Questa sostanza, utilizzata per tingere i tessuti e renderli più brillanti,
è altamente tossica per l’ambiente e, in particolar modo, per gli ecosistemi acquatici.
L’acqua utilizzata per lavare i vestiti contenenti NPE, infatti,
assorbe questo composto chimico che nemmeno i sistemi di depurazione riescono a smaltire.
Il liquido contaminato arriva direttamente nei bacini d’acqua popolati da pesci e altri esseri viventi,
destinati o meno al mercato alimentare, compromettendo il funzionamento
del loro sistema endocrino e di tutte le attività a esso connesse.
Il report “Dirty Laundry 2: Hung out to dry” di Greenpeace del 2011 attesta che un’enorme
quantità di vestiti presenti in commercio contengono NPE,
tra cui anche prodotti di alcune grandi marche della filiera tessile.
Alla luce di ciò, quindi, il solo senso di responsabilità dei consumatori
non può bastare per arginare il problema, è necessario un intervento autorevole.
In Europa, esiste già da anni una norma che vieta la vendita di articoli contenenti nonilfenoli etossilati,
ma si tratta di una limitazione applicata esclusivamente ai prodotti realizzati all’interno del continente.
Sotto impulso dell’Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche (ECHA), con sede a Helsinki,
il Parlamento europeo ha annunciato che, d’ora in poi,
il divieto varrà anche per quei prodotti importati da paesi asiatici,
come la Cina, dove vige ancora l’anarchia sulle questioni ambientali.
Questo provvedimento dell’Ue incarna un forte messaggio:
è solo bloccando le importazioni a rischio e diminuendo la domanda di merce
di questo tipo che si possono stimolare i Paesi asiatici,
principali fornitori tessili per il commercio europeo,
a diminuire la pratica di attività dannose per il Pianeta.