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General: la natura
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Respuesta  Mensaje 1 de 4 en el tema 
De: molly59  (Mensaje original) Enviado: 13/06/2015 11:53


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Respuesta  Mensaje 2 de 4 en el tema 
De: Ver@ Enviado: 13/06/2015 14:06
 

Il rapporto dell’uomo con la natura fra passato e futuro

Per l’uomo attuale la natura viene vissuta come una realtà  che sta fuori di noi, di cui ci serviamo per nutrirci, vestirci, costruire case, macchine e così via, di cui ci consideriamo padroni sfruttandone i materiali e l’energia. Ciò corrisponde alla nostra moderna coscienza scientifica: guardiamo verso la natura come spettatori, ne studiamo le leggi con un approccio prettamente quantitativo e analitico, considerando la dimensione morale della nostra esperienza come una realtà privata e personale, del tutto staccata dalla ricerca scientifica. Una visione chiaramente dualistica. Quale conseguenza si evidenzia da questa impostazione ? E. Fromm la caratterizza dicendo: la scienza attuale ha un carattere necrofilo, cioè distruttivo nei confronti della natura. Il dramma ecologico ne è la più evidente espressione. Il principio analitico ha in sé un processo di divisione, un insieme viene fatto a pezzi e poi mi restano in mano le parti. Se tento di ricomporle ottengo una macchina, una sintesi artificiale, ma non una realtà vivente.


Respuesta  Mensaje 3 de 4 en el tema 
De: Ver@ Enviado: 13/06/2015 14:08

Abbiamo visto così tre grandi tappe nel rapporto dell’uomo con la natura: una fase magico religiosa legata allo sviluppo della volontà, una fase mitologica simbolica legata allo sviluppo del sentimento  e l’inizio di una fase scientifica legata allo sviluppo del pensiero. Questo sguardo al passato consente di cogliere  diverse dimensioni della coscienza dell’uomo, così da avere qualche elemento per potersi orientare verso il futuro, là dove si fa il tentativo di andare oltre quell’approccio necrofilo visto all’inizio, in direzione di un percorso biofilo adeguato all’uomo moderno.

Respuesta  Mensaje 4 de 4 en el tema 
De: Nando1 Enviado: 13/06/2015 14:15
giustizia-Reyhaneh-Jabbari
 
Che giustizia c’è stata per Reyḥāneh Jabbāri?
Una donna è stata costretta a salire sul patibolo. Lei come ultimo sberleffo a quel potere miserabile che la stava ammazzando, s’è messa a ballare con il cappio al collo.
Una danza senza musica, senza rumore, senza parole, un dondolio assordante fino all’ultimo rantolo, nell’estremo tentativo di mantenere intatta la propria dignità, rimettendo al popolo dei giusti, peraltro assenti, quella condanna di un potere religioso, giuridico, politico, al di fuori di qualsiasi norma, legge, comando di Dio, sempre che Dio da quelle parti esista ancora o non gli sia già stata tagliata la gola.
Un uomo tenta di stuprare la donna, che si difende disperatamente, riesce a sottrarsi dall’attacco di quel violento, per giunta funzionario dei servizi di Stato. Cosa fa la legge di quello Stato? La mette in galera, la tortura, la condanna a morte, infine la ricatta: se abiuri, se ritratti, se confessi di averlo ucciso per tuoi interessi, non perché ti stava violentando, ti verrà evitata la morte.
Quello stato che fonda le sue radici sulla fede che professa, inciampa rovinosamente sulle proprie contraddizioni, una piccola donna, non accettando lo scambio né la maschera di Dio offeso e umiliato, diventa una vera martire. Lei sì una vera martire.
Fede, politica, giustizia, quando le dosi sono altamente squilibrate, formano un materiale ad alto potenziale, circondano un paese con il filo spinato, le ideologie rendono patetiche le preghiere, ingannevoli le lodi, che diventano minaccia e violenza, infine è forca nei riguardi di un popolo sottomesso.
Eppure Dio non è uno straniero, è vivo sulla carta, sui libri, nelle parole di ciascuno, Dio non è lontano, è prossimo, non è possibile barare così malamente per chi crede Dio, quel Dio così ben pronunciato dall’alto e in basso di quella corda tesa, di quel legno a ospitarne nuovamente il corpo.
Non sarà mai una norma imposta dallo scranno più alto a travestire Dio, a farne un imbroglione e poi un assassino, fino a costringerlo di spalle a una pratica quotidiana che invece è ben vergata nel Vangelo come nel Corano, in qualsiasi libro che ne ospita le orme. C’è da chiedersi se anche questa morte sarà avvolta dai silenzi che riempiranno di dobloni sonanti le stive dei galeoni in ordinata attesa.
Chissà se rimarranno i segni sparsi all’intorno per educarci davvero alla promozione umana, all’unica forma di socialità, di legalità, di giustizia possibili, perché hanno residenza e cittadinanza nella responsabilità.
La vita ingiustamente rubata a Reyḥāneh Jabbāri ci obbliga a non guardare da un’altra parte, a non fare finta di niente, perché ciò non è assoluzione per alcuno, ma consapevolezza che non è più sufficiente predicare il bene, è necessario praticarlo quel bene che è comune, attraverso l’impegno di tutti i giorni.
Vincenzo Andraous


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