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De: Piero889 (Mensaje original) |
Enviado: 08/09/2014 20:39 |
![540° anniversario della nascita di Ludovico Ariosto 540° anniversario della nascita di Ludovico Ariosto](https://www.google.it/logos/doodles/2014/ludovico-ariostos-540th-birthday-4772175709995008-hp.jpg)
Colori accesi e grafica ricca di simbologie nel doodle che Google dedica a Ludovico Ariosto nel 540esimo anniversario della nascita. Poeta e commediografo Ariosto nacque a Reggio Emilia l'8 settembre 1474. Viene considerato uno degli autori più celebri del suo tempo, ed è ricordato soprattutto per l'Orlando Furioso, poema cavalleresco che rappresentò una potente rottura dei canoni epocali. L'opera fonde insieme la materia carolingia con quella bretone. Le vicende dei personaggi si intrecciano...
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Doodle di Google per Ludovico Ariosto, autore dell'"Orlando Furioso"
Articolo pubblicato il: 08/09/2014
Colori accesi e grafica ricca di simbologie nel doodle che Google dedica a Ludovico Ariosto nel 540esimo anniversario della nascita. Poeta e commediografo Ariosto nacque a Reggio Emilia l'8 settembre 1474. Viene considerato uno degli autori più celebri del suo tempo, ed è ricordato soprattutto per l'Orlando Furioso, poema cavalleresco che rappresentò una potente rottura dei canoni epocali. L'opera fonde insieme la materia carolingia con quella bretone. Le vicende dei personaggi si intrecciano continuamente, costituendo molteplici fili narrativi tutti armonicamente tessuti insieme. La trama ruota intorno a tre motivi: epico (lotta tra pagani e cristiani), amoroso (passione amorosa di Orlando per Angelica) ed encomiastico (amore di Ruggero e Bradamante dalla cui unione discenderà la Casa d'Este)
Sulla home page del motore di ricerca sono infatti ricreati vari elementi che appartengono alle opere del grande autore: il drago che forma la scritta Google, una donzella su un'isola in mezzo al mare, un ippogrifo creatura alata che rappresenta un cavallo alato, la cui prima descrizione letteraria risale proprio ad Ariosto
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LUDOVICO ARIOSTO (1474-1533)
![LUDOVICO ARIOSTO](http://www.homolaicus.com/letteratura/images/ludovico_ariosto.jpg)
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Nasce a Reggio Emilia nel 1474 da nobile famiglia bolognese. Il padre,
Niccolò, di costumi abbastanza violenti, era un uomo di corte del duca Ercole I
e
svolgeva le mansioni di capitano della rocca di Reggio, al servizio degli
Estensi. Ebbe dalla moglie ben 10 figli, di cui Ludovico era primogenito. Nel
1484 il padre, dopo essere stato prescelto ad amministrare la città di Ferrara,
vi si trasferisce con tutta la famiglia. Dall'89 al '94 costringe Ludovico a
studiare giurisprudenza, al fine di destinarlo alla vita di corte, ma gli
interessi di Ludovico per la letteratura sono così prevalenti che alla fine il
padre deve desistere.
Già l'Ariosto cominciava a comporre carmi in latino e poesie in volgare,
quando nel 1500 gli muore il padre. Deve immediatamente abbandonare gli studi e
pensare a mantenere la madre, a provvedere all'educazione dei fratelli (cui
andava insegnata una professione) e ad assicurare una dote alle ultime due
sorelle nubili, rimaste ancora in casa. Inoltre deve sistemare il patrimonio
dissestato del padre.
Dal 1500 al 1503 svolge le funzioni di capitano della rocca di Canossa,
sempre alla corte degli Estensi. Poi passa al servizio del card. Ippolito,
fratello del duca di Ferrara Alfonso I. Ippolito era uomo più di politica che di
chiesa: vescovo a sette anni, cardinale a 14, era di costumi riprovevoli e
feroci (fece accecare il fratello don Giulio). Morì a 41 di indigestione.
D'altra parte anche il duca Alfonso non era da meno quanto a ferocia: aveva
fatto p.es. assassinare Ercole Strozzi, insigne poeta latino di Ferrara, solo
perché questi aveva sposato una donna che aveva respinto l'amore del duca
stesso.
