di Anna Chiara Sardella
Sono tutti d’accordo nell’affermare che qualsiasi cosa se assunta in eccesso crea dipendenza. E che dire se quel “qualcosa” entra a far parte delle nostre vite fino al punto di averne bisogno come l’aria nei nostri polmoni?
Ha fatto scalpore la vicenda di Jason Russell, il regista del video documentario di trenta minuti “Stop Kony” per invisible children; una vicenda che vedeva un generale ugandese sfruttatore di bambini soldato, video che velocemente si è diffuso nel web grazie a facebook e twitter. Il lavoro di denuncia di Russell è stato notevole: Kony si è macchiato di crimini abominevoli, riducendo in schiavitù decine di bambini che sono stati trasformati in soldati. Il regista- attivista ha così usato la rete per diffondere il suo documentario facendo leva anche su una certa fiducia sulla rete e sugli individui, in nome della verità, affinché tutto il mondo sapesse. Il risultato è stato 4 milioni di visualizzazioni in poche ore, una valanga inarrestabile. Russell però sembra non abbia retto al “successo”, meritato, che Internet gli ha conferito in quanto subito dopo è stato arrestato dalla polizia di Los Angeles per essere sceso in strada completamente nudo, gridando frasi prive di senso e commettendo atti osceni in luogo pubblico come la masturbazione, e danni seri ad autovetture. “Non dormiva da tempo, sono stati mesi stressanti per lui con ritmi eccessivi” rispondono amici e parenti profondamente scossi da questa vicenda. La diagnosi clinica è stata psicosi reattiva e il responso medico un mese di assoluta astinenza dal web. Un’intossicazione normale avrebbe richiesto una flebo di vitamine o del riso in bianco, questa invece uno stretto contatto con la realtà.
Ma non è finita: la comunicazione genera comunicazione, così l’atto di psicosi del povero Jason, è stato filmato prontamente e messo subito in rete. Avvolto in un gigantesco paradosso il video commovente di quella parte del mondo che nessuno conosce è stato superato in lunghezza da quello del suo regista che non regge alla popolarità. Due “merci” che hanno finito per assumere lo stesso valore.
Certo è che essere costantemente monitorati da propri simili che giudicano, guardano, producono e commentano producendo un incessante flusso di comunicazioni conduce ad una qualche forma di modifica del nostro cervello. Si definiscono infatti “bambini digitali” i nuovi nascituri che a tre anni sanno già usare l’ipod e che sembra, abbiano la mente organizzata come una finestra internet.
“E’ la nostra principale fonte di stress” dicono gli studiosi da Los Angeles. Tra i sintomi ci sono l’ossessione di guardare lo schermo del proprio iphone e la difficoltà a concentrarsi come qualche anno fa.
Ma la scelta di ammettere l’uso della tecnologia è davvero così inevitabile? Perdiamo per sempre la nostra vera dimensione umana per perderci nell’isolamento che ci provocano le immagini sullo schermo? Molte le critiche soprattutto dal mondo anglosassone:
“Arrivava un momento in cui spegnevi la tv o lo stereo, chiudevi il libro o la rivista e tornavi a casa dal cinema. C’era un momento in cui abbandonavi la cultura e ti ritiravi o avanzavi verso uno spazio sociale privato, verso la solitudine. (…) ora per la maggior parte delle volte accendi il computer: vai su qualche social network, scrivi il tuo blog, compri qualcosa provi a trovare un romantico compagno e magari anche del sesso, o una specie di sesso. Se una fuga di Bach andasse a dormire e sognasse di essere una forma di comunicazione, sognerebbe di essere Internet. Con internet la cultura non finisce mai.” Così Lee Siegel , saggista e critico del New York Times, scrive sul suo convincente saggio “Homo Interneticus” Pianob edizioni 2011, dove ritrae con pungente analisi una cultura matta, caotica e omologata, trionfo del vecchio capitalismo, e per certi versi suo compimento. Siegel punta l’indice contro coloro che osannano questa nuova cultura a strumento egalitario ma contemporaneamente la controllano: tra questi i Bobo’s ( i bohemiens borghesi) cioè quella sorta di elite, entusiasta e vicina ai suoi utenti trattandoli da pari, che vede nella rete come svago una fonte infinita di guadagno. Bill Gates per intenderci.
È un dato di fatto che il mondo, almeno il nostro dove ormai si sta affermando la “guerra finanziaria” che fa leva sul mondo virtuale, sia pervaso dai media che sempre più sono ibridati con la pubblicità che entra di prepotenza nel bel mezzo di una lettura, ad esempio. Non sarebbe una cattiva idea però, solo anche per poco tempo, tornare ad avere a che fare con la vecchia realtà, senza per forza entrare in clinica.