Il mistero dell’elfo da laboratorio che dispensa versi, noia e sfigataggine al festival di Modena
"Il “laboratorio di poesia” è in un vicoletto, e dà sul piano stradale. Varchi la soglia e ti trovi catapultato in un’allegoria della poesia come perfetto ibrido di noia e sfigataggine. Una stanza di pochi metri quadri, torrida, maleodorante. Un tavolino, dietro il quale un tizio dalla voce inutilmente bella cerca di compenetrarsi nella lettura di versi impenetrabili. Accanto a lui, un elfo con tratti da alpino sventaglia sguardi di inspiegabile astio; dev’essere l’autore, visto che si sforza di non compitare le parole che l’altro va declamando. Di fronte, il pubblico: una ventina di sventurati che boccheggiano non si sa se più di caldo o noia, compresi cinque o sei che – stando alla chioma – ritieni siano i musicisti che a fine evento postilleranno di note i versi. Forse riusciresti a resistere, ma l’elfo – col pretesto del rumore che viene dalla strada, in realtà inviperito per i confessi salti di strofe con cui il lettore evita di maramaldeggiare sull’uditorio – condanna tutti all’asfissia intimando di chiudere le finestre. Ne approfitti per svignartela..."