Vescovo e dottore della Chiesa
Tagaste (Numidia), 13 novembre 354 – Ippona (Africa), 28 agosto 430
Patronato: Teologi, Stampatori Etimologia: Agostino = piccolo venerabile, dal latino Emblema: Bastone pastorale, Libro, Cuore di fuoco
Agostino Aurelio nacque a Tagaste da una famiglia di classe media, piccoli proprietari terrieri, il padre Patrizio era pagano, mentre la madre Monica, che aveva avuto tre figli, dei quali Agostino era il primogenito, era invece cristiana; fu lei a dargli un’educazione religiosa ma senza battezzarlo, come si usava allora, volendo attendere l’età matura. Ebbe un’infanzia molto vivace, ma non certamente piena di peccati, come farebbe pensare una sua frase scritta nelle “Confessioni” dove si dichiara gran peccatore fin da piccolo. I peccati veri cominciarono più tardi; dopo i primi studi a Tagaste e poi nella vicina Madaura, si recò a Cartagine nel 371, con l’aiuto di un facoltoso signore del luogo di nome Romaniano; Agostino aveva 16 anni e viveva l in modo molto vivace ed esuberante e mentre frequentava la scuola di un retore, cominciò a convivere con una ragazza cartaginese, che gli diede nel 372, anche un figlio, Adeodato. Questa relazione sembra che sia durata 14 anni, quando nacque inaspettato il figlio; Agostino fu costretto, come si suol dire, a darsi una regolata, riportando la sua condotta inconcludente e dispersiva, su una più retta strada, ed a concentrarsi negli studi, per i quali si trovava a Cartagine. Le lagrime della madre Monica, cominciavano ad avere un effetto positivo; fu in quegli anni che maturò la sua prima vocazione di filosofo, grazie alla lettura di un libro di Cicerone, l’”Ortensio” che l’aveva particolarmente colpito, perché l’autore latino affermava, come soltanto la filosofia aiutasse la volontà ad allontanarsi dal male e ad esercitare la virtù. Ultimati gli studi, tornò nel 374 a Tagaste, dove con l’aiuto del suo benefattore Romaniano, aprì una scuola di grammatica e retorica, e fu anche ospitato nella sua casa con tutta la famiglia, perché la madre Monica aveva preferito separarsi da Agostino, non condividendo le sue scelte religiose; solo più tardi lo riammise nella sua casa, avendo avuto un sogno premonitore, sul suo ritorno alla fede cristiana. Dopo due anni nel 376, decise di lasciare il piccolo paese di Tagaste e ritornare a Cartagine e sempre con l’aiuto dell’amico Romaniano, che egli aveva convertito al manicheismo, aprì anche qui una scuola, dove insegnò per sette anni. Desideroso di nuove esperienze e stanco dell’indisciplina degli alunni cartaginesi, Agostino resistendo alle preghiere dell’amata madre, che voleva trattenerlo in Africa, decise di trasferirsi a Roma, capitale dell’impero, con tutta la famiglia. A Roma, con l’aiuto dei manichei, aprì una scuola, ma non fu a suo agio. Subì una malattia gravissima che lo condusse quasi alla morte, nel contempo poté constatare che i manichei romani, se in pubblico ostentavano una condotta irreprensibile e casta, nel privato vivevano da dissoluti; disgustato se ne allontanò per sempre. Nel 384 riuscì ad ottenere, con l’appoggio del prefetto di Roma, Quinto Aurelio Simmaco, la cattedra vacante di retorica a Milano, dove si trasferì, raggiunto nel 385, inaspettatamente dalla madre Monica, la quale conscia del travaglio interiore del figlio, gli fu accanto con la preghiera e con le lagrime, senza imporgli nulla, ma bensì come un angelo protettore. E Milano fu la tappa decisiva della sua conversione; qui ebbe l’opportunità di ascoltare i sermoni di s. Ambrogio che teneva regolarmente in cattedrale, ma se le sue parole si scolpivano nel cuore di Agostino. Un successivo incontro con s. Ambrogio, procuratogli dalla madre, segnò un altro passo verso il battesimo; si ipotizza che sia stato convinto da Monica a seguire il consiglio dell’apostolo Paolo, sulla castità perfetta, e che sia stato convinto pure a lasciare la moglie, la quale secondo la legge romana, essendo di classe inferiore, era praticamente una concubina, rimandandola in Africa