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De: primula46 (Mensaje original) |
Enviado: 14/01/2011 19:57 |
Gianlorenzo Bernini, Angelo con cartiglio, Sant'Andrea delle Fratte, Roma. La veste dell'angelo si anima nelle mani dell'artista, che riesce a conferire al marmo una sorprendente leggerezza.
Gli angeli del seicento
Con il Barocco prima e il Rococò dopo, la nuova iconografia dell'angelo bambino diventa una delle più diffuse e frequentate dai grandi artisti dell'epoca. Il motivo è semplice e questa volta si allontana, in parte, dalla teologia (ma non la contraddice): quello del puttino è un soggetto che, oltre a suscitare un sentimento di tenerezza, offre enormi possibilità pittoriche nella resa della morbidezza della carne e della setosità della pelle. Lo sa bene Rubens che nella tela Cristo, San Giovanni e angeli (Wilton House) si diverte a ridurre tutti a una dimensione infantile per far giocare Gesù bambino con il piccolo Giovanni Battista e con un paio d'angioletti, meglio, cherubini, che completano la compagnia.
Guido Reni, Cupido dormiente, collezione privata.
Si tratta di uno spunto che consente all'artista di sfoggiare tutta la sua capacità tecnica riuscendo a invogliare chi guarda fino al punto di desiderare di prendere a pizzicotti i protagonisti del quadro. Questo, però, non vuol dire che l'immagine non rivesta profondi significati simbolici. Intanto, la scelta di rappresentare tutti come bimbetti, se da una parte rimanda all'innocenza, dall'altra dimostra implicitamente che il disegno divino si svolge fin dalle origini e che, quindi, la salvezza degli uomini fa parte dell'economia della creazione. La presenza del manto rosso e dell'agnello, poi, vuole significare il sacrificio del martirio, così come il grappolo d'uva nelle mani di Gesù è immagine dell'eucarestia, mentre la frutta lo è di vita e di abbondanza. Infine, il fatto che l'artista abbia scelto due cherubini non pare casuale, dal momento che essi sembrano evocare quelli descritti nell'Esodo (XXV, 19) posti a protezione dell'Arca dell'Alleanza della quale il Cristo e l'unione eucaristica costituiscono l'attuazione del Nuovo Testamento.
Peter Paul Rubens, Madonna con Bambino in una ghirlanda di fiori, Pinacoteca, Monaco. La figura dell'angelo puttino, oltre a offrire agli artisti lo spunto per virtuosismi tecnici, rimanda a una concezione neotestamentaria, secondo cui il disegno divino si svolge fin dalle origini.
Come si vede, il significato è antico, ma cambiano le forme che gli artisti adoperano per rappresentare queste creature celesti. Allora, di nuovo, Rubens affolla di dolcissimi cherubini la Madonna con Bambino in una ghirlanda di fiori (1616 ca.) della Pinacoteca di Monaco, che si rivela in tutto il suo tripudio di fiori e di colori, mentre l'Assunzione conservata al Louvre, dello stesso autore, è un turbinio di angioletti che si librano nell'aria portando con sé la Vergine con il Bambino in braccio. Gli episodi rimangono gli stessi, ma si modificano le scelte che sfociano in soluzioni ben diverse da quelle del Medioevo e del Rinascimento.
Caravaggio, San Matteo e l'angelo, cappella Contarelli, San Luigi dei Francesi, Roma. L’artista barocco rende le vesti di questo messaggero divino con una libertà compositiva mai vista prima.
Non solo cherubini
In questo nuovo clima, l'angelo puttino, il cherubino, svolge un ruolo di grande importanza, dal momento che popola quadri e affreschi, miniature e sculture come quelle monumentali di San Pietro con le quali Gianlorenzo Bernini ha decorato l'interno della basilica più grande della cristianità. È in questo momento che i paffuti cherubini compaiono fra le nuvole dei soffitti barocchi in stucco o in pittura, come nel grande affresco di Giovan Battista Gaulli per la chiesa del Gesù a Roma. Destinati a confondersi con gli eroti, a loro volta derivazione di Cupido (come per esempio quello di Guido Reni), anche per quella comunanza di carnalità che collega la pittura religiosa barocca a que1la profana dello stesso periodo, i cherubini non sono però gli unici angeli che popolano le opere d'arte del Seicento non soltanto italiano.
