A proposito dell’articolo sur Messaggero
mercoledì 18/4/01 “ vi racconto il romanesco”
di Alberto Sordi.
Arbè,
te se fusse spuntato quer pennino,
o anchilosata la mandritta mone,
tu appiggionavi ancora, e co ragione:
in fonn’ar core a gni trasteverino.
Perché rappresentavi l’illusione
d’avecce in te: Marforio e Rugantino,
l’Abbate, la Madama e in più Pasquino,
in un tutt’uno, a fa da cicerone.
Portanno pe gni dove, e co cipijo,
l’essenza, e de sta Roma, e der quirite;
che da ogni sempre è stato er degno fijo.
Invece, quer pennino t’ha tradito.
Scrivenno infamie ingiuste e gratuite,
che manc’a dillo Arbè, cianno ferito.
Artro che non t'è partito,
er fritto in der cervello
ed hai sbroccato!
Perché, fusse così, peddio sacrato,
saresti perdonato.
Quann’anche, arimarebbe in fonn’ar core:
un’ammucchiata de rabbia e de rancore,
pe tutto er disonore
che ciài buttato addosso l’antro ieri!
Peccato Arbè, un ciao… marvolentieri.
Tebro
caro peteruccio, tu, vivenno in mezzo alla nebbia, certe cose non puoi capirle! Certi slanci d'affetto e d'amore sincero e spassionato per la propria città non puoi capirli.
Così, che quanno ho detto, (complimenti hai una buona memoria) dell'infamia compiuta (parlavo della sostituzione della toponomastica) cambiando l'antico nome a una piazza, ben più importante, e ben più, storicamente parlando, di un semplice attore, perché Sordi, quann'anche un grande, altro non è stato che il rappresentante di una sequela infinita di romani de Roma, tutti, sappilo, alla sua altezza. Ma lui, come si intuisce dalla poesia (che ho consegnato a mano al suo portiere) a differenza della sequela di romani, si è lasciato andare a delle affermazioni alquanto cretine nei confronti dei romani e soprattutto delle madri romane.
ciao, peteruccio, peteruccio.