e tenendo presso di sé il figlio Adeodato. Dopo qualche settimana ancora d’insegnamento di retorica, Agostino lasciò tutto, ritirandosi insieme alla madre, il figlio ed alcuni amici, ad una trentina di km. da Milano, a Cassiciaco, in meditazione e in conversazioni filosofiche e spirituali; volle sempre presente la madre, perché partecipasse con le sue parole sapienti. Nella Quaresima del 386 ritornarono a Milano per una preparazione specifica al Battesimo, che Agostino, il figlio Adeodato e l’amico Alipio ricevettero, dalle mani di s. Ambrogio. Intenzionato a creare una Comunità di monaci in Africa, decise di ritornare nella sua patria e nell’attesa della nave, la madre Monica improvvisamente si ammalò di una febbre maligna (forse malaria) e il 27 agosto del 387 morì a 56 anni. Il suo corpo trasferito a Roma si venera nella chiesa di S. Agostino, essa è considerata il modello e la patrona delle madri cristiane. Dopo qualche mese trascorso a Roma nel 388 ritornò a Tagaste, dove vendette i suoi pochi beni, distribuendone il ricavato ai poveri e ritiratosi con alcuni amici e discepoli, fondò una piccola comunità, dove i beni erano in comune proprietà. Ma dopo un po’ l’affollarsi continuo dei concittadini, per chiedere consigli ed aiuti, disturbava il dovuto raccoglimento, fu necessario trovare un altro posto e Agostino lo cercò presso Ippona. Trovatosi per caso nella basilica locale, in cui il vescovo Valerio, stava proponendo ai fedeli di consacrare un sacerdote che potesse aiutarlo, specie nella predicazione; accortasi della sua presenza, i fedeli presero a gridare: “Agostino prete!” allora si dava molto valore alla volontà del popolo, considerata volontà di Dio e nonostante che cercasse di rifiutare, perché non era questa la strada voluta, Agostino fu costretto ad accettare. La città di Ippona ci guadagnò molto, la sua opera fu fecondissima, per prima cosa chiese al vescovo di trasferire il suo monastero ad Ippona, per continuare la sua scelta di vita, che in seguito divenne un seminario fonte di preti e vescovi africani. L’iniziativa agostiniana gettava le basi del rinnovamento dei costumi del clero, egli pensava: “Il sacerdozio è cosa tanto grande che appena un buon monaco, può darci un buon chierico”. Scrisse anche una Regola, che poi nel IX secolo venne adottata dalla Comunità dei Canonici Regolari o Agostiniani. Il vescovo Valerio nel timore che Agostino venisse spostato in altra sede, convinse il popolo e il primate della Numidia, a consacrarlo vescovo coadiutore di Ippona; nel 397 morto Valerio, egli gli successe come titolare. Dovette lasciare il monastero e intraprendere la sua intensa attività di pastore di anime, che svolse egregiamente, tanto che la sua fama di vescovo illuminato si diffuse in tutte le Chiese Africane. Nel contempo scriveva le sue opere che abbracciano tutto il sapere ideologico e sono numerose, vanno dalle filosofiche alle apologetiche, dalle dogmatiche alle morali e pastorali, dalle bibliche alle polemiche. Queste ultime riflettono l’intensa e ardente battaglia che Agostino intraprese contro le eresie che funestavano l’unità della Chiesa in quei tempi. Le tante sue opere, dalle “Confessioni” fino alla “Città di Dio”, gli hanno meritato il titolo di Dottore della Chiesa. Nel 429 si ammalò gravemente, mentre Ippona era assediata da tre mesi dai Vandali comandati da Genserico († 477), dopo che avevano portato morte e distruzione dovunque; il santo vescovo ebbe l’impressione della prossima fine del mondo; morì il 28 agosto del 430 a 76 anni. Il suo corpo sottratto ai Vandali durante l’incendio e distruzione di Ippona, venne trasportato poi a Cagliari dal vescovo Fulgenzio di Ruspe, verso il 508-517 ca., insieme alle reliquie di altri vescovi africani. Verso il 725 il suo corpo fu di nuovo traslato a Pavia, nella Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, non lontano dai luoghi della sua conversione, ad opera del pio re longobardo Liutprando († 744), che l’aveva riscattato dai saraceni della Sardegna.