Giovan Battista Gaulli, detto il Baciccia, Il trionfo del nome di Gesù, chiesa del Gesù, Roma. Un mondo di paffuti cherubini, quasi degli eroti, popola i soffitti di molte chiese del Seicento.
La figura dell'angelo adulto si arricchisce, infatti, di un abbigliamento meno rigido, che conferisce alla figura grande maestosità. La veste si fa larga, morbida, a volte quasi una pezza di stoffa preziosa, come nel caso dell'angelo che suggerisce il testo del Vangelo al San Matteo di Caravaggio della cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi a Roma. Penserà poi Bernini a tradurre questa leggerezza nel marmo, non solo con l'angelo leggiadro dell'Estasi di Santa Teresa d'Avila, ma pure nella teoria di messi divini che accompagna il devoto dall'una all'altra sponda del Tevere in Ponte Sant'Angelo. Sono questi gli angeli che portano gli strumenti della passione di Cristo, i quali costituiscono una Via Crucis molto particolare nella quale all'angelo è affidato il compito di esibire le testimonianze della sofferenza del Salvatore, che sono anche quelle del Suo smisurato amore per l'uomo. In questa scelta ci sono tutti i parametri del Barocco, la cui poetica tende a stupire lo spettatore, a teatralizzare l'evento per suscitare forti emozioni finalizzate all'incremento della fede. Molti sono i segnali in questo senso, a cominciare dalla rappresentazione dei tormenti del Purgatorio e dell'Inferno che vengono platealmente esibiti in immaginette, illustrazioni incise perché siano oggetto di meditazione da parte del fedele.
Pietro da Cortona, particolare dell 'Apoteosi di Enea, Galleria di Palazzo Pamphilj, Roma. Ancora puttini che sembrano convivere senza problemi tra il mito classico e la fede cristiana.
Le nuove problematiche religiose
Nel corso del Seicento si mettono a punto e si sviluppano quelle problematiche religiose che erano nate con la Controriforma (1545-1563), ossia con quel movimento di moralizzazione che voleva riportare il Cristianesimo alla purezza delle origini. In quest'ottica, un ruolo privilegiato ebbe la figura dell'angelo custode che, nei sacri testi, non è esplicitamente definita, ma che ha una serie di presupposti, prima di tutto nell'episodio di Tobia e l'arcangelo Raffaele che aiuta questo personaggio nel difficile compito di guarire il padre (Tobia, 111-12) e, poi, in una serie d'altri spunti testuali che vanno dai Salmi (34 (33), 8; 91 (90), 11) ai Proverbi (4, 11; 16, 9), fino al Vangelo di Matteo (18, 10), dove l'angelo è evocato a protezione dei fanciulli. Proprio a quest'ultimo tema s'ispira L'angelo custode di Piero Berrettini, meglio noto come Pietro da Cortona, conservato a Palazzo Barberini, che rappresenta, appunto, l'angelo custode.
L’angelo Raffaele si diparte dalla famiglia di Tobia, Rembrandt, Louvre, Parigi. Firmato e datato 1637, il quadro appartiene a una serie di opere e repliche dedicate da Rembrandt alla storia di Tobia e l'angelo. L'episodio è narrato nel Libro di Tobia dove si racconta come l'arcangelo si sia rivelato a Tobia e alla sua famiglia. QUANDO TOBIA riacquista la vista, l'arcangelo si rivela e dichiara: «lo sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti a entrare alla presenza della maestà del Signore» (Tobia, XII, 15). Dopo la sua dichiarazione, vola via e Rembrandt coglie proprio questo momento realizzando un'opera di grande suggestione.
