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General: TEBRO E MOGOL
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De: Peterpan® (Mensaje original) |
Enviado: 27/11/2009 14:33 |
Mogol
ahò, stavo pe recede, pe arzà le mano, insomma me stavo a convertì, ovverosia a rinuncià a scrive in dialetto quanno, ieri! inaudito! non credevo all' occhi mia, ho letto, non dall'urtimo arrivato ma, addirittura da Mogol: "il dialetto ha una capacità espressiva che la lingua italiana non ha"
tra me e me me so detto: era ora che questo se faceva uscì er fiato! e dì all'urbi et orbi st'ovvietà. comunque grazie Mogol. grazie perchè, pur convinto, stavo ad abbandonà la strada vecchia pe quella nuova.
dunque: che er berlusca dica ar "compagno" Fini: o co me o vaffangulo! lo trovo geniale! degno d'un uomo de porzo, d'un uomo che non teme gnente e nessuno! e così j'ho assegnato un artro punto a suo vantaggio. però, porcaputtana, se seguita così, va a finì che Fini vié de qua, e io passo all'artra sponda! com'é strano er monno. |
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...E lo doveva dire Giulio Rapetti-Mogol, scusa? E' risaputo che alcune espressioni dialettali non trovano riscontro nell'italiano. Del resto i dialetti sono oggetto di studio anche nelle Università: esiste perfino un corso di laurea in Dialettologia. Diversi personaggi della letteratura si sono cimentati con la poesia dialettale, cito uno per tutti: Pasolini. Per non parlare di Gadda, romano d'adozione, che nella sua prosa quanto a intersezioni in vernacolo era un vero fenomeno. Il problema è un altro: c'è chi non sa distinguere il proprio dialetto dall'italiano, e questo non è bene (ignoranza). Una conversazione avviene sulla base di un contratto non scritto che prevede il registro linguistico da usare: è opportuno che quando ci si rivolge a un interlocutore che vive in parti d'Italia diverse dalla nostra si adoperi con lui la lingua ufficiale, veicolare. Senza cadere nella presunzione di essere capiti perché... perché il dialetto che parliamo noi lo devono per forza capire tutti gli altri - visione geocentrica.
Credo sia un bene se i dialetti vengono portati avanti nella nostra tradizione, anche se l'ipotesi di insegnarli nelle scuole mi sembra un po' complicata - quale dialetto, poi? Se prendiamo Brescia da un paese all'altro il dialetto varia di parecchio, e dalla parte ovest della provincia a quella est praticamente si parlano due lingue diverse. Idem per il veneto, che da Verona a Belluno subisce tante di quelle modifiche da non sembrare più lo stesso. Sono solo esempi, ma valgono per tutte le province italiane. Dovrebbero insomma essere le famiglie a insegnare il dialetto alla prole, ma questo presenta un rovescio della medaglia: è noto infatti che i bambini abituati al dialetto quando iniziano la scuola si trovano svantaggiati rispetto ai loro compagni 'italofoni'. Anche perché e senza contare che i dialetti, essendo sempre stati parlati dal popolo minuto, sono spesso scarsi quanto a lessico 'elevato': magari hanno mille termini per definire un aratro o un altro strumento agricolo ma restano confinati in un campo limitato dello scibile. La soluzione, volendo, c'è, ed è molto semplice: si prende il termine 'dotto' e lo si adatta alle esigenze fonetiche del dialetto, così come del resto fanno tutte le lingue ufficiali di fronte a un termine importato. Qui, al mio pargoletto che proprio oggi compie sei anni a scuola insegnano qualche poesiola in dialetto, e non ci trovo nulla di male. Oddio, preferirei che imparasse il veneto, ma da queste parti la cosa è difficilina - e io non devo fare il campanilista trullallà. In compenso qualcosa in veneto con lui mi scappa, e anche in romanesco. Insomma, una full immersion plurilinguistica, ohibo'.
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