E' costretto a prendere gli ordini
minori, che era il minimo richiesto per ottenere dei benefici
ecclesiastici. Il
cardinale non aveva molta stima per i lavori poetici dell'Ariosto e
preferiva
utilizzarlo nelle faccende più varie, sia interne che esterne alla
corte. In
pratica faceva le funzioni del segretario personale e del diplomatico.
Il
cardinale lo portava con sé nei suoi viaggi, sottoponendolo a dure
fatiche,
facendogli correre, a volte, spiacevoli rischi. A quel tempo infatti gli
Estensi
simpatizzavano per i francesi, erano in guerra con Venezia per questioni
di
confine e il papato era intenzionato a impadronirsi di Ferrara, ai
confini con
lo Stato della Chiesa. Il duca Alfonso e suo fratello vennero persino
scomunicati:
il primo per la sua politica filofrancese e per lo sfruttamento delle
saline di
Comacchio; Ippolito perché s'era impossessato con la forza dell'abbazia
di
Nonantola. Due volte
l'Ariosto rischiò di morire dopo essersi recato a Roma, presso il papa
Giulio II, in qualità di ambasciatore. Ripetutamente l'Ariosto chiedeva
di svolgere
incarichi meno gravosi, ma il card. Ippolito non ne voleva sapere.
Nel 1513 si reca a Roma dal papa Leone X, che, quand'era stato cardinale
aveva mostrato d'essergli amico e ammiratore, per chiedergli un ufficio più
tranquillo (mirava a essere nominato vescovo), che gli permettesse di dedicarsi agli studi, ma non ottiene nulla.
Al ritorno, facendo sosta a Firenze, conosce e ama Alessandra Benucci, già
moglie di un ferrarese, che però due anni dopo morirà. L'Ariosto, che già aveva
avuto due figli da due donne diverse (una fu Orsolina Sassomarino che nel 1509
gli aveva dato Virginio, cui fu molto attaccato), sposerà
segretamente la Benucci solo nel 1527, perché lei non perdesse l'usufrutto del
patrimonio del primo marito, di cui erano eredi i figli. I due non si separeranno mai.
Nel 1516 pubblica a Ferrara L'Orlando Furioso, che è il suo
capolavoro. Fu dedicato al cardinale Ippolito, il quale però, pur pagando l'edizione, ne
rimase alquanto insoddisfatto. L'anno dopo, allorché il cardinale venne
nominato vescovo di Buda in Ungheria, l'Ariosto si rifiutò di seguirlo,
perdendo alcuni benefici che aveva già maturato.
Nel 1518, costretto da necessità economiche, passa al servizio del duca
Alfonso, il quale, evitando di affidargli missioni al di fuori di Ferrara, gli
permette, in un primo momento, di studiare e rivedere il suo poema. Tuttavia,
nel 1522, avendogli il duca sospeso lo stipendio a causa della guerra contro il
papato, è costretto ad accettare il governatorato della Garfagnana,
sull'Appennino tosco-emiliano, una regione assai ribelle agli Estensi che da
poco l'avevano sottomessa. L'incarico era onorifico e lucroso, ma difficile e
molto lontano dalla sensibilità e dagli interessi del poeta. E comunque
l'Ariosto si dimostrò all'altezza della situazione, governando con molto senso
pratico e onestà (ad es. intercedeva a favore dei sudditi colpevoli di reati
commessi per ignoranza o per misere condizioni di vita, anche se chiedeva
continue milizie per reprimere i rivoltosi).
Dopo tre anni di governo torna a Ferrara, dove, per amore di tranquillità,
rifiuta il posto di ambasciatore presso la Santa Sede (era pontefice Clemente
VII), ed acquista coi propri
risparmi una casetta, sulla facciata della quale fa incidere un'iscrizione in
latino, che diceva: "Piccola ma adatta a me, non soggetta ad alcuno,
comprata finalmente col mio denaro". Rimase lì sino alla morte, avvenuta
nel 1533, leggendo i classici, coltivando l'orto e correggendo per la terza
volta il Furioso. Si assentò solo nel 1532, per presentare il suo poema
all'imperatore Carlo V, che si trovava in quel momento a Mantova: nell'occasione
gli venne conferito il titolo di poeta laureato.