L'immagine concepita per la committenza di papa Alessandro VII Chigi (1655-1667), doveva tenere conto dei brani dei salmi più sopra ricordati. La tela non mostra soltanto l'angelo che tiene per mano il bambino, ma, sullo sfondo a sinistra, si scorge un altro angelo che, volando, offre aiuto a un adulto e lo conduce sulla retta via, verso la luce, lontano dall'ombra che incombe sulla vita di chi si era smarrito. Il paesaggio nuvoloso non ha solo un valore meteorologico, ma simbolico: rappresenta il peccato e il pericolo dal quale l'angelo deve allontanarci. Non per nulla, nella scena principale le figure dell'angelo custode e del bambino camminano sicure nella luce della Grazia. La dottrina degli angeli custodi ebbe un assetto definitivo, grazie all'approvazione da parte di papa Clemente X (1670-1676) che conferì al tema una dimensione catechetica.
Guido Reni, gli angeli, particolare de La Maddalena, collezione privata. La presenza di cherubini contribuisce a rendere visibile la dimensione straordinaria dell'evento. In questo senso i cherubini sono il segno della presenza di Dio.
Da quel momento in poi assistiamo a una proliferazione d'immagini che acquisirono una propria specificità iconografica e vennero venerate sugli altari allontanandosi dal prototipo di Raffaele e Tobia. È giusto in questo periodo che vengono coniate le preghiere da rivolgere al messo divino, come l"Angelo di Dio". Quindi, la figura dell'angelo custode nel Seicento, è un po' la metafora della Chiesa che segue i propri fedeli e dà loro la mano per condurli sulla strada dell'ortodossia, in un atteggiamento di costante aiuto, come mostra L'angelo custode di Guercino.
Riposo nella fuga in Egitto, Guido Reni, Combs Collection, Londra Realizzato allo scadere del secolo, a ridosso del primo viaggio dell’artista a Roma, è ambientato all'ombra di un tempio diroccato e presenta già una forte impronta barocca. LA FUNZIONE della presenza angelica è, da una parte, quella del servitore e dall'altra, quella che qualifica l'evento come straordinario, nella migliore tradizione degli Apocrifi. Il fatto che qui il messo divino porti della frutta di cui Maria si nutre, vuole alludere al fatto che la Provvidenza non abbandona nessuno.
L'arcangelo Michele
Proprio al tema del conflitto fra confessioni diverse. e alla difesa di quella cattolica, praticamente identificata con il Cristianesimo da parte della Curia, sembra riferirsi la diffusione di un altro soggetto angelico: quello dell'arcangelo Michele che sconfigge il demonio. Certo è che il tema poteva colorarsi anche di risvolti personali, come risulterebbe dalla celeberrima tela di Guido Reni (San Michele Arcangelo, 1635) conservata a Roma presso Santa Maria della Concezione, meglio nota come chiesa dei Cappuccini. Infatti, secondo quanto riporta il biografo di Reni, Carlo Cesare Malvasia, il demonio avrebbe le fattezze del cardinal Pamphilj, futuro Innocenzo X, che non aveva buoni rapporti con la casata dei Barberini e, in particolare, con il cardinale di Sant'Onofrio Antonio Barberini, fratello di Urbano VIII, committente dell'opera, che proveniva proprio dalle fila dei cappuccini e aveva desiderio di donare un capolavoro al proprio ordine ecclesiastico.
Guercino, L'angelo custode, Museo e Pinacoteca Civica del Palazzo Malatestiano, Fano. La figura dell'angelo custode si diffonde particolarmente dopo la Controriforma divenendo quasi metafora del ruolo salvifico svolto dalla Chiesa come guida degli uomini.
