Beh, sono passati sei mesi, e l’aurora anticipa lo splendore della magnifica giornata che aprile sta rubando a giugno.
‘Eos rotodoctolos’, prendo in prestito da Omero, e godo la sinfonia di merli che profuma il silenzio, la brezza fresca e piacevole scorre sulla pelle ricamando brividi lievi, nelle magia di scie di luce di cirri ad est, che sfilacciano nel cielo il primo bagliore del sole.
La fatica della corsa cancella i pensieri del vivere quotidiano, e richiama la fantasia, inascoltata ed affossata dalle necessità spesso insipide ed incolori del traguardo ambito del ragazzo, sopportato dall’adulto e maledetto dal vecchio.
Quanta immensità c’è in un misero filo d’erba: l’uomo in tutte le opere della sua esistenza non ha saputo minimamente avvicinare qualcosa di simile.
Rientro, e nel giardino c’è gazzarra: l’abbaiare continuo e pettegolo di Igor (pechinese) rinforzato da tonalità possenti da baritono di Tito (boxer). M’avvicino e scorgo qualcosa che a prima vista sembra un mucchietto d’erba secca: un giovane porcospino per nulla seccato della situazione che approfittando di un attimo di calma si srotola, si pulisce con delle leccate le zampette e s’incammina impettito per i fatti suoi.
Non mi darebbe affatto fastidio in giardino, anzi, ma sarei obbligato a tenere sedati i miei cani, ed allora, con un tocchetto lo faccio arrotolare, lo metto in un sacchetto e lo porto in campagna.
Sulla riva di un fosso coperta da anemoni lo libero: mi guarda e svelto se ne va.
L’aria già tiepida asciuga le ultime gocce di sudore; tutto è verde. Sarà un sabato da vivere in ogni suo attimo, fatto di presente senza futuro, sulla scia di antiche emozioni.