Ideologia e poetica
Senso concreto e realistico dell'esistenza: si piega alle esigenze
economiche dei suoi familiari; cerca un compromesso coi "potenti"
(laici ed ecclesiastici) per avere non solo di che vivere, ma anche per ottenere
il riconoscimento del suo valore artistico (che in effetti si verificherà nei
circoli letterari borghesi). Non infierisce sui vinti quand'era governatore in
Garfagnana, anche se non lo si vede mai opporsi alla volontà dei suoi superiori
(l'unico caso è quello in occasione del trasferimento a Buda del card.
Ippolito).
Rapporto di amore-odio verso la corte: di "amore" perché,
anch'egli, in quanto intellettuale di origine nobiliare, faceva parte di quegli
ambienti: poi perché sperava di ottenere buoni uffici, incarichi e
riconoscimenti letterari; di "odio" perché si sentiva
strumentalizzato, non valorizzato come intellettuale ma solo come diplomatico;
inoltre non gli piacevano le corti che si combattevano tra loro, disposte
persino ad allearsi con lo straniero, senza tener conto degli interessi
nazionali. Infine era consapevole dei valori superficiali delle corti, anche se
non riteneva di aver la forza sufficiente per opporvisi: lui stesso dirà d'aver
scritto il Furioso per il divertimento dei Signori. L'Ariosto non pensò di
scrivere un poema che servisse a una causa ideale o politica: sapeva benissimo
che i suoi lettori non sarebbero stati capaci di recepirla. Egli in un certo
senso dava per scontato che la classe borghese, pur ricca sul piano economico e
potente su quello politico, non aveva molto da dire su quello ideale.
Interesse per ogni aspetto della vita degli uomini: rispetta e
comprende i sentimenti dell'uomo, che mette sempre al centro delle sue
preoccupazioni e della sua produzione letteraria. Contesta gli aspetti deteriori
della sua epoca: attivismo frenetico, culto della ricchezza e amore per il
lusso, ambizioni sfrenate e sete di potere, mercato delle cariche e corruzione
ad ogni livello. Rifiuta gli atteggiamenti da eroe e da moralista: piuttosto
guarda con ironia e indulgenza i difetti propri e altrui.
Naturalismo: nella sua concezione di vita l'uomo domina la vita con le
sue passioni e il suo spirito d'avventura. come nei cicli carolingi e bretoni,
ma senza l'importanza della religione.
Estetismo: non gli interessa l'arte per la vita (come in Dante), ma
l'arte per l'arte, cioè non vuole insegnare qualcosa ma divertire; sviluppa il
meraviglioso nell'immaginazione, senza particolari collegamenti al presente,
anche se considera un grave errore non aver fatto nulla per unificare la
penisola e aver lasciato che Francia e Spagna se la contendessero.
Ironia: ha consapevolezza della vanità della vita dei cavalieri
erranti e tende a ricondurre le avventure verso un finale ove domina il senso
pratico delle cose.
Ariosto è il primo a comporre commedie regolari in volgare del teatro
italiano, ma ispirandosi a temi antichi, quelli delle commedie latine di
Terenzio e Plauto. Non è originale dal punto di vista artistico: non raggiunge
mai il livello della Mandragola di Machiavelli.
Le sette Satire, che sono epistole poetiche, dirette a parenti ed amici,
furono pubblicate postume, poiché contenevano aspetti autobiografici e critici
del suo tempo.
ORLANDO FURIOSO
La prima edizione è del 1516, la seconda del 1521, la terza (con un aumento
di sei canti) del 1532. La differenza sta nello
stile e soprattutto nella lingua, in quanto nell'ultima sono state tolte le
espressioni emiliane e gli elementi dialettali, sostituiti con i modelli
toscani, sulla lezione del Bembo. Con l'Ariosto, in pratica, la toscanità
comincia ad imporsi anche nell'Italia settentrionale.