La scelta del soggetto è coerente con la volontà di sottolineare la difesa della fede e, in questo caso, anche del proprio primato gentilizio. In ogni modo, il quadro di Guido Reni è di sicuro uno dei capisaldi dell'iconografia micaelica nel XVII secolo. Celebrato da tutti, aggiornava il precedente modello raffaellesco (il San Michele e il drago del Louvre) e si poneva, a sua volta, come imprescindibile riferimento per le opere più tarde del Solimena, come il San Michele Arcangelo (1682), conservato presso la chiesa di San Giorgio a Salerno, oppure per le tele rococò di Michele Ricciardi.
Trasverberazione di Santa Teresa d’Avila, Bernini, 1647-1651 - SANTA MARIA DELLA VIDORIA, ROMA
Realizzata per la cappella della famiglia Cornaro, la scena è stata concepita come in un palcoscenico, tanto che l’effigie dei committenti qui seppelliti è raffigurata come se stessero assistendo al fatto dal palchetto laterale del teatro. L'ASPETTO e l'atteggiamento dell'angelo corrispondono a quanto ha lasciato scritto la santa nelle sue meditazioni. La figura del messo divino, d'indicibile bellezza, trapassava la pia donna con una freccia d'oro entrando e uscendo ripetutamente dal suo cuore fino a lasciarla completamente spossata e pienamente in estasi.
Del resto, non c'è sostanziale diversità fra le scelte stilistiche del Barocco e quelle Rococò rispetto alle problematiche figurative che un tema come l'angelo presenta. Valgano per tutti opere come il Cristo fra quattro santi e angeli dipinto da Pompeo Batoni, conservato al Paul Getty Museum, e l'Adorazione dei pastori di François Boucher al Louvre.
Agar nel deserto, Solimena 1688 - MUSEI CIVICI DEL CASTELLO VISCONTEO, PAVIA. L'episodio è tratto dall’Antico Testamento e narra della vicenda di Agar, schiava di Sara e concubina di Abramo. Quando, per volontà divina, Sara partorì Isacco, Agar fu cacciata e si allontanò nel deserto « …sulla strada di Sur».
Fonte: I grandi temi della pittura, ed. De Agostini
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Gli angeli nel RinascimentoLa caratteristica saliente del Rinascimento è stata quella di recuperare lo stile, la bellezza, le proporzioni, i modelli decorativi e quelli figurativi dell'antichità greco-romana. Gli artisti del XV e del XVI secolo, non soltanto in Italia, ma sull'esempio degli italiani, si sono ispirati alla magnificenza di Atene e di Roma per dar vita a un periodo che Giorgio Vasari, il critico e pittore aretino, autore della più importante raccolta di biografie di artisti (Le Vite ... ), chiamerà con orgoglio "rinascita". Bene, gli angeli non fecero eccezione e finirono per assomigliare a delle Vittorie classiche. Il punto cruciale per questa nuova rivoluzione iconografica, che vedeva la sostituzione, in parte, del tipico abbigliamento angelico con dalmatica e pallio con una nuova veste rigonfia sulle pelvi, risiede nel soggiorno di Andrea del Castagno a Venezia nel 1442. Non che in precedenza non esistesse qualche esempio, anche illustre, come quello dell'angelo che caccia Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, dipinto da Masaccio (1425-1427) nell'affresco della cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine a Firenze, ma è certo dopo il ritorno di Andrea a Firenze che si assiste alla diffusione di questa nuova tipologia. Cambiano le loro vesti Prima, gli angeli con la tunica stretta in vita erano soprattutto sul tipo di quelli dipinti da Beato Angelico, per esempio, nel Giudizio universale, vestiti da diaconi, secondo quella tradizione, sempre pseudo- areopagitica, che istituisce una relazione tra gerarchia angelica ed ecclesiastica. Andrea del Castagno, a Venezia, in quel lontano 1442, eseguì gli affreschi con Dio Padre, Santi e i quattro Evangelisti in collaborazione con Francesco da Faenza, nella cappella di San Tarasio presso la chiesa di San Zaccaria. Di sua mano sono Dio Padre, San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista. Successivamente lavorò alla basilica di San Marco lasciando un affresco con la Morte della Vergine (1442-1443). Cosa poteva averlo suggestionato? Se si osserva con attenzione la cupoletta dedicata alle Storie della Genesi, che si trova nell'atrio dell'edificio, non sarà difficile vedere che tutti i giorni della Settimana primordiale, quella nella quale Dio creò il cielo e la terra, gli astri, il mare, i pesci, gli uccelli, gli animali e l'uomo, sono caratterizzati dalla presenza di angeli che aumentano di numero con il progredire dei giorni.
