(La sensazione potrebbe essere quella del lento cammino verso il patibolo, fra facce tristi, compassionevoli, inconsciamente felici di essere dall’altra parte).
E ti irritano al limite della rabbia più opaca, perché ti vengono incontro con la loro violenza che già avevi intravisto altre volte, ma non pensavi così tremenda.
Forse perché figli di un tempo cattivo che ti sta proponendo solo i più belli, accentuando il rimpianto al punto che di restare senza fiato, terrorizzato.
Vorresti non fossero il tuo bagaglio, vorresti perderli, ma come in astinenza di droga pesante ne vorresti ancora.
(Al di là c’è altro: sta in quanto non sappiamo vedere, ascoltare. Gustare).
E’ quanto non abbiamo visto con gli occhi, o non abbiamo udito con le orecchie, o non abbiamo recepito con altri sensi.
E’ quello che non sappiamo più ricordare perché la nostra materialità ha coperto di cenere.
Ascoltiamo.
C’è un mattino diverso da altri: ci parla. E improvvisamente sentiamo voci e risa che ritroviamo immediatamente familiari, e sentiamo odori che aprono la porta luminosa in fondo al corridoio.
Il cui fetore è stato cancellato. E le voci si trasformano in schiamazzi del cortile di una scuola, i suoni nello scrocchiare di foglie secche nella stanca giornata di ottobre. Odore di pioggia dopo una giornata afosa.
Ne siamo fuori: adesso è ora di andare.