Vieni, o cortese e venerato amico,
Né t’incresca posar fra le tacenti
Ombre, ove l’onda del Clitunno antico
Da sotterranee grotte ha le sorgenti;
Vieni, e per poco del natio Benaco
Lascia il flutto, le selve e il rezzo opaco.
E un angelo parrai che le celesti
Sfere suol sempre innamorar col canto,
Invisibile ai rai sceso fra questi
Solinghi lochi a trattenersi alquanto,
Ove, i cieli obbliando, una canzone
D’incolta villanella a udir si pone.
A me i boschi e le fonti un’armonia
Semplicetta ed umil spirano in petto,
Piovono a te nell’alta fantasia
Le immagini leggiadre e il dire eletto,
E sulle tue canute chiome spande
L’arte, dolce amor tuo, baci e ghirlande.
Vòlto alla parte ove tramonta il giorno,
Aspro di scogli si solleva un monte,
Che il dorso ha d’elci e d’oliveti adorno
E freddo e terso al pie’ fra’ sassi un fonte,
Da cui con molti zampilletti vivi
Pei muschi rugiadosi escono i rivi.
Erran sul prato fra le folte erbette
I vergini ruscelli mormorando,
E baciano i cespugli e l’isolette,
Fra sinüose sponde rigirando,
Finche in un letto sol tutta s’accoglie.
L’acqua che il corso lentamente scioglie.
Povero sì, ma il piccoletto fiume
Mai non nega ristoro agli arboscelli
E agli armenti che in esso han per costume
Di scendere a bagnarvi i bianchi velli;
Povero sì, ma pur torbide e bionde
Non fa giammai le sue purissim’onde.
La villanella scalza e leggiadretta
Va ad attingervi l’acqua ogni mattina,
E la ritrova ognor gelida e schietta,
Come appena dal ciel scesa la brina,
E vede nel suo sen lucido e mondo
I pesci erranti e i sassolini al fondo.
Così tranquillo ed umile s’avanza
Per una ricca e florida campagna,
Dove ride la pace e l’abbondanza
Che spesso all’umiltà ne va compagna;
Perché una mente torbida e superba
Spesso rifiuta il ben che Dio le serba.