Senza entrare nel merito alle motivazioni teologiche di queste raffigurazioni, che derivano da un codice miniato sul tipo di quello conservato a Londra e noto come Bibbia di Cotton (VI secolo), quel che preme sottolineare è che queste figure indossano una sorta di chitone classico che pare avere un bel rigonfiamento in vita. In particolare, l'effetto è palese nella scena che rappresenta il Terzo giorno della creazione, quando Dio diede vita alle piante.
Beato Angelico, particolare dell'Annunciazione, Museo di San Marco, Firenze. Anche in questo caso, l'angelo indossa una veste talare.
L’abbigliamento dovette colpire il pittore perché, da una parte, ricordava quello della Vittoria classica e, dall'altro, era molto simile all'abito di certi contadini che tutti conoscevano come "guarnello". Il termine guarnello che, in realtà, era il nome della stoffa, un misto lino, assai leggero e adatto a lavorare nei campi, venne esteso alla tipologia della veste. Questa era costituita da una tunica, in genere con le maniche, che aveva la particolarità di possedere due cinture, in genere cordoni, che si legavano all'altezza delle pelvi e della vita. Il risultato era che si poteva accorciare la lunghezza della veste a piacimento facendola sbuffare sui fianchi. Un esempio preciso di come veniva adoperata ce lo offre la musa dell'agricoltura (Pomona) dipinta in quegli anni da Francesco del Cossa. Zappa in mano e cuffia in testa, la nostra musa è una vera contadina del Quattrocento padano che si pone come perfetto modello per gli angeli che verranno. Il suo guarnello, infatti, assomiglia moltissimo a un chitone greco e il confronto con le figure duecentesche del mosaico veneziano pare proprio avvalorarlo.
Andrea Mantegna, Madonna con Bambino, detta dei Cherubini. Pinacoteca di Brera, Milano. I cherubini che circondano Maria e il Bambino cantano l'armonia e la gloria di Dio che si è fatto uomo.
Il recupero della bellezza classica
Del resto, il tentativo del Rinascimento di recuperare le bellezze del mondo antico per farle rivivere nel secolo di Lorenzo il Magnifico e di Ludovico il Moro non poteva prescindere dalla necessità d'inventare nuovamente la figura angelica che doveva assomigliare il più possibile a una Vittoria classica. Così, quando Andrea del Castagno tornò da Venezia, dipinse la Madonna con il Bambino e Santi della collezione Contini Bonacossi, che presenta angeli con questa nuova straordinaria veste. Andrea la impiegò subito dopo nel refettorio di Sant'Apollonia a Firenze, dove dipinse, nella parte superiore, a sinistra la Deposizione, al centro la Crocifissione e a sinistra la Resurrezione. Le scene sono molto rovinate, ma ancora leggibili, e presentano, nella parte superiore, una serie di angeli con questa plastica veste. Non solo, ma sempre a Sant'Apollonia dipinse, in una lunetta del chiostro, l'affresco con Cristo in Pietà sorretto da due angeli, dove i messi divini seguono il solito modello. Era comunque inevitabile che, con il Rinascimento, la figura angelica fosse influenzata dal modello classico della Vittoria alata. Infatti, non fu solo Andrea ad adottare il nuovo tipo di angelo. Lo troviamo, allora, nel Sacrificio di Zaccaria, dipinto da Domenico Ghirlandaio in Santa Maria Novella a Firenze, oppure nell'affresco di Piero della Francesca per il cimitero di Monterchi che rappresenta la celeberrima Madonna del parto.
