Qualcuno ha detto che solo Monicelli poteva uccidere Monicelli, perché uno come lui è eterno, immortale, ci avrebbe sepolti tutti. Non se lo aspettava davvero nessuno, non oggi, una triste giornata che già ci aveva portato via il grande Leslie Nielsen e il regista Irvin Kershner (“L’impero colpisce ancora”). Monicelli lascia il Paese che ha reso grande, e che oggi criticava con il fervore di un sessantottino, incitando i giovani alla rivoluzione (“Quello che in Italia non c’è mai stato, una bella botta, una bella rivoluzione, Rivoluzione che non c’è mai stata in Italia… C’è stata in Inghilterra, c’è stata in Francia, c’è stata in Russia, c’è stata in Germania, dappertutto meno che in Italia. Quindi ci vuole qualcosa che riscatti veramente questo popolo che è sempre stato sottoposto, trecento anni che è schiavo di tutti”).
“I Soliti Ignoti”, “La Grande Guerra”, “Un Borghese Piccolo Piccolo”, “Amici Miei”, “L’Armata Brancaleone”, “Il Marchese Del Grillo”, “Speriamo che sia femmina”: questi soltanto alcuni dei titoli che ci ha regalato in decenni di straordinaria carriera. A Mario Monicelli ci lega personalmente un aneddoto, ci piace infatti ricordarlo mentre passeggiava per i corridoi dell’Auditorium durante il Festival di Roma 2007: mentre la folla inneggiava alla passerella di Tom Cruise, il sottoscritto e pochi altri lo salutavano con gratitudine e ammirazione.
“La vita non è sempre degna di essere vissuta, se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena”. Con queste parole commentava il suicidio di suo padre nel 1946, e ora risuonano come un triste messaggio di addio. E se ultimamente aveva dichiarato che “la speranza è una trappola infame inventata dai padroni”, noi preferiamo ciò che disse a proposito della felicità: “La vera felicità è la pace con se stessi, e per averla non bisogna tradire la propria natura”. Addio Mario, già ci manchi.
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