Autore: Antonio Borrelli
Vescovo e dottore della Chiesa
Tagaste (Numidia), 13 novembre 354 – Ippona (Africa), 28 agosto 430
Patronato: Teologi, Stampatori Etimologia: Agostino = piccolo venerabile, dal latino Emblema: Bastone pastorale, Libro, Cuore di fuoco
Agostino Aurelio nacque a Tagaste da una famiglia di classe media, piccoli proprietari terrieri, il padre Patrizio era pagano, mentre la madre Monica, che aveva avuto tre figli, dei quali Agostino era il primogenito, era invece cristiana; fu lei a dargli un’educazione religiosa ma senza battezzarlo, come si usava allora, volendo attendere l’età matura. Ebbe un’infanzia molto vivace, ma non certamente piena di peccati, come farebbe pensare una sua frase scritta nelle “Confessioni” dove si dichiara gran peccatore fin da piccolo. I peccati veri cominciarono più tardi; dopo i primi studi a Tagaste e poi nella vicina Madaura, si recò a Cartagine nel 371, con l’aiuto di un facoltoso signore del luogo di nome Romaniano; Agostino aveva 16 anni e viveva l in modo molto vivace ed esuberante e mentre frequentava la scuola di un retore, cominciò a convivere con una ragazza cartaginese, che gli diede nel 372, anche un figlio, Adeodato. Questa relazione sembra che sia durata 14 anni, quando nacque inaspettato il figlio; Agostino fu costretto, come si suol dire, a darsi una regolata, riportando la sua condotta inconcludente e dispersiva, su una più retta strada, ed a concentrarsi negli studi, per i quali si trovava a Cartagine. Le lagrime della madre Monica, cominciavano ad avere un effetto positivo; fu in quegli anni che maturò la sua prima vocazione di filosofo, grazie alla lettura di un libro di Cicerone, l’”Ortensio” che l’aveva particolarmente colpito, perché l’autore latino affermava, come soltanto la filosofia aiutasse la volontà ad allontanarsi dal male e ad esercitare la virtù. Ultimati gli studi, tornò nel 374 a Tagaste, dove con l’aiuto del suo benefattore Romaniano, aprì una scuola di grammatica e retorica, e fu anche ospitato nella sua casa con tutta la famiglia, perché la madre Monica aveva preferito separarsi da Agostino, non condividendo le sue scelte religiose; solo più tardi lo riammise nella sua casa, avendo avuto un sogno premonitore, sul suo ritorno alla fede cristiana. Dopo due anni nel 376, decise di lasciare il piccolo paese di Tagaste e ritornare a Cartagine e sempre con l’aiuto dell’amico Romaniano, che egli aveva convertito al manicheismo, aprì anche qui una scuola, dove insegnò per sette anni. Desideroso di nuove esperienze e stanco dell’indisciplina degli alunni cartaginesi, Agostino resistendo alle preghiere dell’amata madre, che voleva trattenerlo in Africa, decise di trasferirsi a Roma, capitale dell’impero, con tutta la famiglia. A Roma, con l’aiuto dei manichei, aprì una scuola, ma non fu a suo agio. Subì una malattia gravissima che lo condusse quasi alla morte, nel contempo poté constatare che i manichei romani, se in pubblico ostentavano una condotta irreprensibile e casta, nel privato vivevano da dissoluti; disgustato se ne allontanò per sempre. Nel 384 riuscì ad ottenere, con l’appoggio del prefetto di Roma, Quinto Aurelio Simmaco, la cattedra vacante di retorica a Milano, dove si trasferì, raggiunto nel 385, inaspettatamente dalla madre Monica, la quale conscia del travaglio interiore del figlio, gli fu accanto con la preghiera e con le lagrime, senza imporgli nulla, ma bensì come un angelo protettore. E Milano fu la tappa decisiva della sua conversione; qui ebbe l’opportunità di ascoltare i sermoni di s. Ambrogio che teneva regolarmente in cattedrale, ma se le sue parole si scolpivano nel cuore di Agostino. Un successivo incontro con s. Ambrogio, procuratogli dalla madre, segnò un altro passo verso il battesimo; si ipotizza che sia stato convinto da Monica a seguire il consiglio dell’apostolo Paolo, sulla castità perfetta, e che sia stato convinto pure a lasciare la moglie, la quale secondo la legge romana, essendo di classe inferiore, era praticamente una concubina, rimandandola in Africa e tenendo presso di sé