Sacerdote
Bra, Cuneo, 3 maggio 1786 – Chieri, Torino, 30 aprile 1842
Etimologia: Giuseppe = aggiunto (in famiglia), dall'ebraico
Giuseppe Benedetto nacque a Bra primogenito di dodici fratelli, da un modesto esattore del pubblico erario. Dalla mamma ereditò quel tenero amore per i poveri e i malati che lo contraddistinse per l’intera vita. Quando il figlio aveva cinque anni ella lo sorprese a misurare le pareti di una stanza, che egli già sognava di poter riempire di letti per i sofferenti non appena ne avesse avute le possibilità. All’età di soli dieci anni Giuseppe si propose di vivere alla presenza di Dio e di farsi santo. Trasportato da un innato fervore religioso, di giorno era solito animare la casa con i canti imparati in parrocchia ed alla sera, al suono di un ferro di cucina, richiamava i familiari a pregare dinanzi al quadro della Vergine Maria. Già terziario francescano, il 2 ottobre 1802 il Cottolengo ricevette la veste talare dalle mani del parroco. Nel 1805 entrò nel seminario di Asti sino all’ordinazione presbiterale che gli fu conferita l’8 giugno 1811. Rendendosi conto della deficienza degli studi teologici chiese con insistenza di poter integrare i suoi studi a Torino. Nel 1816 finalmente conseguì così il dottorato in teologia. Nel 1818 ricevette la nomina a canonico della basilica torinese del Corpus Domini, dove per nove anni profuse instancabilmente le sue forze. Divenne così ben presto l’apostolo della confessione, il consolatore dei malati ed il soccorritore dei poveri. A questi ultimi donava tutto quanto gli fosse possibile: i compensi delle predicazioni, le elemosine delle Messe, i regali ricevuti dalla famiglia e le elargizioni dei bottegai. Per sollevare dalla miseria il più grande numero possibile di indigenti il Cottolengo persino d’inverno faceva economia nel proprio abbigliamento e nel riscaldamento.Il Cottolengo percepiva però che quella non era veramente la sua vocazione ed ipotizzò di essere chiamato alla vita religiosa, ma il suo confessore Padre Fontana, gli disse apertamente: “Voi sarete un povero sacerdote di Torino, perché Dio vuole servirsi di voi per opere di sua gloria”. Dopo aver letto la vita di San Vincenzo de’ Paoli, il Cottolengo comprese allora che la sua vera strada era quella della carità. La definitiva vocazione gli fu svelata da un pietoso episodio nel settembre 1827, quando la famiglia Gonet, con tre bambini, transitante da Milano a Lione, aveva trovato ristoro in un’osteria della parrocchia del Corpus Domini. La moglie si disponeva già a ripartire, quando, colta da grave malore, morì assistita dal “Canonico buono” dopo essere stata respinta dall’ospedale dei tubercolotici poiché incinta e dall’ospizio di maternità in quanto malata. Il santo pensò allora di istituire un ricovero che potessero spalancare le porte ad ogni sorta di infelici. L’opera prese il via il 17 gennaio 1828 con quattro letti in alcune stanze affittate nella casa detta della Volta Rossa. I primi collaboratori furono il medico Lorenzo Granetti, il farmacista regio Paolo Anglesio e dodici visitatrici dei malati dette “Dame di Carità”, che riunì sotto la direzione della ricca vedova Marianna Nasi. Quando a Torino nel 1831 scoppiò il colera, l’ospedaletto fu chiuso a causa del pericolo di contagi. Il Cottolengo, comprò un casetta a Valdocco, proprio nella zona ove poco dopo sarebbe fiorite anche le opere fondate da Giulia di Barolo e San Giovanni Bosco, e vi si trasferì il 27 aprile 1832 con due suore ed un canceroso, adagiato su di un carretto trainato da un asinello. Queste furono le umilissime origini della Piccola Casa della Divina Provvidenza. Il vasto terreno, con l’aiuto di parecchi benefattori e specialmente del Cavalier Ferrero, si costellò ben presto di vari ospedaletti, asili e orfanotrofi. L’unico valido mezzo per portare a compimento la grandiosa opera fu un’illimitata fiducia nella Provvidenza Divina, invocata con costante orazione, e nessuna diretta richiesta fu mai rivolta alla generosità dei torinesi o della corte. Nel 1833 il re Carlo Alberto di Savoia eresse l’opera ad ente morale e nominò il Giuseppe Benedetto Cottolengo cavaliere dell’Ordine Mauriziano. Il santo accettò sentenziando: “Passino i doni ai miei poveri. Io ritengo la croce. Provvidenza e croce sono due cose che vanno unite”. Al termine dell’anno era già pronto un primo grande ospedale da 200 posti letto, al quale ne seguì un altro per tutti i soggetti rifiutati dalla società. Egli stesso riceveva i malati alla porta a capo scoperto, per affidarli alle suore dicendo: “Sono doni di Dio. Siano le vostre pietre preziose”. Al servizio di questa nascente cittadella della carità, il Cottolengo istituì nel 1833 le Suore Vincenzine; nel 1841 le Suore della Divina Pastora per curare la preparazione delle ricoverate ai sacramenti; nel 1839 le Suore Carmelitane Scalze dedite alla via contemplativa; nel 1840 le Suore del Suffragio per i lavori di cucito e le Suore Penitenti di Santa Taide per la conversione delle traviate; infine nel 1841 le Suore della Pietà per assistere i morenti. Era solito ripetere alle sue più strette collaboratrici: “Presenza di Dio, occhi bassi, testa alta, abitino al collo e rosario al fianco. Così, in mezzo ad un reggimento di soldati, sarete senza timore”. Per l’assistenza ai malati di sesso maschile istituì i “Fratelli di San Vincenzo”, per l’amministrazione dei sacramenti i “Sacerdoti della Santissima Trinità”, nonché il reparto giovanile dei “Tommasini”, cioè seminaristi aspiranti al sacerdozio. A tutti ripeteva spesso: Ciò che tiene in piedi la Piccola Casa sono le preghiere e la comunione”. Infatti, quando era a corto di viveri o di soldi, il santo era solito inginocchiarsi ai piedi della Vergine ed ottenere così infallibilmente tutto quanto gli occorreva. Dio gli aveva addirittura concesso il dono di leggere nei cuori altrui, di prevedere il futuro e di conoscere anche le circostanze della propria morte. Nel febbraio 1842 il santo passò diverse settimane a sbrigare affari che non parevano urgenti, dopodichè visitò tutte le case che aveva fondato ed ovunque lasciò chiaramente intendere che quello era il suo ultimo addio. “Pregate per me, che sono alla fine dei miei giorni. Vi benedico per l’ultima volta. Ora non posso più nulla per la Piccola Casa, ma giunto in cielo pregherò e continuerò ad essere il vostro padre, e voi ricordate le parole che vi disse questo povero vecchio”. Il 21 aprile 1842 affidò al Canonico Luigi Anglesio la direzione della sua opera per potersi ritirare presso il fratello, canonico nella collegiata di Chieri. In tale città morì santamente nel letto che dodici ani prima si era fatto preparare, dopo aver esclamato: “Mi sono rallegrato perché mi è stato detto: Andiamo nella casa del Signore”. Giuseppe Benedetto Cottolengo fu sepolto a Torino nella Piccola Casa, in una cappella della chiesa principale, dove riposa ancora oggi. In seguito ai numerosi miracoli verificatisi per sua intercessione, il pontefice Benedetto XV lo beatificò il 28 aprile 1917 e Pio XI infine lo canonizzò il 19 marzo 1934.
Autore: Fabio Arduino