La Madonna del parto 1460, Cappella del cimitero di Monterchi, Arezzo L'affresco è stato messo in relazione dagli studiosi con la scomparsa della madre dell'artista. Narra, infatti, Vasari che Piero “ … finita in Roma l’opera sua, se ne tornò al Borgo essendo morta la madre” Nella lettura dell'opera di Piero come Arca dell'Alleanza, legata anche alla tradizione della Casa di Maria a Loreto, gli studiosi hanno notato che il padiglione all'interno quale si trova la Vergine riprende alcuni elementi della descrizione del Tempio di Salomone, con l'intento sottolineare la continuità fra Antico e Nuovo Testamento .
Melozzo da Forlì, Angelo, Musei Vaticani, Città del Vaticano. L’angelo di Melozzo suona uno degli strumenti più diffusi dell'epoca: il liuto.
Presentano la stessa tipologia gli angeli di Melozzo da Forlì, resti degli affreschi della chiesa dei Santi Apostoli a Roma o, ancora, gli angeli musicanti che Perugino dipinse per la pala d'altare dell'abbazia di Vallombrosa, realizzati nel 1500, allo scadere del secolo. Anzi, in certi casi come nel rilievo di Agostino di Duccio, che mostra l'incontro fra San Sigismondo e l'angelo, quest'ultimo rasenta la spregiudicata bellezza di una divinità pagana, quasi una menade.
Andrea Castagno, Assunta con i Santi Miniato e Giuliano, Staatliche Gemaldegalerie, Berlino
Andrea Castagno, Crocifissione, particolare, Sant’Apollonia, Firenze.
Andrea Castagno è tra i primi artisti a operare una vera e propria rivoluzione nella resa dell’angelo, che ritrae con un vestiario mai visto prima.Il che non vuoi dire, però, che non si rimanesse nell'ambito di una rigorosa tradizione, perché queste novità non oltrepassavano mai il limite della trasgressione, risultando, invece, accettate da tutti. In ogni caso, la scoperta di modelli classici da poter sfruttare per il nuovo linguaggio cristiano, ormai consolidato da più di mille anni e da altrettanti riconosciuto espressione della religione ufficiale, non si limitava a quanto appena esposto.
Domenico Ghirlandaio, annuncio dell’angelo, Cappella Tornabuoni, Santa Maria Novella, Firenze
Putti ed eroti come angeli
Sulla scorta dell'eredità dell'antico si prese a utilizzare i putti e gli eroti come angeli, tanto che, talvolta, non si riusciva a distinguerli. Fra gli esempi più antichi c'è sicuramente quel capolavoro che è il pulpito del duomo di Prato realizzato, fra il 1433 e il 1438, da Donatello e Michelozzo. Le specchiature della balconata circolare sono infatti decorate con puttini alati che danzano e suonano, angioletti musicanti che s'ispirano al Salmo 150, ma che nelle forme altro non sono che eroti della nuova religiosità cristiana, quella che adesso vuole rileggere Ovidio e Virgilio, alla luce di una cristianità ritrovata. Per questo non è un caso che Donatello, prima di realizzare l'opera, si fosse riempito gli occhi di reliquie dell'antico nel corso di un lungo soggiorno romano durato dal 1431 al 1433, ossia a ridosso dell'impresa di Prato. Come potevano essere inquadrati questi eroti cristiani, paffutelli e alati, nella visione di un'angelologia ormai matura che mai prima d'ora aveva preso in considerazione simili figure? La risposta sta in un'opera di Jean Fouquet che pare, in questo senso, quasi avere una funzione didascalica. Si tratta dell'algida Madonna con il Bambino e angeli che costituiva l'anta destra del Dittico Mlun. Bene, qui gli angeli sono putti alati e sarebbero morbidi e paffuti se il pennello di Fouquet non li avesse trasformati in animate statuette di corallo e di lapislazzulo, tanto sono turgidi e lucenti.
