(Checchereguuuuhhh!
Sensacochiiiihhh!
Chelcheghègghèèèhh!!)
Era giunta la sua ora: l'avevano tolto, lui il più grosso e grasso, dalla caponera, e senza tante cerimonie gli avevano tirato il collo.
Tempo meno di un'oretta era già pulito, ed a parte le penne tutto era stato utilizzato: regaglie, collo e zampe per lo 'sguasèt', ed il resto a frollare, appeso nella 'casotta', la stanza adibita a deposito di un po' di tutto, granaglie, ferraglie, utensili, fredda e con rete fine ed inferriata alle finestre, onde evitare l'ingresso ad affamati non invitati e di conseguenza non graditi.
Natale era incombente.
Il giorno dopo le donne preparavano l'impasto per i 'canunsèi': farina e uova, e pure il ripieno, mentre il sacrificato dava il meglio si sè bollendo in un paiolo sulla stufa di cemento e graniglia.
Soffritto di battuta di lardo, due parti di pane grattato ed una di formaggio grattuggiato, nonchè prezzemolo tritato con aglio.
Il tutto bagnato con il brodo del pennuto.
Stesa la pasta sul tavolo, si ritagliavano dei cerchi con un bicchiere rivoltato; venivano riempiti col ripieno, rivoltati e chiusi al bordo con la pressione di una forchetta.
Natale.
Col brodo del cappone si facevano bollire i 'canunsèi', si scolavano e venivano conditi con conserva di pomodoro fatta in casa l'estate prima, debitamente cotta sempre con soffritto.
Anticipavano la portata del ruspante, ripieno, fatto scaldare nel forno della stufa, accompagnato da soppressa bollita, da salame tagliato a fette grosse.
E polenta.
Vino nero come l'inferno.
Il brodo di cottura? Si usava alla sera per fa le tagliatelle, ottenuta dai ritagli della pasta dei 'canunsèi'.
Comunque nella caponera si stava un po' più comodi.