E' un poema cavalleresco, in quanto la materia narrativa è tratta dalla
tradizione epico-cavalleresca (romanzo cortese, cantàri, chanson de geste...:
tradizione, questa, ripresa dal Boiardo con l'Orlando innamorato). Le fonti del
poema vanno ricercate anche nei poemi classici (Iliade, Eneide, ecc.: ad es. la
pazzia d'Orlando ricorda l'ira di Achille). I tre contenuti fondamentali sono:
epico (lotta tra cristiani e musulmani), erotico (la passione d'Orlando per
Angelica) ed encomiastico (Ariosto fa discendere la casa d'Este dall'amore di Bradamante e Ruggero).
L'Ariosto riprende il poema del Boiardo laddove questi l'aveva lasciato,
quando Carlo Magno, preoccupato delle rivalità che Angelica accende tra i
cavalieri cristiani, sottraendoli così alla difesa di Parigi assediata dai
musulmani, la affida al duca Namo di Baviera, perché la custodisca,
promettendola a chi (fra Orlando e Rinaldo) si fosse distinto di più nella
battaglia imminente. Ma Angelica, approfittando della confusione che segue alla
sconfitta dei cristiani, fugge, sicché i cavalieri ricominciano a cercarla,
imbattendosi in varie avventure.
Nell'Orlando Furioso le avventure sono più complicate ed è difficile
riassumerle. I filoni narrativi principali sono tre: 1) epico (guerra tra
pagani e cristiani): la battaglia intorno a
Parigi, che poi si sposta in Africa e si conclude con la vittoria dei cristiani
(l'eroe è Orlando); 2) erotico (passione di Orlando per Angelica): Angelica, fuggita dal duca Namo
di Baviera, viene
inseguita dai cavalieri cristiani e saraceni, invaghiti di lei, che però
sceglierà di sposare un giovane soldato saraceno (Medoro) ferito in battaglia e
da lei curato. Orlando, accortosi del fatto, impazzisce dal dolore e distrugge,
percorrendo Francia e Spagna, tutto ciò che gli si para davanti; finché il
cavaliere cristiano Astolfo, salito con l'Ippogrifo (cavallo alato) sulla Luna
- dove erano raccolte tutte le cose che gli uomini avevano perso sulla Terra-, vi
prende il senno di Orlando racchiuso in un'ampolla che farà poi annusare ad
Orlando, restituendogli la ragione. Così Orlando può tornare a combattere
contro i saraceni determinando la loro definitiva sconfitta. 3) encomiastico
(esaltazione della Casa d'Este): la storia di
Orlando viene spesso interrotta dal poeta con l'inserimento del terzo filone
narrativo: l'amore di Bradamante, sorella del cavaliere cristiano Rinaldo, per
l'eroe saraceno Ruggero. Bradamante, dopo una serie di fantastiche avventure,
riesce a sposare Ruggero, che intanto si era fatto cristiano. Il poema infatti
si chiude con la vittoria in duello di Ruggero contro il saraceno Rodomonte. Da
questa coppia sia il Boiardo che l'Ariosto fanno discendere gli Estensi.
- Orlando, il paladino casto e severo dei poemi medievali, qui diventa pazzo
d'amore. Ma già nel Pulci e nel Boiardo era stato rappresentato sempre meno
cristiano. Soccorre i deboli, punisce i violenti, combatte il nemico, ma anche
lui diventa violento, impulsivo e persino folle.
- Rinaldo, il paladino dipinto come ribelle negli antichi poemi, qui invece è
meno accecato dalla passione, anzi è saggio (il Pulci l'aveva rappresentato come
brigante).
- Angelica rappresenta la seduzione: è volubile, capricciosa, ma anche astuta,
scaltra, sfugge per caso o per magia a tutti gli spasimanti, ma con Medoro
diventa donna di pietà e di amore (dal 29 canto scompare).
- Astolfo è il cavaliere della provvidenza, che risolve tutti i guai.
- Bradamante, sorella di Rinaldo, è saggia e forte. Sposando il saraceno
convertito al cristianesimo, Ruggero, fa nascere gli Estensi.
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![](http://www.padovando.com/foto/2013/02/bembo-e1361521888285.jpg)
LUDOVICO ARIOSTO
Caratteristiche del poema
Stilisticamente è raffinato, cioè senza dialettismi ma anche senza enfasi
drammatica, senza ricerca del sublime. La varietà delle vicende è notevole.
