Se ne stavano sotto il grande albicocco frondoso, nel centro
del pollaio, e sdraiate da un lato raspavano la terra e se la buttavano
addosso, per poi rialzarsi e scrollarsela di dosso, assieme a qualche fastidioso
parassita.
Aprì il cancellino sgangherato di assi un po’ storte e rete
da letto, lo richiuse disturbando l’operazione dei pennuti, che si rialzarono e
si allontanarono impauriti.
Allargò le braccia, quasi per aumentare il suo volume e li spostò
in un angolo; repentinamente, fra starnazzii e voli ne afferrò uno. Lo prese
per le zampe posteriori e gli palpò lo sterno. La bestiola era spaventata.
L’accarezzò sulla schiena e, sempre tenendolo per le zampe,
lo lasciò cadere a testa in giù.
Con un violento strattone gli ruppe il collo; l’animale
dapprima si irrigidì e poi cominciò a sbattere furiosamente le ali. La testa
era piegata in un modo grottesco.
Piano piano il movimento delle ali si fermò, e le stesse
rimasero ferme, allargate e cadenti.
La testa era violacea e dal becco semiaperto uscì liquido e
qualche seme.
Prese il canestro e si avviò verso il fosso; cominciò a
strappare le penne grosse delle ali e della coda, buttandole nella corrente, e
le piccole e soffici le mise nel cesto: sarebbero servite per guanciali e
materassi.
Dopo una ventina di minuti l’animale era pulito e sventrato,
l’unico scarto furono gozzo, trachea, esofago ed il becco. Il sole del
pomeriggio, complice la brezza, indispettiva il fogliame dei platani e
disegnava giochi di luce ed ombre nella polvere. Nel pollaio regnava la calma.
Portavo i vestiti belli e non potevo di conseguenza
inzaccherarmi, e sarei andato in un posto dove bisognava stare fermi ed in
silenzio, spesso in piedi, ascoltando parole che non capivo. Le uniche che
conoscevo dicevano che c’era sempre qualcuno con me, dovunque fossi, e che era
buono e tremendo. La cosa non mi piaceva: stavo benissimo da solo, però il
paventato castigo m’impauriva.
Andai con ‘bubà, sulla bici da uomo, seduto sul canotto ed
attaccato al manubrio; la stradicciola fiancheggiava la ‘fossa’, sempre piena
d’acqua limpida che nel suo lento scorrere e nei piccoli gorghi sfragliava i
contorni di smeraldo delle alghe sul fondo. Le rane a loro modo intonavano
canzoni d’amore e fra le giunchiglie le libellule blu sfoggiavano con eleganza
la loro danza, volando fra l’umile bellezza delle campanule sul bordo alto del
fosso ed i ricami di capelvenere quasi a contatto con l’acqua.
Gruppi di idrometre si muovevano sulla superfice, avanzando
a piccoli scatti sulle lunghe zampette, che misteriosamente vincevano l’acqua.
Il mais era oramai alto come il grano, prossimo quest’ultimo
alla maturazione, e che come un gioiello dorato incastonava piccoli rubini e
topazi; una brezza disegnava il suo dolce percorso muovendo le spighe.
Il paese ci venne incontro con una strada già asfaltata
costeggiata da due file di case che ferivano il verde della campagna e
sfociavano nella piazza, dove i tigli ombreggiavano e rendevano omaggio alla
primavera matura con il profumo dolce e intenso dei loro fiori. Dopo la messa
m’aspettava l’osteria.
C’erano vasetti pieni di tante cose colorate, ed una era per
me. Per ‘bubà un calice di bianco, chiacchiere coi suoi amici ed una sigaretta.
Col bel tempo si pranzava fuori, sul portichetto, dove una
pergola di uva fragolina dava ombra e frescura, lasciano già intravvedere
grappoli con chicchi ancora acerbi. Sul tavolo era già pronta la verdura
dell’orto ed arrivò la polenta, profumata di mais tostato, ed un bottiglione di
vino.
Nel tegame c’era il pollastro ripieno, già a pezzi, e fette
di patate cotte nello strutto; avrei preferito ancora caramelle, ma mi fu data
la coscia e un po’ di ripieno. Sapeva di aglio e formaggio.
Poki era seduto nei pressi, attento ed impaziente: gli ossi,
e da parte mia, di nascosto, anche la pelle, erano per lui.
Mi alzai quando il bottiglione era prossimo all’agonia, e me
ne andai verso il fosso: mi piaceva osservare lo scorrere dell’acqua, la sua
armonia ed il suo profumo. Il sole e le brezze irridevano ancora il fogliame,
disegnando fantasie di luce che l’acqua rifletteva nel primo pomeriggio.
Nel pollaio, sotto l’albicocco, i pollastri razzolavano
nella polvere, godendo della frescura regalata dalla fronde.