Le Ottobrate
Le ottobrate romane erano le feste che chiudevano la vendemmia: nella Roma pontificia, la scampagnata “fori porta”, ovvero la gita tra le vigne e le osterie, andò consolidandosi come forma di svago ed evasione per nobili e popolo, ufficialmente divisi, ma spesso mescolati nella più sfrenata allegria, alimentata dalla voglia di vivere e dal buon vino.
Giggi Zanazzo, studioso di tradizioni popolari romane così descrive le tipiche Ottobrate romane nel suo saggio “Tradizioni popolari romane. Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma” del 1907:
"Siccome Testaccio stà vvicino a Roma l'ottobbere ce s'annava volontieri, in carozza e a piedi. Arivati llà sse magnava, se bbeveva quer vino che usciva da le grotte che zampillava, poi s'annava a bballà er sartarello o ssur prato, oppuramente su lo stazzo dell'osteria der Capannone, o sse cantava da povèti, o sse se giôcava a mora".
La presenza di orti e vigne intorno alle porte della città favorì la diffusione delle Ottobrate, oltre che nella zona di Testaccio, ricordata da Zanazzo, anche altre zone fuori porta, in particolare a Ponte Milvio, San Giovanni, Porta Pia, San Paolo, Monteverde e Monte Mario, che nella prima metà dell’Ottocento erano ancora coltivati a orti e vigne.
Per partecipare alla festa era usanza vestirsi in modo molto ricercato: le donne erano solite ornarsi di fiori e piume, ma anche gli uomini, come illustrano tante stampe e incisioni dell’epoca usavano vestiti particolarmente sfarzosi.
Il programma era a base di giochi come: bocce, ruzzola, altalena e alberi della cuccagna; poi c’erano i canti, balli, stornelli, vino a fiumi e grandi mangiate; durante le "scampagnate" non mancavano mai gnocchi, gallinacci, trippa e abbacchio.
Si suonava con tamburelle, chitarre e nacchere e soprattutto si ballava il saltarello, le cui movenze erano spesso accompagnate da un ritornello che recitava:
"birimbello birimbello
quant’è bono 'sto sartarello
smòvete a destra smòvete a manca
smòvete tutto cor piede e coll’anca".
Il ritmo del saltarello ravvivava il clima della festa che via via si surriscaldava a causa degli effetti del vino tanto che, come ci racconta lo stesso Zanazzo, il rientro in città era sempre più chiassoso della partenza:
"la sera s'aritornava a Roma ar sôno de le tamburelle, dde le gnàcchere e dde li canti... E ttanto se faceva a curre tra carozze e ccarettelle che succedeveno sempre disgrazzie".
La tradizione delle Ottobrate, sopravvissuta alla fine del governo papale, rimase viva fino ai primi anni del Novecento ma ancora oggi, quando parliamo del bel tempo in ottobre, diciamo “che bella ottobrata!”.
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