COME NASCE UN LIBRO I libri dal '400 al '700
Che cosa doveva fare uno studente del Medioevo per procurarsi i libri necessari allo studio? Copiare i manoscritti del suo maestro, oppure acquistarne ad alto prezzo riproduzioni scritte a mano. I testi originali degli autori, infatti, potevano essere riprodotti in un certo numero di esemplari soltanto per opera dei copisti; retribuirne il lento lavoro era cosa da gran signori.
In tali condizioni i libri - solitamente scritti su pergamena, con cura minuziosa erano oggetti rari e preziosi. Veramente, si conosceva già il modo di riprodurre per mezzo della stampa alcune illustrazioni, per esempio quelle delle carte da gioco: s’incidevano le immagini su legno, l'incisione veniva ricoperta da inchiostro e impressa su un cartoncino; ma non si sarebbe potuto ottenere un intero libro in quel modo. Alla metà del Quattrocento, però, un orafo tedesco, GIOVANNI GUTENBERG (I400-I468), riuscì a riprodurre libri mediante caratteri mobili metallici ben più velocemente che a mano. Fu un'importantissima invenzione, quella della tipografia (scrittura mediante tipi o caratteri).
Un gran signore francese del tardo Medioevo, Carlo il Temerario, Duca di Borgogna (1433-1477), osserva il suo copista intento al lavoro (Biblioteca Reale di Bruxelles).
La tipografia di Giovanni Gutenberg ricostruita nel Museo Gutenberg a Magonza, in Germania (Incisione su legno)
L'invenzione di Gutenberg rispondeva alla crescente richiesta di libri da parte d'un pubblico sempre più numeroso. Era stata preparata dal diffondersi in Europa dell'uso della carta, (inventata dai cinesi), meno costosa della pergamena e assai più adatta di quella a essere nitidamente stampata. Per riprodurre i manoscritti originali degli autori, i caratteri mobili metallici, su ciascuno dei quali era impresso in rilievo il disegno di una lettera dell’alfabeto o di un segno d’interpunzione, venivano disposti uno di seguito all'altro in modo da formare parole, righe, pagine. Questo lavoro era eseguito a mano. Le pagine così composte venivano solidamente racchiuse in telai; poi, dopo essere state opportunamente inchiostrate, erano stampate su carta. A questo fine, un torchio, ancora assai simile a quelli usati per certi lavori agricoli, premeva, per mezzo di una grossa vite azionata a mano e di un piano orizzontale, un foglio sulle pagine composte; le parti in rilievo dei caratteri lasciavano così la loro esatta impronta sulla carta. Verso il 1470 si cominciò a stampare su un unico foglio diverse pagine in una volta sola. I fogli stampati venivano piegati in quaderni e legati insieme a formare i libri.
Una tipografia francese della fine del secolo XV. Uno dei tipografi, per mezzo di una leva, fa girare la vite del torchio e in tal modo un foglio viene premuto sulla composizione (Biblioteca Nazionale, Parigi).
Punzone (I), matrice (II) e carattere (III).
Osservando questi oggetti si può capire come avveniva la fabbricazione dei caratteri. Sul punzone, che poteva essere per esempio, di bronzo, si trovava, in rilievo, il disegno di una léttera dell'alfabeto; premendo il punzone sulla matrice, fatta di uri metallo più morbido (per esempio rame), si otteneva l'impronta incavata di quella stessa lettera; altri metalli (per esempio piombo, stagno e antimonio) venivano immessi nella matrice a elevata temperatura e perciò allo stato liquido; essi, solidificandosi, formavano il carattere con la lettera in rilievo come quella del punzone. Ottenuta la matrice, si potevano fondere parecchie volte i caratteri e sostituire così quelli che si consumavano durante la stampa. Gli oggetti fotografati possono dare un'idea della tecnica seguita nel secolo XV sebbene non appartengano a quell'epoca.
Alcune righe di uno fra i primissimi libri stampati in Italia (le opere dell'autore latino Lattanzio, pubblicate a Subiaco nel 1465). L'ornato della lettera iniziale C fu eseguito a mano.
Esistevano anche i tipografi ambulanti e furono proprio questi modesti artigiani a diffondere la nuova tecnica in Europa, passando da un Paese all’altro con le loro attrezzature. L'attività di quegli artigiani viaggianti durò dal XV al XVIII secolo.
