E’ giovedì mattina, 24 novembre, quando sento che qualcosa non va. Mi dolgono le orecchie in maniera intensa ma anche strana: sembra che i timpani vogliano scoppiare. Era accaduto anche giorni fa, ecco, ai primi sintomi di otite dovrei correre ai ripari, invece devo sempre aspettare di ammalarmi. Imbecille. E poi i polmoni: mi duole respirare, se potessi eviterei di farlo; ma anche se non respiro mi dolgono lo stesso.
Sono in auto, sulla Tangenziale di Brescia. Devo vedere gente. Pian piano il dolore mi passa, respiro senza problemi.
Ma nel pomeriggio vado dal medico e mi faccio prescrivere antibiotici e antinfiammatori. Miracolosi: già il venerdì non ho più alcun sintomo. Che strano. Sarà stato un colpo d’aria.
Il giorno dopo, venerdì, vado a prendere Pico a scuola; il giorno dopo siamo invitati a pranzo dal mio amico Claudio più signora, e la sera da un compagnuccio, sempre di Pico.
Tutto bene il pranzo, tutto bene la cena; si fa ora di andare, porto Pico a casa mia, gli racconto una favoletta e lui si addormenta. Io mi collego una mezz’ora, poi me ne vado a letto anch’io. Mi sta cadendo sul viso il libro come al solito quando decido di spegnere la luce; ma un attimo dopo riecco il dolore di giovedì mattina. ‘Passerà’, mi dico, e continuo a cercare una posizione per addormentarmi.
Non passa.
Mi alzo, prendo una bustina di antinfiammatorio, maledette orecchie. E i polmoni…? Che dolore, continuo, non eccessivo ma intenso quanto basta. Prendo anche un’aspirina, via, non stiamo a lesinare. Ma qui non passa nulla. Non posso dire che il dolore aumenti: rimane stabile. Quello che aumenta è la seccatura del dover passare una notte in bianco. Perché sempre di notte, come il mal di denti, come una colica, come tutto quello che avviene di notte e sia maledetto perché se proprio deve venire, be’, venga di giorno.
Alla seccatura si aggiunge, si sostituisce la preoccupazione. Ma cosa diamine ho? Perché, oltre agli orecchi, mi dolgono la mascella sinistra, la prima parte del braccio sinistro, il costato? Come giovedì, come giovedì, ma adesso non passa...
Nel frattempo risolvo un complicato gioco di parole crociate, ma invano: infatti le parole crociate di solito non hanno effetti analgesici.
Un colpo d’aria, d’accordo: ma perché giovedì mattina, così di colpo, poi nulla, poi stasera – e non se ne va?
Idea: guardia medica. Qualcosa faranno. C’è un centro volontari a Manerba, non è lontano. Riaccendo il computer e cerco il numero. Ma lì mi dicono di chiamare Desenzano, l’ospedale.
Comincio ad avvertire uno strano sospetto. Ormai sarà l'una e mezza.
Telefono alla madre di Pico: ‘Guarda, scusa l’ora ma ho chiamato un’ambulanza. No, no, non per Pico, per me, ma devi venire qui, dormi qui, fai come ti pare.
Prima arriva l’ambulanza, la vedo dalla finestra. Mi metto qualcosa sopra il pigiama e la raggiungo, non ho dietro la tesserina per aprirle la sbarra.
‘Salga’.
‘Ma no, sì, no, non posso salire, ho il bambino solo a casa, adesso arriva la madre e salgo’.
‘Ma ci dia retta, non stia al freddo, venga, si sdrai…’
Che aspetto devo avere?
‘Dai, mettiti qua’, dice un altro, ‘Dimmi i sintomi’.
Provo a spiegarglieli; nel frattempo arriva la madre di Pico; scendo di nuovo, le dico che con tutta probabilità mi portano all’ospedale, ‘Non so che cavolo c’ho, bada a Pico, ci sentiamo’.
Misurano la pressione, il polso; continua a dolermi tutto. Finalmente si parte, a sirene spiegate. Scambio di messaggi radio.
Pronto Soccorso. Una dottoressa, nuove misurazioni, elettrocardiogramma.
‘Ti ricoveriamo’, mi fa un medico. ‘E penso che hai capito perché…’
'Ho capito, ho capito...'
![](http://www.gabitogrupos.com/phallaben/images/infarto1.png)
![](http://www.gabitogrupos.com/phallaben/images/infarto_2.png)