Resta un enigma storico Compiuta Donzella, il nome, o lo pseudonimo, sotto cui si cela una "rimatrice" fiorentina del Duecento.
Si tratta probabilmente della prima donna che compone poesie in volgare italiano.
Ci sono pervenuti soltanto tre suoi sonetti di gusto trobadorico e giullaresco, due dei quali di una perfezione formale molto vicina a quella del Petrarca.
Per mancanza di altri riscontri, letterari o biografici, la Compiuta (nome, peraltro, usuale nella Firenze del tempo in cui visse) è stata a lungo oggetto d’inattendibili ipotesi, spesso di carattere romanzesco.
Ecco come Guittone d’Arezzo in un’epistola, la quinta, la definisce in un modo che appare un panegirico delle sue virtù: "Soprapiacente donna, di tutto compiuto savere, di pregio coronata, degna mia Donna Compiuta, Guitton, vero devotissimo fedel vostro, de quanto el vale e po’, umilmente se medesmo raccomanda voi. ".
Quel che possiamo evincere con certezza da queste espessioni scritte in un‘ epoca come quella medievale in cui molto raramente alle donne era concesso esprimersi in letteratura, Compiuta dovette essere una poetessa dotata d’indubbie qualità artistiche.
A conferma di ciò ci sono anche due sonetti di un autore anonimo, che allude alla fama di Compiuta come autrice di poesie, in cui un verso così recita: "che di trobare avete dominanza". Il verbo “trobar” indicava, appunto, l’attività dei trobadours, i poeti provenziali che armonicamente intrecciavano parole e musica.
Ecco il sonetto in questione...
Gentil donzella somma ed insegnata, poi c'ag[g]io inteso di voi tant' or[r]anza, che non credo che Morgana la fata né la Donna de[l] Lago né Gostanza né fosse alcuna come voi presc[i]ata; e di trobare avete nominanza (ond'eo mi faccio un po[ca] di mirata c'avete di saver tant'abondanza): però, se no sdegnaste lo meo dire, vor[r]ia venire a voi, poi non sia sag[g]io, a ciò che 'n tutto mi poria chiarire di ciò ch'eo dotto ne lo mio corag[g]io; e so che molto mi poria 'nantire aver contia del vostro segnorag[g]io. Perc'ogni gioia ch'è rara è graziosa, mi son tardato, Compiuta Donzella, d'avere scritto a la vostra risposa la qual faceste a me fresca e novella. E ben si testimonia, per la losa che di me usaste, che voi siete quella in cui altezza e gran valor riposa: cotal a[l]bor mostr' alto sua fior bella. Sua fiore bella e d'amare lo frutto mostra 'n altezza com'è d'alto stato: però in gioia ab[b]o vostro detto tutto, e pregovi che mi sia perdonato s'io m'invitai laove sone al postutto ch'io non son degno d'esser presentato.
Ma ora avviciniamoci al suo cuore leggendo 2 suoi sonetti...
Nel primo sembra disdegnare ogni contaminazione con l'amore
mentre nel secondo svela invece l'aprirsi del suo cuore...
I SONETTO
LASCIAR VORRIA LO MONDO E DIO SERVIRE Lasciar vorria lo mondo e Dio servire Lasciar vor[r]ia lo mondo e Dio servire e dipartirmi d'ogne vanitate, però che veg[g]io crescere e salire mat[t]ezza e villania e falsitate, ed ancor senno e cortesia morire e lo fin pregio e tutta la bontate: ond'io marito non vor[r]ia né sire, né stare al mondo, per mia volontate. Membrandomi c'ogn'om di mal s'adorna, di ciaschedun son forte disdegnosa, e verso Dio la mia persona torna. Lo padre mio mi fa stare pensosa, ca di servire a Cristo mi distorna: non saccio a cui mi vol dar per isposa.
II SONETTO
ORNATO DI GRAN PREGIO E DI VALENZA Ornato di gran pregio e di valenza e risplendente di loda adornata, forte mi pregio più, poi v'è in plagenza d'avermi in vostro core rimembrata ed invitate a mia poca possenza per acontarvi, s'eo sono insegnata, come voi dite c'a[g]io gran sapienza; ma certo non ne son [tanto] amantata. Amantata non son como vor[r]ia di gran vertute né di placimento; ma, qual ch'i' sia, ag[g]io buono volere di senire con buona cortesia a ciascun ch'ama sanza fallimento: ché d'Amor sono e vogliolo ubidire.
FINE
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