il figlio Adeodato. Dopo qualche settimana ancora d’insegnamento di retorica, Agostino lasciò tutto, ritirandosi insieme alla madre, il figlio ed alcuni amici, ad una trentina di km. da Milano, a Cassiciaco, in meditazione e in conversazioni filosofiche e spirituali; volle sempre presente la madre, perché partecipasse con le sue parole sapienti. Nella Quaresima del 386 ritornarono a Milano per una preparazione specifica al Battesimo, che Agostino, il figlio Adeodato e l’amico Alipio ricevettero, dalle mani di s. Ambrogio. Intenzionato a creare una Comunità di monaci in Africa, decise di ritornare nella sua patria e nell’attesa della nave, la madre Monica improvvisamente si ammalò di una febbre maligna (forse malaria) e il 27 agosto del 387 morì a 56 anni. Il suo corpo trasferito a Roma si venera nella chiesa di S. Agostino, essa è considerata il modello e la patrona delle madri cristiane. Dopo qualche mese trascorso a Roma nel 388 ritornò a Tagaste, dove vendette i suoi pochi beni, distribuendone il ricavato ai poveri e ritiratosi con alcuni amici e discepoli, fondò una piccola comunità, dove i beni erano in comune proprietà. Ma dopo un po’ l’affollarsi continuo dei concittadini, per chiedere consigli ed aiuti, disturbava il dovuto raccoglimento, fu necessario trovare un altro posto e Agostino lo cercò presso Ippona. Trovatosi per caso nella basilica locale, in cui il vescovo Valerio, stava proponendo ai fedeli di consacrare un sacerdote che potesse aiutarlo, specie nella predicazione; accortasi della sua presenza, i fedeli presero a gridare: “Agostino prete!” allora si dava molto valore alla volontà del popolo, considerata volontà di Dio e nonostante che cercasse di rifiutare, perché non era questa la strada voluta, Agostino fu costretto ad accettare. La città di Ippona ci guadagnò molto, la sua opera fu fecondissima, per prima cosa chiese al vescovo di trasferire il suo monastero ad Ippona, per continuare la sua scelta di vita, che in seguito divenne un seminario fonte di preti e vescovi africani. L’iniziativa agostiniana gettava le basi del rinnovamento dei costumi del clero, egli pensava: “Il sacerdozio è cosa tanto grande che appena un buon monaco, può darci un buon chierico”. Scrisse anche una Regola, che poi nel IX secolo venne adottata dalla Comunità dei Canonici Regolari o Agostiniani. Il vescovo Valerio nel timore che Agostino venisse spostato in altra sede, convinse il popolo e il primate della Numidia, a consacrarlo vescovo coadiutore di Ippona; nel 397 morto Valerio, egli gli successe come titolare. Dovette lasciare il monastero e intraprendere la sua intensa attività di pastore di anime, che svolse egregiamente, tanto che la sua fama di vescovo illuminato si diffuse in tutte le Chiese Africane. Nel contempo scriveva le sue opere che abbracciano tutto il sapere ideologico e sono numerose, vanno dalle filosofiche alle apologetiche, dalle dogmatiche alle morali e pastorali, dalle bibliche alle polemiche. Queste ultime riflettono l’intensa e ardente battaglia che Agostino intraprese contro le eresie che funestavano l’unità della Chiesa in quei tempi. Le tante sue opere, dalle “Confessioni” fino alla “Città di Dio”, gli hanno meritato il titolo di Dottore della Chiesa. Nel 429 si ammalò gravemente, mentre Ippona era assediata da tre mesi dai Vandali comandati da Genserico († 477), dopo che avevano portato morte e distruzione dovunque; il santo vescovo ebbe l’impressione della prossima fine del mondo; morì il 28 agosto del 430 a 76 anni. Il suo corpo sottratto ai Vandali durante l’incendio e distruzione di Ippona, venne trasportato poi a Cagliari dal vescovo Fulgenzio di Ruspe, verso il 508-517 ca., insieme alle reliquie di altri vescovi africani. Verso il 725 il suo corpo fu di nuovo traslato a Pavia, nella Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro, non lontano dai luoghi della sua conversione, ad opera del pio re longobardo Liutprando († 744), che l’aveva riscattato dai saraceni della Sardegna.
Autore: Antonio Borrelli
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