Un antico proverbio italiano stampato due volte in due diverse serie di caratteri detti aldini perché dovuti ad Aldo Manuzio che nel 1489 iniziò a Venezia l'attività della sua celebre tipografia.
Quei caratteri erano assai nitidi ed eleganti e risultavano tanto più chiaramente leggibili se confrontati con quelli dei primissimi libri stampati, nei quali, invece, veniva imitata la calligrafia degli antichi copisti, molto complessa.
Aldo Manuzio, nel 1501, mostra a due amici i suoi nuovi caratteri.
Una stamperia del secolo XVII a Norimberga (Germania). Il tipografo che si vede a destra ha in mano due tamponi per inchiostrare i caratteri. Ingegnose attrezzature consentono di far coincidere perfettamente, nel torchio, i fogli da stampare con la composizione in piombo, è ben visibile il mobile tipografica detta cassa, il quale contiene, in diversi scompartimenti, lettere e segni di ogni serie di caratteri secondo un ordine tale da consentire ai tipografi di trovarli rapidamente. Nello sfondo, altre casse.
Un volumetto edito nel 1678, in Olanda, da Pietro Elsevier.
Quella degli Elseuier a Elzeviri fu una celebre e numerosa famiglia di tipografi. Già nel Seicento si usavano libri di dimensioni ridotte, come questa, tanto maneggevoli da poter essere letti in viaggio a magari passeggiando. I libri di consultazione e studio erano assai più grandi.
Il famoso tipografo Giambattista Bodoni che operò a Parma nella seconda metà del Settecento e nel primo decennio dell'Ottocento.
Le invenzioni dell'8oo. A parte alcuni perfezionamenti di secondaria importanza, non si erano avute essenziali innovazioni nelle macchine da stampa, - i torchi - fino a tutto il Settecento. Ma, dopo il primo decennio, nell'ottocento, un meccanismo assai diverso e molto più efficiente fu messo a punto dal tedesco Federico Koenig: con la nuova macchina si potevano ormai stampare oltre mille fogli l'ora. Era, per quell'epoca, una velocità elevatissima. La composizione, però, seguitava a essere eseguita interamente a mano come ai primordi dell’arte tipografica. Si continuò così fin verso la fine del secolo, quando entrarono finalmente in uso due macchine compositrici a distanza di pochi anni l'una dall'altra: la linotype e la monotype.
Nella macchina stampatrice di Federico Koenig un cilindro faceva rapidamente passare i fogli sulle pagine in piombo della composizione. La macchina entrò in funzione fra il 1812 e il 1814.
Una tipografia torinese dopo la metà dell'Ottocento. Si vedono in alto i tipografi alle casse e, in basso, le macchine stampatrici. Queste sono azionate a vapore.
O. Mergenthaler aveva inventato la linotype nel 1884. Nell'illustrazione, l'inventore presenta la nuova compositrice al direttore di un giornale di New York.
L'operatore siede alla tastiera e batte i tasti sui quali sono indicate le lettere dell'alfabeto. In una serie di matrici interne la macchina fonde il piombo dei caratteri corrispondenti ai tasti battuti. I caratteri escono dalla macchina già solidificati, non a uno a uno, ma riuniti in piccole barre di piombo, ciascuna delle quali porta impresse le lettere e le parole di una riga della composizione desiderata. Da questa caratteristica la macchina deriva il suo nome: linotype significa in inglese linea (riga) di tipi (caratteri).
Si vedono qui alcune macchine compositrici perfezionate ma sostanzialmente simili a quelle inventate alla fine dell'Ottocento:
linotype (I) monotype-tastiera (II) e monotype-fonditrice (III).Le linotype sono più adatte ai giornali, per i quali le correzioni alla composizione sono relativamente poco numerose. La monotype, presentata da T. Lanston nel 1887, è composta da una macchina-tastiera e da una macchina-fonditrice; i caratteri escono dalla fonditrice a uno a uno, allineati ma non fusi insieme in righe intere come avviene invece nella linotype. Le monotype servono meglio a comporre i testi dei libri, per le ristampe e le edizioni successive alla prima si potranno, infatti, sostituire i caratteri di singole parole o magari di singole lettere senza dover rifare intere righe.
Fonte per il testo e le immagini Antologia Italiana "In cammino" 1963
Grazia
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