Gli eventi sono intrecciati in maniera magistrale: nessun personaggio viene
sacrificato a vantaggio di altri, nessuna situazione resta incompiuta. Le
vicende danno l'impressione di poter continuare all'infinito. Si alternano
continuamente, per evitare che un tema narrativo prenda il sopravvento, il tono
drammatico con l'idillico e il comico, l'amoroso con l'avventuroso, il
realistico col fantastico, le scene di forza con quelle di tenerezza. Non esiste
un luogo fisso: l'azione è sempre dinamica e mutevole.
Vi è un quadro estremamente vario della psicologia umana: passioni e
sentimenti si avvicendano di continuo, senza che mai uno prevalga sull'altro
(amore, eroismo guerriero, gusto dell'avventura si armonizzando perfettamente).
Tuttavia, nessun personaggio presenta un complesso sviluppo psicologico
individuale, cioè un contrasto interiore di bene e male (ad es. Bradamante
impersona la fedeltà e solo questa), benché l'Ariosto eviti con cura la figura
dell'eroe invincibile, sovrumano. La stessa donna non è più un angelo o un
demone (come nel Medioevo), ma un essere umano. Tuttavia i personaggi restano
individualistici, generalmente incuranti dell'interesse generale.
Non esiste un riferimento ideale particolare: l'Ariosto esclude dalle vicende
terrene ogni intervento provvidenziale o divino. La religione non è mai vista
come fonte di dissidio interiore né come guida dell'agire umano. Essa è
piuttosto una condizione che influisce esteriormente su alcune situazioni (ad
es. Ruggero deve convertirsi al cristianesimo per sposare Bradamante). I
personaggi si muovono sulla base dei loro istintivi impulsi vitali. I caratteri
sono naturali, a volte volubili (ad es. Angelica da fredda e altera diventa
dolce con Medoro; l'eroe forte e avveduto Orlando diventa pazzo d'amore).
Vi sono anche alcuni temi pessimistici: l'amore non apprezzato e non
corrisposto, i desideri perseguiti con affannosa tensione e mai appagati,
l'inutile correre degli uomini dietro le proprie illusioni (vedi ad es. il
castello di Atlante, ove viene rinchiuso Ruggero per impedirgli di sposare
Bradamante. Qui i cavalieri vengono attratti dalla falsa immagine - suscitata dal
mago - di un bene a lungo cercato, come ad es. una persona amata, ma una volta
entrati nel castello l'immagine subito scompare, per ricomparire appena essi ne
escono). La pazzia, la vanità, le illusioni dimorano stabilmente sulla Terra,
mentre la ragione è sulla Luna. Infine prevale la "fortuna"
(caso) sulla capacità dell'uomo di dominare il proprio destino. L'Ariosto
guarda con ironia, cioè con distaccata superiorità le assurde vicende degli
uomini, vittime delle loro illusioni e delle loro passioni: però è un'ironia
comprensiva non sprezzante.
Vi sono anche elementi di critica politica: contro il malgoverno e la follia
dei principi italiani che, lottando tra di loro, facevano entrare gli stranieri
in patria: cosa peraltro che impediva di combattere i turchi, che allora erano
molto potenti.
L'umanesimo dell'Ariosto
Chi scrive un grande poema deve per forza essere un "grande
personaggio" (come ad es. Dante con la sua Commedia)? Alcuni storici
della letteratura rischiano, in tal senso, di lasciarsi sedurre dal culto della
personalità.
In fondo che significa "grande personaggio": un uomo impegnato in
politica? L'Ariosto non lo era e molti di quelli che, ai suoi tempi, lo erano,
difficilmente potrebbero essere definiti dei "grandi personaggi" sul
piano umano. La politica, allora (come oggi d'altronde), era solo un mezzo per
far carriera o quattrini, per aumentare prestigio e potere personale.
Forse perché l'Ariosto ha rifiutato - seppur moderatamente - questo tipo di
politica, noi non possiamo accettare ch'egli abbia potuto fare un
"grande" poema? Perché alcuni critici si lamentano che la sua vita
non è stata niente di particolare?
