No, non ho intenzione di muovere critiche alle intercettazioni telefoniche, in molti casi sono utili, addirittura necessarie, anche se come per tutti i buoni provvedimenti c’è chi ne approfitta, usandoli a sproposito. Come dicevo, non è di questo che voglio parlare. I miei amici mi criticano perché ho il cellulare di tre anni fa, ma non me la prendo, non lo cambio perché per l’uso che ne faccio va bene e funziona ancora egregiamente, non è per tirchieria, ma perché buttare nella spazzatura già tanto voluminosa altri prodotti altamente inquinanti? Il mio rapporto con il telefono è sempre stato conflittuale, le conversazioni telefoniche hanno la freddezza dell’apparecchio da cui e in cui parli. Mancano gli sguardi, i gesti, il calore, solo dalle sfumature della voce puoi percepire i sentimenti; eppure quante parole d’amore corrono attraverso i fili, quanti litigi, riappacificazioni. Quanti abbracci virtuali con persone lontane. Quante volte abbiamo atteso con trepidazione quello squillo. Anche gli “affari” si combinano con un colpo di telefono. Ma la mia fobia per il telefono parte da molto lontano. Quando ero piccola, il telefono era attaccato al muro, in casa mia era collocato in una rientranza dell’anticamera in un punto piuttosto oscuro. Guardavo con timore quel rettangolo nero, e il disco mi pareva una bocca dal ghigno satanico. Quando ero costretta a passarvi davanti, lo facevo il più velocemente possibile, con il cuore che batteva all’impazzata. A volte avevo incubi in cui l’apparecchio diventava enorme, si muniva di lunghe braccia e mi afferrava in una stretta soffocante. Mia madre mi spiegò che quando ero ancora più piccola, mentre lei era distratta, io avvicinai una sedia al telefono e mi arrampicai fino a raggiungere il disco e a infilare un dito in quei buchi per me magici. In quel preciso momento, mentre il mio ditino s’insinuava, quell’oggetto infernale si mise a suonare, spaventandomi a tal punto, da farmi ruzzolare giù dalla sedia. Io non ricordavo più l’episodio ma mia madre era convinta che quello fosse il motivo delle mie paure. Appena fu in commercio un nuovo modello, mio padre lo cambiò e ne mise uno dal colore grigio chiaro e di quello non ebbi mai paura, anzi il suo disco mi sembrava un bel sorriso rassicurante. Alcuni anni dopo fu un lusso avere il telefono da tavolo, con fare disinvolto, lo spostavamo sul pavimento, sdraiandoci languidamente mentre parlavamo, imitando gli americani che lo usavano già da molto tempo; ci sentivamo molto moderni ed emancipati. Che passi da giganti ha fatto la telefonia in questi ultimi decenni! Ora pressoché tutti, oltre al fisso, hanno il cellulare e molti più di uno: quello per il lavoro, quello privato…e quello di scorta. Come abbiamo visto nelle indagini dei fatti di cronaca questi oggettini contengono un’infinità di dati ed è un po’ come se noi andassimo in giro con sofisticati microchips. In fondo siamo entrati a far parte del gioco, quello del grande fratello.
Edoardo Sanguineti dedica alla sua donna questi versi
Vengo, con la presente, a te, per chiederti formalmente di esentarmi d’urgenza dal comunicare, con te, per telefono (io non posso battere zuccate disperate, contro il primo muro che mi trovo a disposizione, ogni volta, capirai, appena mollo giù il ricevitore): (perché, mia diletta, io non saprò mai separare, stralciandole, le tue parole, a parte, dai tuoi gomiti, dai tuoi alluci, dalle tue natiche, da tutta te) (da tutto me): sola, la tua voce mi nuoce.