Le foto
del luogo dell'eccidio
Un
organizzazione clandestina il 23 marzo 1944 decide di agire contro i
tedeschi, il giorno scelto è quello del 25° anniversario della nascita
dei fasci combattenti, il gruppo si chiamava GAP. I fascisti
vorrebbero ricordare solennemente la creazione dei fasci con una
adunata di massa vecchio stile, il sostenitore di questa idea era il
federale Pizzirani, i nazisti erano contrari non sapendo come
valutare la reazione della popolazione ad un evento del genere.
Pizzirani si rivolge, dunque, al ministro dell’interno Buffarini per
esortare il duce a far pressione agli alleati se non direttamente a
Hitler, ma a quest'ultimo la questione non gli arrivò mai, Rahm e
Wolff d’accordo con Maektzer e Kappler, erano inamovibili, la
celebrazione doveva avvenire in una sala al chiuso.
Vengono predisposte ingenti misure di protezione, visto che numerose
voci su attentanti circolano in continuazione. Quel giorno durante la
celebrazione Buffarini-guidi, Moellhausen e l’agente di Himmler,
Dollmann, ascoltano il discorso di Borsani, un invalido cieco di
guerra, alla fine Moellhausen disse di essersi affacciato alla
finestra per prendere un boccata d’aria, quando all’improvviso sentì
diverse esplosioni. Quello che udì erano le bombe dei gappisti,
precisamente dal gruppo formato da: Franco Calamandrei, Rosario
Bentivegna, Carla Capponi, Alfio Marchini, la via dell’attentato era
via Rasella, nel momento che veniva attraversata da un reparto di
sussidiari delle SS provenienti da Bolzano, 32 di loro muoiono 10
vengono feriti, inoltre rimangono uccisi 2 civili che erano di
passaggio, la strada disseminata di cadaveri e feriti che si lamentano,
la milizia fascista spara all’impazzata verso le finestre aperte,
fino a che Buffarini-guidi non ordina con forza il cessate il fuoco.
Compare sulla scena il generale Maeltzer ubriaco come spesso
capitava, i militari e la polizia irrompono nelle abitazioni e
cacciano fuori gli abitanti per suo ordine, in preda alla furia li
vorrebbe far fucilare all’istante, Moellhausen invece cerca di calmarlo,
la decisione sul da farsi viene presa da Hitler stesso, che dispone
che sia compito delle SS di far giustizia, in quanto le vittime ne
facevano parte. Il primo a comunicare la notizia a Mussolini fu il
prefetto di Salerno, poco dopo Buffarini-Guidi, il quale gli descrive la
reazione scomposta di Maeltzer “ubriaco come al solito e talmente fuori
di se da voler far saltare in aria un isolato”. Ancora Buffarini
mezz’ora dopo comunica al duce le notizie apprese dal questore di
Roma Caruso, i tedeschi decisero che per ogni tedesco morto sarebbero
stati uccisi 10 italiani, ordine che secondo lui sarebbe stato
impartito dal Fuher, Mussolini non riesce a far desistere i tedeschi da
questa idea, sebbene tra questi ultimi regnasse la confusione dove
ognuno voleva far subire alla città, la vendetta in maniera diversa,
in ogni caso il generale Wolf disse a Kappler di non prendere alcune
decisione fintanto che Rahn non fosse arrivato a Roma.
Il
giorno dopo il generale arrivò in città dopo essersi messo al
corrente di tutto disse di aver parlato con Kesselring sul da farsi
oltre ad aver ricevuto ordini diretti da Himmler, Hitler vorrebbe far
saltare in aria un intero quartiere di Roma con tutti quelli che lo
abitano e per ogni poliziotto tedesco ucciso vorrebbe far fucilare
da 30 a 40 italiani. Wolff fece sapere a Kesselring che Himmler era
determinato oltre a punire i responsabili anche a eliminare tutti i
sospettabili o comunisti per questo diede ordine di cominciare ad
organizzare la deportazione di tutta la popolazione maschile dei
quartieri più pericolosi, famiglie comprese rastrellando le persone
dai 18 ai 45 anni. La deportazione non fu fatta solo per problemi di
natura tecnico militare, la Wermacht non voleva rimuovere preziose
forze dal fronte per eseguire l’idea folle di Himmler, ma le SS erano
ben determinate a sfruttare questa occasione per intimorire Roma,
Kesselring via radio informa la cittadinanza romana che dovrà farsi
carico delle spese di risarcimento alle famiglie delle vittime e
questa richiesta sarebbe stato l’ultimo atto di clemenza, ma a
Kappler fu affidato l’incarico di fare “giustizia”, 10 italiani per
ogni morto tedesco, tra l’altro Kappler dichiara di aver già
abbastanza prigionieri dopo gli arresti avvenuti dopo lo sbarco
alleato detenuti al regina Coeli in via tasso e dal torturare Koch, si
rivolge al questore fascista chiedendogli i nomi ma questo fa
presente di non avere una lista di condannati a morte, a questo punto
Caruso si vede minacciato di arresti e si rivolge a buffarini al
quale dice che si rivolse addirittura al vaticano senza nulla
ottenere.
Poco prima dell’esecuzione muore un altro ferito di via rasella,
quindi non più 320 italiani dovranno morire ma bensì 330, ma Kappler,
per "errore" ne mandò a morte 335, dei quali neanche uno aveva avuto
un qualche ruolo dell’attentato di via rasella, quei 5 morti in più
gli costarono l’ergastolo, di fatti se non fosse stato così si
sarebbe fatto solo un paio di anni in prigione potendo affermare di solo
eseguito degl'ordini. Il 24 marzo all’incrocio di via Fosse
Ardeatine e via delle sette chiese compare un plotone di soldati
tedeschi che blocca l’accesso alla cava di arenaria (appunto le fosse
ardeatine), poco dopo arrivano 5 macchine delle SS armati di tutto
punto, questi sorvegliano lo scarico di 4 camion e un furgone della
croce rossa dal quale stanno uscendo trascinandosi i condannati, molti
di loro erano stati appena torturati, i tedeschi li spingono nei
cunicoli della cava, poco dopo i soldati iniziano a lanciare bombe a
mano nella cava iniziando così la carneficina, si può pensare che non
tutti i 335 uomini siano morti subito ma nessuno ebbe cura di
controllare e per chiudere la fossa comune usarono delle cariche
esplosive in due serie distanziate di un ora.
Il
giorno seguente il 25 marzo, il fetore è già così forte che i nazisti
decisero di far saltare nuovamente delle bombe per sigillare meglio
la cava, a mezzogiorno il sacerdote don Nicola Cammarota impartisce
l’assoluzione. Il 30 marzo tredici sacerdoti si recano alle fosse
capendo che l’entità della tragedia era grande, già il giorno dopo si
cominciò a disseppellire e riconoscere i morti, nel frattempo uno
dei sacerdoti corse in vaticano ad avvertire della strage, riferendo a
monsignor Montini, il futuro Paolo VI, ma dal vaticano non venne
nessuna condanna fino alla fine della guerra.