E il cielo aveva la morbida bellezza di un velluto cosparso di stelline. Uno spicchio di luna inargentava l'immacolato paesaggio.
Il bambino la precedeva zigzagando come un cucciolo. Scesero per un viottolo sterrato coperto da un sottile strato di ghiaccio.
"Maledizione! Qui si rischia di farsi maschile" Osservo la donna. Cespugli spinosi e sterpi, avevano perso il loro solito squallore e splendevano ornati di trine eleganti. Il fiume turbinava tra gli argini gonfi di neve. Nel buio fitto, rischiarato solo da un pallido spicchio di luna, vide un lumicino giallo che occhieggiava tra veli di nebbia.
"Essere qui" disse il bambino.
Entrarono in una specie di grotta sbarrata da assi di legno. L'umidità brillava sulle pareti irregolari scavate nella roccia. Era una donna china su un mucchio di lenzuola in mezzo a cui si agitava qualcosa. Si voltò, sentendo aprire l'uscio. Aveva occhi impauriti e malinconici.
Si rivolse al bambino in una strana lingua gutturale.
"Dice mamma che mio fratello febbre molto alta", tradusse il piccolo. "Tre giorni stare così".
"E perché non lo avete portato all'ospedale?" chiese Anita avvicinandosi al fagottino.
La donna continuava a parlare con quei suoni misteriosi, aspri e insieme delicati.
"Non potere.Non avere permesso". Il bambino abbassò il capo imbarazzato.
La dottoressa apri il fagottino, sbucò un visetto paonazzo e un piccolo corpo nudo. Anita lo prese tra le braccia: agitava debolmente le gambine con un vagito flebile. Sentì, attraverso lo spesso tessuto del cappotto, che bruciava per la febbre. Gli somministrò una medicina con una siringa piccola. Il bambino reagì appena. Poi chiuse gli occhi. Nella grotta il silenzio vibrò così profondo da parere irreale. Ognuno era in attesa. L'acqua del fiume frusciava appena, tra isolotti di ghiaccio. Dalla finestrina, protetta dasbarre, filtrava una tenue luminosità azzurra.
Il respiro del neonato poco a poco perdette il gorgoglio affannoso.
Anita teneva stretto tra le braccia il fagottino, come se temesse di perderlo. Osservava le ciglia fremere lievi come farfalle sulla curvatura morbida delle guance. Il fratellino si era assopito, rannicchiato su una panca. La mamma aveva gli occhi che le mangiavano il viso minuto. Osservava in silenzio la dottoressa cercando di leggere sul suo volto una risposta.
Forse avrebbe dovuto ricoverare il piccolo in un reparto pediatrico ma,nella fretta, aveva dimenticato il cellulare e lì dentro non c'era traccia di telefono
(continua)