Se vogliamo, l'Ariosto, sul piano umano, è stato un "grande
personaggio", poiché è riuscito a conservare la propria dignità umana
(come meglio ha potuto) in mezzo agli intrighi delle corti, alle lotte tra le
signorie, alla corruzione del papato e della borghesia. E' vero, ha accettato
molti compromessi, ma chi li accetta non può forse scrivere grandi capolavori?
Da un uomo che ha rischiato di morire ucciso più di una volta, che è stato
usato come diplomatico e ambasciatore per tante difficili missioni, che ha
svolto addirittura funzioni politiche, amministrative e militari, come quando fu
capitano della rocca di Canossa e governatore della Garfagnana, che cosa si vuole
pretendere?
In fondo l'Ariosto è vissuto in un periodo di decadenza, in cui la borghesia
non credeva più nella possibilità di nazionalizzare i propri ideali di
libertà e autonomia, di laicità e razionalismo, di umanesimo e naturalismo, di
scientificità e tecnologia (per non citare il problema dell'unificazione
linguistica). La borghesia portava avanti questi ideali restando divisa fra le
molte e rivali signorie. Per un intellettuale umanista doveva essere molto
difficile sopportare la contraddizione tra l'affermazione teorica dei valori
rinascimentali e la loro ambigua realizzazione pratica.
BREVE COMMENTO ALLA PAZZIA DI ORLANDO (testo
rtf-zip)
- Si può passare da una vita religiosa a una vita folle per amore? Ariosto
denuncia qui il formalismo della fede: si è cristiani solo per abitudine,
non per convinzione interiore. Si combatte il nemico religioso (ateo,
miscredente, eretico) solo perché viene chiesto da un'autorità politica
(Carlo Magno). Orlando impazzisce perché vuol credere a tutti i costi in un
proprio ideale di vita, non credendo più in quello religioso tradizionale.
Ma si potrebbe anche dire che Orlando rappresenta il cattolico-romano che
non vuole rassegnarsi al declino dei propri ideali religiosi (già vissuti,
sin dal tempo del Boccaccio, senza interiorità, in maniera convenzionale, come eredità di un
passato obsoleto) e che per questo cerca in tutti i modi un'alternativa
praticabile, ugualmente forte, sentita, eccitante, che crede d'aver trovato
nella passione amorosa. Questo ideale è soltanto una costruzione artificiale
del suo pensiero, un vuoto intellettualismo.
- Orlando vive i valori sociali del cristianesimo in maniera
individualistica, non come borghese integrato nel nuovo sistema di vita, ma
come intellettuale sradicato, che deve trovare una propria collocazione, una
propria dimensione esistenziale compatibile con una fede che è cattolica
solo nella forma ma che è sempre più protestante nella sostanza. Non a caso
nella seconda metà del Cinquecento giungerà la Controriforma per impedire
questo processo, questa coerenza tra crisi dei valori sociali cattolici e
loro riproposizione in forma individualistico-borghese.
- L'unica forma di coerenza che Orlando crede di aver trovato è quella
della nudità contro le convenzioni cristiano-borghesi. Si pone come ribelle
alla società, ma negativamente, in quanto folle, che s'illude di poter
essere giustificato in virtù della propria passione amorosa. Quando sradica
gli alberi, Orlando esprime se stesso, il proprio egocentrismo, che è
incapace non solo di convivere coi valori religiosi ma anche con quelli
borghesi. Vivendoli in maniera individualistica, senza rapporti con la
realtà, quei valori vengono stravolti e ne paga le conseguenze anche la
natura. Orlando è un intellettuale sradicato,
infatuato, in definitiva, solo di se stesso, dei propri impossibili ideali;
è un cristiano in maniera vaga (ha il compito di combattere un nemico
che non sente neppure come proprio) ed è un borghese solo in quanto
individualista (entra da solo nel bosco, nella grotta, nella casa di
campagna). Medoro non è più un nemico della fede ma un rivale in amore, un
rivale che peraltro, sul piano umano, non è inferiore a lui, in quanto, come
lui, prova forti sentimenti d'amore, passione intensa per la propria amata,
riconoscimento di gratitudine ed è persino capace di alta poesia. Combattere
un nemico che, senza Angelica di mezzo, sarebbe parso un amico non ha senso,
e infatti l'Ariosto farà risalire l'origine degli Estensi a un matrimonio
tra il saraceno Ruggero (poi convertito) e la cristiana Bradamante.
