo), alla guerriglia nel Ciad, alla crisi economica e politica della Tunisia, alle violazioni dei diritti dell'uomo nella Grecia dei colonnelli, alle prospettive politiche dell'Algeria, e così via.
Tuttavia, l'impegno maggiore Tobagi lo dedicò alle vicende del terrorismo, a cominciare dalla morte di Giangiacomo Feltrinelli e dall'assassinio del commissario Calabresi. Si interessò, inoltre, alle prime iniziative militari delle Br, ai «covi» terroristici scoperti a Milano, al rapporto del questore Allitto Bonanno, alla guerriglia urbana che provocava tumulti (e morti) per le strade di Milano, organizzata dai gruppuscoli estremisti di Lotta continua, Potere operaio, Avanguardia operaia.

Respuesta  Mensaje 4 de 5 en el tema 
De: Lietta Enviado: 28/05/2014 23:36
La carriera nel Corriere[modifica | modifica sorgente]
Quelli trascorsi all'Avanti! e all'Avvenire furono anni di iniziazione e di pratica alla scuola di «cronista sul campo», un praticantato lungo e faticoso che doveva portarlo al Corriere d'Informazione e, nel 1972, al Corriere della Sera, dove poté esprimere pienamente le sue potenzialità di inviato sul fronte del terrorismo e di cronista politico e sindacale.
Come ha raccontato Leonardo Valente,
« Walter preparava gli articoli con la stessa diligenza con cui al liceo faceva le versioni di latino e greco e all'università si dedicava alle ricerche storiche: una montagna di appunti, decine e decine di telefonate di controllo, consultazione di leggi, regolamenti, enciclopedie. Insomma svolgeva una mole di lavoro enorme per un pezzo di due cartelle. Ma quando finalmente si metteva alla macchina da scrivere si poteva esser certi che dal rullo sarebbero uscite due cartelle di oro colato. E se per caso, al termine delle sue ricerche e dei suoi controlli, si accorgeva di essere arrivato a conclusioni opposte rispetto a quelle da cui era partito, buttava tutto all'aria e ricominciava dal principio, senza darsi la minima preoccupazione della fatica e del tempo che impiegava. Il suo solo problema era di arrivare alla verità, a qualunque costo »
Questo fu il metodo seguito con scrupolo anche nel suo lavoro di inviato del Corriere. Un metodo rigoroso, consistente nell'analizzare essenzialmente i fatti, alieno dalle ipotesi fantasiose e dalla facile emotività. Forse è per il suo voler innanzitutto «capire» che Tobagi è stato ucciso. La pensa così, ad esempio, Giampaolo Pansa, che ha rilevato come
« Tobagi sul tema del terrorismo non ha mai strillato. Però, pur nello sforzo di capire le retrovie e di non confondere i capi con i gregari era un avversario rigoroso. Il terrorismo era tutto il contrario della sua cristianità e del suo socialismo. Aveva capito che si trattava del tarlo più pericoloso per questo paese. E aveva capito che i terroristi giocavano per il re di Prussia. Tobagi sapeva che il terrorismo poteva annientare la nostra democrazia. Dunque, egli aveva capito più degli altri: era divenuto un obiettivo, soprattutto perché era stato capace di mettere la mano nella nuvola nera »
Un giornalista in prima linea[modifica | modifica sorgente]
Al Corriere della Sera Tobagi seguì sistematicamente tutte le vicende relative agli «anni di piombo»: dai tempi degli autoriduttori che disturbavano le Feste dell'Unità agli episodi di sangue più efferati con protagoniste le Br, Prima Linea e le altre bande armate. Analizzando le vicende luttuose del terrorismo risaliva alle origini di Potere operaio, con la galassia delle storie politiche e individuali sfociate in mille gruppi, di cui molti approdati alle bande armate.
