Il 1974 fu un anno strano. Uno di quegli anni che si fanno ricordare, e non sempre in modo positivo.
Era giusto nel mezzo degli anni di piombo, spiravano venti cupi che facevano temere un golpe che per fortuna non è mai arrivato.Fu l’anno dell’Italicus, delle rivendicazioni minacciose di Ordine nero. Ma anche l’anno delle manifestazioni di piazza antifasciste, in cui ci si sentiva un po’ tutti sulle barricate, in servizio permanente ed effettivo.
L’anno in cui, ai Tolentini, i box delle aule erano occupati e “controllati” dai vari gruppi extraparlamentari di allora, da Autonomia Operaia a Lotta Continua, e le assemblee erano permanenti. Un lieve vento di follia condivisa aleggiava per le strade, cose che a raccontare adesso alle nuove generazioni , non parrebbero verosimili.
Ma fu anche l’anno dei Mondiali di Germania, in cui peraltro l’Italia fece una rapida e poco edificante comparsata, sbattuta fuori nel girone eliminatorio dalla Polonia dei Lato e dei Deyna, sicuramente la migliore Polonia di tutti i tempi, seppur squadra non eccelsa.
Ma per fortuna il resto dei Mondiali fu anche altro. Fu l’inizio della "fiera dei sogni", tanto per riesumare un titolo caro al glorioso Mike televisivo. Il 1974, in definitiva, segnò lo spartiacque fra due modi diversi di intendere il calcio. Quello lineare, massiccio e poderoso ma fondamentalmente statico dei tedeschi, e quello imprevedibile dell’Olanda, che coniugava la fantasia brasiliana con la vigoria teutonica, in un mix che divertiva e faceva contemporaneamente girare la testa a chi li vedeva e alle difese. La suggestione della realtà calcistica di quei giorni aveva un solo colore, l'arancione dell'Olanda di Crujff. Questa premessa spiega da sola cosa ha rappresentato l'Olanda degli anni Settanta, una "Arancia meccanica" che voleva dire trasgressione, un "Sessantotto" del calcio che voleva dire rivoluzione. Basta con il difensivismo del "catenaccio" all'italiana, con la specializzazione esasperata dei ruoli, con i ritmi da tango argentino del gioco: l'Ajax trapiantato in Nazionale era l'altra metà del pallone. Nasceva il gusto per la vocazione offensiva, si affermava il giocatore universale, e sbocciava il connubio tecnica-velocità: il pressing diventava una stimolante parola d'ordine, grande novità nel deserto degli stereotipi. Crujff era la classe al servizio del ritmo, un talento non fine a se stesso, ma sempre calato all'interno delle esigenze del collettivo, come in una democratica assemblea di classe. Neeskens, invece, era la fisicità che polverizzava i vecchi prototipi del giocatore poco atleta, il furto del calcio all'atletica leggera, la forza elastica di un "braccio" a disposizione della "mente" Johann. Quando in 5 o 6 olandesi partivano contemporaneamente per aggredire il portatore di palla avversario, espediente strategico che oggi non si vede più, scoppiava nei nostri cuori la rivolta.
E in effetti gli Orange fecero sfracelli, triturando avversari e arrivando alla finale con la Germania da grandi favoriti.
L'inizio di gara è esaltante e mette in luce tutto lo splendore del gioco totale inventato da Rinus Michels.
Dal fischio d'inizio dell'inglese Taylor , gli olandesi con 17 passaggi consecutivi senza che i tedeschi possano intercettare il pallone, arrivano in porta con Cruyff che viene abbattuto da Holzenbein.
E' rigore!
Neeskens trasforma e L'Olanda è avanti 1-0.
A quel punto la storia ci dice che gli orange sottovalutano gli avversari e non chiudono la gara e finiscono per soccombere per 2-1.
La delusione fu immensa!
Restammo ammutoliti come e forse di più di una sconfitta dell’Italia. La percezione era di una grande ingiustizia perpetrata dalla Dea del Calcio, l’ Eupalla, di breriana memoria.
Era la sconfitta della fantasia e della leggerezza.
Ma la cosa durò poco. E decidemmo che l’unica cosa da fare, per esorcizzare la grande amarezza, era di celebrare la sconfitta nel modo più consono e liberatorio possibile.
Una partita improvvisata e….un po’ alterata… al Lido, palcoscenico da sempre delle mitiche partite primaverili, autunnali e invernali presso la spiaggia del Des Bains sulla cui rena sono passate le orme di personaggi veneziani di ogni tipo e cultura, non ultimo Massimo Cacciari; quella volta, vista l’apertura estiva delle spiagge, andammo a giocare alla rotonda del Casinò, al calare di un incredibile tramonto, forse enfatizzato dall’euforia della giornata.
Gli Jongblood, i Resembrink, i Suurbier insulari (erano proprio i nostri soprannomi) ci diedero dentro, e fu una partita che rimase negli occhi e nei cuori di coloro che ebbero la fortuna di dire…io c’ero.