- L'Orlando dell'Ariosto non è semplicemente "innamorato" (come nel
Boiardo) ma "furioso", perché vive i valori religiosi con nevrosi e psicosi,
cercando ad essi un'alternativa di pari livello, che però non può trovare
nella passione amorosa, la quale, essendo dettata da ciechi istinti, da
spontaneismi individualistici, da estetismi, non può creare valori ma solo
distruggerli. Infatti soltanto grazie all'aiuto straordinario, eccezionale,
di Astolfo, un aiuto del tutto esterno alla propria malattia, Orlando riesce a tornare in sé. Tuttavia gli uomini sono
avvisati: il credente che non sa diventare borghese e vuole restare feudale,
rischia d'impazzire. L'unico modo di guarire è rinunciare alle proprie
passioni, ai propri fantasmi: ridimensionarsi. Non è possibile infatti
cambiare completamente il luogo della propria esistenza per vivere una
diversa forma di vita: è un'illusione quella di potersi sottrarre ai
condizionamenti che limitano la felicità personale (il palazzo del mago
Atlante va accuratamente evitato). Il vero senno degli
uomini non è sulla Terra ma sulla Luna, e quindi è utopico: sulla Terra ci
si deve accontentare dei compromessi. Orlando, in un certo senso, anticipa
la pazzia reale del Tasso, che viene costretto con la forza, contro la
propria volontà, a credere nella fede cattolica.
- Si può uccidere per amore? Nell'Orlando Furioso viene teoricamente
confermato come legittimo il medievale delitto d'onore, che però
praticamente non si compie. L'uomo che uccide a causa del tradimento
dell'amata, in questo caso lo avrebbe fatto in uno stato di alterazione, in
cui il senso di umanità era perduto. Sarebbe mancata la lucidità medievale
(come quella di Gianciotto che elimina la moglie Francesca e l'amante), protetta da
connivenze di potere (Gianciotto infatti non incorre in alcuna sanzione).
L'Orlando impazzito avrebbe potuto uccidere Angelica e Medoro e forse
sarebbe stato perdonato non per il gesto ma per la sua follia. Senonché
dalla sua follia lui ha il dovere di guarire, per cui non può uccidere. Deve
tornare ad essere cristiano, anche se ha dimostrato di possedere una fede
formale, poco sentita. Deve appunto diventare un cristiano-borghese,
la cui fede è convenzionale e il cui desiderio nei confronti della propria
amata deve restare controllato, un desiderio che dovrà per forza essere di
tipo "etico" e non più "estetico", dovrà essere
quello del "marito" non quello dell'"amante", un desiderio nei limiti della
ragione, in quanto ciò che più conta nella società borghese non è né
l'ideale cristiano né la passione amorosa, ma il controllo razionale
dell'emotività e l'adempimento della ragion di stato nel rispetto
convenzionale delle formali regole del vivere civile.
- Angelica ama chi le pare, non è schiava di nessuno. Non può essere data
in premio al miglior paladino nella guerra contro i saraceni, non è merce di
scambio. Anzi qui appare come un vano oggetto del desiderio, che un
cristiano-borghese non si può permettere. Se anche infatti la fede viene
percepita come vuota e inutile, non per questo il borghese deve abbandonarsi
agli eccessi, all'intemperanza. L'estetica non ha in sé la soluzione alla
crisi della fede: bisogna darsi una nuova etica, che affronti in maniera
sobria i propri desideri, che resti nei limiti del buon senso.
- Nella ricerca degli indizi, delle prove dell'infedeltà di Angelica,
Orlando si comporta in maniera molto razionale, facendo supposizioni,
ipotesi, cercando conferme. Ha un atteggiamento molto moderno,
intellettuale, da investigatore. Eppure questo non gli serve per non
impazzire. L'Ariosto ha voluto dimostrare che per diventare dei buoni
borghesi non basta la cultura (Orlando sapeva anche leggere l'arabo): ci
vuole la consapevolezza del proprio limite. Per questo l'Ariosto non amava
le corti signorili, dove la ricchezza ostentata le aveva portate a
rivaleggiare tra loro, favorendo l'ingresso degli stranieri in Italia.
