Spazzava l’aria dafoschia ed altro, lasciando intravvedere, a sud, gli appennini, creando così un senso di stordimento.
In luoghi dove le uniche ondulazioni che delimitavano l’orizzonte erano, a nord, le morene e le prealpi.
(Vento freddo che arriva da nord, che a causa delle alpi scende e comprime gli strati bassi dell’atmosfera, facendo aumentare la temperatura.)
Gennaio sembrava marzo, ed il torpore invernale si stava dissolvendo come le ultime tracce di neve; dai campi saliva umidore che sapeva di terra fresca e giovane.
Non si era fermato nessuno, e ci eravamo sciroppati a piedi i pochi kilometri che ci portavano al paese dove alcune pollastre si stavano già impiumando per la futura primavera.
Parlavamo di Battisti, De Andrè e dei Nomadi, e di sfortune scolastiche, dovute soprattutto alla nostra scarsa propensione a perder tempo su banchi e libri.
- Guarda che bello, ne siamo fuori! – diceva Ettore, ma non ne eravamo per nulla fuori: era solo un’illusione, come tutto il resto.
Intendevamo la realtà unicamente come il presente offertoci dalla nostra adolescenza, dolce e infinito, immutabile nel futuro.
-Ma perché guardi sempre avanti? - La Mok ha ragione: sono insofferente al presente e d’istinto cerco di meglio avanti, vivendo un assurdo.
Meglio la nebbia, che nasconde almeno la sporcizia e l’invivibilità del progresso.
-Ti spegni, se non l’accetti! – Ok, mi spengo.
E spero che non spiri più il foen: niente farà odorare il suolo di terra umida, e l’orizzonte non esiste più, al di là di ogni strada.
Ettore m’aveva sempre fregato: il suo tempo s’è fermato al ricordo di Battisti, dei De Andrè e dei Nomadi.
guardo i rami dell'albero che mi sta di fronte, non so perchè abbiano attratto il mio sguardo
non sono spogli, sono nudi
puliti, neri, lucidi
non sono contorti, sono in azione potenziale, è questo che mi ha attratto
e mi rendo conto che la linfa sta pulsando in loro, come il sangue pulsa nelle vene di un atleta
ne siamo fuori e l'albero sta preparando le gemme, grosse gemme, che partoriranno grandi foglie
ma per ora sono embrioni che rigonfiano la lucida pelle dei rami
e l'albero è tutto pervaso dall'impegno che quegli embrioni richiedono
stagliato contro lo sfondo grigio, isolato rispetto alla ancora grigia sterpaglia dei cespugli, mi trasmette forza e vitalità
non riesco a staccare lo sguardo da quei rami e sento di essere partecipe di quella spinta ad uscire dalla passiva attesa, dalla rassegnazione al grigiore, dal pessimismo esistenziale
sono viva, domani arriva il foen, dice il metereologo, il merlo fischierà zampettando sul prato e il gatto sarà in agguato, raggomitolato sotto il balcone
forse già domani una primula sboccerà
e io indosserò un maglioncino nuovo, giallo come le primule selvatiche
Ma loro due no. Attendevano la fine del freddo sotto le coperte, uscendone soltanto quando era strettamente necessario, senza quasi più sapere se fosse giorno o fosse ancora notte. Le imposte erano sprangate e così le tende e le finestre. La dispensa era sufficientemente fornita e il riscaldamento spento. Spento il televisore, il cellulare, una vecchia radio, tutto. Anche le luci, sebbene qualche vago bagliore filtrasse dalla cortina di tende e imposte.
Il freddo della minuscola casa era come non esistesse perché trascorrevano le loro giornate al riparo delle coltri, scaldandosi l'uno del calore del corpo dell'altra.
Amanti clandestini, a dispetto dei loro obblighi coniugali, lavorativi, sociali. Volontari del rapimento dei quali forse qualcuno si stava preoccupando, per i quali forse qualcuno aveva cominciato a telefonare, i quali forse qualcuno stava cercando senza sapere, senza nemmeno lontanamente immaginare dove.
Fu la solita stupida fuga di gas a farli scoprire. La solita stupida fuga di gas per riempire un notiziario, per un tassello di tetris tra le colonne di un quotidiano. Li trovarono stupidamente abbracciati, una stupida espressione beata sui loro volti.
La piccola casa adesso era piena di gente stupita e stupida. Mancavano soltanto loro due, che stupidi.
No no no; per ardire l'ingresso nel gotha dei poeti, cara Merenduzzle, devi apphinare la rima, come per es. in 'voto-moto', rima impura in quanto voto ha la 'o' chiusa, mentre 'moto', tranne in Sardegna, l'ha aperta.
Ma devi anche apphinare la metrica: apri con un tridecasillabo cui segue un improponibile enneasillabo e via così, senza alcuna coerenza. Questo non potrà sfuggire all'attenzione del Sommo Vate(r), che del sonetto canonico in endecasillabi ha fatto la sua ragione di vita (non conosce altro verseggiare, direbbero le malelingue, ma non è vero, ecco!).
Seee... Cara Olga Merendìnova, troppo facile cavarsela con un 'me ne frego'. Anzi, sembri segnalare che appartieni al porco docente ('...segnar in rosso e blu...') e questo non deporrebbe a tuo favore. Perché se è vero che per comandare occorre prima saper obbedire, be', per correggere gli altri bisogna prima saper correggere noi stessi.
ehi, merendina, ma davvero ti credi autorizzata e soprattutto capace di montare sul banchetto, a mo di peter, e usare, come all'asilo, le matite rosse blu?
Ma porcaputtanaladra! ma ti rendi conto di quello che dici? Guarda che se non scrivi versi, non puoi, ti è vietato, ergerti a giudice!
ahahahihihih
ehi, merendina, dài, su, rientra in te! posa er fucile, e riponi le matite rosse e blu.