In Vivere e morire da giudice a Milano Walter raccontò la storia di Emilio Alessandrini, 39 anni, sostituto procuratore della Repubblica, assassinato in un agguato da Prima Linea: un magistrato che si era particolarmente distinto nelle indagini sui gruppi estremisti di destra e, successivamente, su quelli terroristi di sinistra. Anche Alessandrini era un «personaggio simbolo». Scrisse Tobagi: «Alessandrini rappresentava quella fascia di giudici progressisti ma intransigenti, né falchi chiacchieroni né colombe arrendevoli». Osservò inoltre che i terroristi prendevano di mira soprattutto i riformisti, condividendo il giudizio che lo stesso Alessandrini aveva espresso in un'intervista all'Avanti!: «Non è un caso che le azioni dei brigatisti siano rivolte non tanto a uomini di destra, ma ai progressisti. Il loro obiettivo è intuibilissimo: arrivare allo scontro nel più breve tempo possibile, togliendo di mezzo quel cuscinetto riformista che, in qualche misura, garantisce la sopravvivenza di questo tipo di società». Un giudizio che doveva trovare una tragica conferma proprio con la uccisione di Tobagi.
Negli ultimi articoli intensificò le analisi su certe realtà urbane a Milano, a Genova, a Torino («Come e perché un 'laboratorio del terrorismo' si è trapiantato nel vecchio borgo del Ticinese», «Vogliono i morti per sembrare vivi», «Bilancio di 10 miliardi all'anno per mille esecutori clandestini», ecc.). Non trascurò il fenomeno del pentitismo, con tutti gli aspetti anche negativi, e studiò il terrorista nella clandestinità, («C'è una regola dei due anni, termine ultimo oltre il quale non resiste il Br clandestino»). E siamo dunque a uno dei suoi ultimi articoli sul terrorismo, un testo che è stato ripubblicato molte volte perché considerato uno dei più significativi sin dal titolo: «Non sono samurai invincibili».
Tobagi sfatò tanti luoghi comuni sulle Br e gli altri gruppi armati, denunciando, ancora una volta, i pericoli di un radicamento del fenomeno terroristico nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro, come molti segnali gli avevano indicato. Scrisse, ad esempio:
« La sconfitta politica del terrorismo passa attraverso scelte coraggiose: è la famosa risaia da prosciugare, tenendo conto che i confini della risaia sono meglio definiti oggi che non tre mesi fa. E tenendo conto di un altro fattore decisivo: l'immagine delle Brigate rosse si è rovesciata, sono emerse falle e debolezze e forse non è azzardato pensare che tante confessioni nascono non dalla paura, quanto da dissensi interni, sull'organizzazione e sulla linea del partito armato »
Le sue opinioni risultano confermate anche in un'altra significativa intervista al figlio di Carlo Casalegno, Andrea. In quell'intervista, concessa un mese prima dell'uccisione di Tobagi, Casalegno disse: «Non sento la benché minima traccia di odio, né provo alcun perdono cristiano. Sento l'offesa come nel momento in cui è avvenuta». L'intervistatore chiese se riteneva giusto denunciare i «compagni di lotta». E Andrea Casalegno rispose senza reticenze: «La denuncia è importante e va fatta se serve a evitare atti futuri gravi. è un dovere, perché è assolutamente necessario impedire che vittime innocenti cadano ancora».
La sera prima di essere assassinato, Walter Tobagi presiedeva un incontro al Circolo della stampa di Milano. Si discuteva del «caso Isman»[2] e dunque della libertà di stampa, della responsabilità del giornalista di fronte all'offensiva delle bande terroristiche. Il dibattito fu piuttosto agitato e l'inviato del Corriere fu fatto oggetto di ripetute aggressioni verbali, cosa non nuova, del resto, come ha raccontato[3] il suo collega ed amico Gianluigi Da Rold:
« Negli anni del suo impegno professionale e come responsabile sindacale dei giornalisti lombardi, Walter Tobagi viene violentemente attaccato, più di una volta, sia dalla parte comunista della redazione del Corriere, sia dai giornalisti di altre testate milanesi di cosiddetta "area comunista." »
A un certo punto, durante quel dibattito, Tobagi, riferendosi alla lunga serie di attentati terroristici, disse: «Chissà a chi toccherà la prossima volta». Dieci ore più tardi era caduto sull'asfalto sotto i colpi dei suoi assassini. Lasciava la moglie, Maristella, e due figli, Luca e Benedetta.[4]
L'assassinio[modifica | modifica sorgente]
Tobagi venne ucciso alle 11 di mattina con cinque colpi di pistola da un "commando" di terroristi (Marco Barbone, Paolo Morandini, Mario Marano, Francesco Giordano, Daniele Laus e Manfredi De Stefano),[5] buona parte dei quali figli di famiglie della borghesia milanese. Due membri del commando in particolare appartengono all'ambiente giornalistico: sono Marco Barbone, figlio di Donato Barbone, dirigente editoriale della casa editrice Sansoni (di proprietà del gruppo RCS), e Paolo Morandini, figlio del critico cinematografico del quotidiano Il Giorno Morando Morandini.