- L'Orlando che fa il gaudente e il viveur, un po’ playboy e un po’ dandy
(nel bosco in realtà gli piace bighellonare e stare sui prati) è quello che
l'Ariosto sarebbe voluto diventare e che non poté diventare a causa delle
incombenze familiari, quelle incombenze che poi lo porteranno a maturare e a
diventare un buon padre e un buon marito.
- Astolfo fa la parte del moderno psicanalista e Orlando può essere curato
solo perché la sua nevrosi non è diventata una psicosi irrecuperabile.
Orlando è un disadattato, come don Chisciotte: non ha capito l’evoluzione
laica dei tempi, anche se alla fine la lezione gli è servita e si
ridimensiona. è il problema delle persone egocentriche e intelligenti, che
vogliono adeguare la realtà ai loro desideri, senza cercare mediazioni di
sorta e che poi, di fronte ai primi seri problemi, perdono la testa,
s’impuntano, infieriscono contro l’avversario… Sono intelligenti ma non
razionali, direbbe Hegel. L’intelletto divide, la ragione unisce, sa trovare
mediazioni. A queste persone, per tornare in sé, ridimensionando il proprio
smisurato ego, occorrono batoste traumatiche, solo che se hanno il potere
politico-militare (i grandi dittatori della storia) è la popolazione a
rimetterci, peraltro giustamente, se non fa nulla per impedire sul nascere
queste forme di irrazionalismo.
IL CASTELLO DI ATLANTE
Il castello del mago Atlante, sui Pirenei, rappresenta l'illusione che vince
la passione amorosa (il cieco istinto) dei paladini, che non fanno il loro
dovere cristiano di combattere il nemico saraceno. Ma gli stessi saraceni ne
sono vittime (p.es. Ferraù, che pur alla fine s'accontenta dell'elmo di Orlando,
rinunciando ad Angelica), a testimonianza che per l'Ariosto le debolezze umane
sono trasversali alle religioni, anche se qui, nella fattispecie, il mago
Atlante vuole difendere il saraceno Ruggiero.
Angelica è l'unica che supera l'inganno (dei sensi deviati dalla passione)
grazie all'uso dell'anello magico: non tanto perché innocente, quanto perché
accorta, prudente, calcolatrice, come una perfetta donna borghese di famiglia
(che infatti sposerà l'umile fante Medoro, pure lui saraceno), mentre i paladini
rappresentano la nobiltà decadente del Medioevo cristiano, che combatte i
saraceni senza un vero motivo, soltanto perché qualche autorità glielo chiede,
ma che, se potesse, farebbe tutt'altro (p.es. dedicarsi all'amore). E' lei a
farli uscire dal castello. Avrebbe voluto uno di loro come scorta per tornare in
Cina, ma poi pensa che l'anello magico che la rende invisibile possa bastare.
La realtà, dentro il castello, era un gioco di apparenze ingannevoli.
L'oggetto del desiderio altro non era che una creazione soggettiva, frutto di
suggestione, da parte di uomini resi ciechi dalla passione, dalle proprie
fissazioni. Era la loro immaginazione che conferiva valore agli oggetti. Qui
siamo in presenza dell'uso strumentale della credulità: è una forma di religione
laicizzata, in quanto non vi sono dogmi in cui credere. Una tecnica che oggi si
applica nella pubblicità.
Sono talmente presi dalle loro fantasie che gli uomini tra loro non si
riconoscono neppure, non avendo un criterio oggettivo di verifica. Ognuno vede
le cose in maniera diversa e si danno vicendevolmente del pazzo.
Nella descrizione di questo castello l'Ariosto critica il mondo feudale e
quello delle corti signorili, che per lui sono privi di senso della realtà.Il
palazzo è come la selva oscura dell'Inferno dantesco, da cui non si può uscire
senza un aiuto esterno: è la metafora di una società priva di speranze.
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