Stando in piedi sul mio letto ne vedevo il piano: al centro, sopra un merletto, c’era una campana di vetro e dentro un bambino in una culla. Dicevano che era molto bello e questo mi faceva pensare di essere brutto.
Il cassettone era di legno scuro, lucido e sapeva di cera. Nel cassetto più alto mamma ci teneva le sue cose belle, e quando si andava in chiesa vi prendeva il velo lungo profumato d’incenso.
Non capivo il significato del merletto, ma i misteriosi percorsi della fantasia mi facevano pensare al cielo pieno di stelle, e per qualche mistero del mondo degli adulti, questi ne avevano imitato il disegno.
L’orto provvedeva già ad arricchire la tavola, e quella sera l’insalatiera inondava di profumi la stanza; l’insalata era fresca e tenera ed i ravanelli la rendevano allegra. I cipollotti non mi piacevano, e li scartavo attentamente.
Maggio bussava impazientemente alle porte dell’estate, e sotto il porticato i carri di fieno ancora tiepido inondavano d’aroma la cascina. Li guardò con una punta d’orgoglio e si soffermò ad ascoltare il canto di un grillo intrappolato chissà dove.
Dietro, sul muro a nord, c’era una pietra d’arenaria, e ci si sedeva la sera, a godere della frescura. Vicino c’era una piccola aiuola dove erano fioriti i giaggioli; il loro aroma si confondeva con quello dei fiori delle robinie.
Anche gli ultimi pigolii erano cessati; restava il canto lamentoso dell’assiolo, ma fu coperto quasi subito dal concerto delle raganelle, che illuminava il silenzio della sera, il cui avanzare impallidiva sempre più l’orizzonte ad ovest.
Irruppe quasi all’improvviso, con suono limpido e forte. Le note erano melanconiche e poi gioiose, allegre, intervallate da brevi attimi di silenzio, per accompagnare l’oscurità che dipingeva il ricamo nel cielo.
Cercavo il motivo del merletto sul cassettone, trovando con la fantasia ciò che volevo, nelle luminosità rese incerte dal loro tremolio.
Ero in braccio a mia madre ed appoggiai la testa al suo petto. Sentivo odore di sapone.
Il battito del cuore e l’armonia dell’attimo spense la fantasia. Ciò che era, era parte di qualcosa che mi comprendeva, che mi completava e che mi trasportava, quasi non esistesse una vita da consumare, da rimpiangere, o forse da detestare nell’attimo più importante del suo percorso.
Si risvegliò la signora col suo abito d’ocra.
Credevo di sognare, ma intravvidi con certezza il ricamo del cielo nell’aria circostante: le piccole luci tremolanti danzavano a migliaia nel campo adiacente e sulla stradicciola. Erano così vicine a me che cercai d’afferrarne una.
Ma pensai che si sarebbero dovute posare sul cassettone. Era la soluzione del mistero.