A sparare furono Mario Marano e Marco Barbone. è quest'ultimo a dargli quello che nelle sue intenzioni sarebbe dovuto essere il colpo di grazia: quando Tobagi era ormai accasciato a terra, il terrorista gli si avvicinò e gli esplose un colpo dietro l'orecchio sinistro. In realtà, da come risulta dall'autopsia, il colpo mortale fu il secondo esploso dai due assassini, che colpendo il cuore causò la morte del giornalista[6].
Il processo[modifica | modifica sorgente]
Nel giro di pochi mesi dall'omicidio, le indagini di Carabinieri e magistratura portarono all'identificazione degli assassini, ed in particolare a quella del leader della neonata Brigata XXVIII marzo, lo stesso Marco Barbone. Subito dopo il suo arresto, il 25 settembre del 1980, Barbone decise di collaborare con gli inquirenti; grazie alle sue rivelazioni l'intera Brigata XXVIII marzo fu smantellata e furono incarcerati più di un centinaio di sospetti terroristi di sinistra, con cui Barbone venne in contatto nel corso della sua breve ma intensa "carriera" terroristica.
Le 102 udienze di quello che fu un maxi-processo all'area sovversiva di sinistra iniziarono il 1º marzo 1983 e terminarono 28 novembre dello stesso anno. La sentenza suscitò molte polemiche poiché il giudice Cusumano, interpretando la legge sui pentiti in modo difforme rispetto al Tribunale di Roma (dove furono comminate comunque pene a oltre vent'anni di carcere ai terroristi pentiti delle Unità comuniste combattenti), concesse a Marco Barbone, Mario Ferrandi, Umberto Mazzola, Paolo Morandini, Pio Pugliese e Rocco Ricciardi «il beneficio della libertà provvisoria ordinandone l'immediata scarcerazione se non detenuti per altra causa»[7], mentre agli altri membri della XXVIII marzo, De Stefano, Giordano e Laus, furono inflitti trent'anni di carcere[6].
Le indagini non hanno chiarito il ruolo svolto dalla fidanzata di Marco Barbone, Caterina Rosenzweig, appartenente ad una ricca famiglia milanese. Nel 1978, cioè ben due anni prima dell'omicidio, Caterina Rosenzweig aveva lungamente pedinato Tobagi, che era anche suo docente di storia moderna all'Università Statale di Milano. Anche se nel settembre 1980 viene arrestata insieme con gli altri, Caterina verrà assolta per insufficienza di prove, nonostante nel corso del processo venga accertato che il gruppo di terroristi si riuniva a casa sua in via Solferino, a poca distanza dagli uffici dove lavorava Tobagi. Dopo il processo si trasferirà in Brasile, dove si perdono le sue tracce.

Altra incongruenza nelle dichiarazioni di Barbone è quella relativa al suo pedinamento del giornalista la notte del 27 maggio, il giorno prima del delitto. Nel mese di maggio del 1980, la vittima si assentò spesso da Milano per seguire la campagna elettorale per le amministrative, e tornava solo la domenica. Il 27, un mercoledì, eccezionalmente era presente al "Circolo della stampa" di Milano (dove fu oggetto, come riferiscono i testimoni, di attacchi verbali). Il terrorista, successivamente, affermò di aver girato con l'auto attorno alla sede dell'associazione «per rintracciare eventualmente quella del Tobagi e avere conferma che ci fosse, ma senza averla vista, me ne andai subito. La mattina successiva, quindi, agimmo». Se la presenza dell'auto presso il circolo era un fatto secondario rispetto alla messa in pratica del disegno criminoso, allora perché Barbone decise di pedinare Tobagi e soprattutto, come seppe della sua presenza a Milano?

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De: Lietta Enviado: 28/05/2014 23:40


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