Jean Fouquet, particolare della Madonna con il Bambino e angeli, Dittico Melum, Musée Royal des Beaux-Arts, Melum. Le creature celesti sono facilmente identificabili, grazie al colore rosso i serafini e azzurro i cherubini.
Ecco svelato il segreto. Con l'attribuzione del colore rosso e blu conferito loro dall'artista, i nostri bimbetti alati si rivelano per quel che sono: serafini (rossi) e cherubini (azzurri). Questa scelta non può essere, però, considerata una regola generale. Si pensi all'Angelo musicante di Rosso Fiorentino, dove un puttino con le ali suona un grande liuto: anche in questo caso si potrebbe parlare di un cherubino. Non vi sono prove concrete, ma un indizio potrebbe essere costituito dai due angioletti della Madonna Sistina di Raffaello, che hanno lo stesso fare bambinesco e potrebbero essere quindi cherubini, secondo una delle tante tradizioni di questa immagine.
Angelo musicante, Rosso Fiorentino, Uffizi, Firenze
La capacità di sintesi di Rosso Fiorentino emerge anche dalla povertà di mezzi utilizzati per la realizzazione di questa deliziosa tavola. La gamma cromatica, infatti, è assai limita, così come è essenziale lo schema compositivo basato sulla diagonale.L’interpretazione che Rosso Fiorentino dà del tema degli angeli musicanti è estremamente moderna e accattivante, visto che pone l'accento su una dimensione giocosa e di grande finezza psicologica. Il piccolo cherubino, infatti, a stento riesce a suonare il liuto ben più grande di lui.
QUELLO DEGLI ANGELI MUSICANTI che, qui, Rosso risolve in termini intimistici e originali, in realtà è un tema dalle profonde implicazioni teologiche. La tradizione ritiene, infatti, che uno dei compiti delle schiere celesti sia quello di suonare la musica mondana, specchio di quella divina scaturita spostando le sfere di quell'immenso carillon che è il cosmo immaginato prima delle scoperte di Galileo. Gli uomini cercano maldestramente d'imitarla con il suono degli strumenti. Infine, c'è un'altra iconografia angelica che si afferma in questo periodo: quella dei cherubini come testoline alate. Responsabile di questa novità è la figura del Vento che, in una lunga sequela di, opere viene rappresentato come testa alata e soffiante. Così, lo troviamo su codici medievali ed esempi monumentali che poi, quasi impercettibilmente, si trasformano negli angeli nella decorazione a costoloni della chiesa superiore d'Assisi. Il Rinascimento riprende quest'immagine e la trasforma in quei cherubini che troviamo svolazzare, per esempio, intorno alla Madonna con il Bambino di Andrea Mantegna.
Agostino di Duccio particolare con gli Angeli musicanti, Tempio Malatestiano, Rimini. Il recupero delle bellezze del mondo antico si ritrova in quest'opera ispirata ai modelli della tradizione classica.
Disputa del Sacramento, particolare, Stanza della Segnatura, Appartamenti Vaticani, Città del Vaticano.
L’affresco , che si confronta, sull'altra parete, con la celeberrima Scuola d'Atene dello stesso autore contrapporre la Verità cristiana alle filosofie pagane che, tuttavia, vengono considerate premessa necessaria alla comprensione del Verbo divino; l'affresco è anche un invito alla meditazione: infatti, fu realizzato nella stanza, che originariamente conteneva la biblioteca di papa Giulio II committente del ciclo delle Stanze di Raffaello. IL PARTICOLARE qui riprodotto mostra la parte alta dell'affresco, dove la luce dorata dell'empireo scende su coloro che partecipano alla scena. In realtà, infatti, il soggetto rappresentato non è quello indicato dal titolo con il quale l'opera è ormai nota, ma il tema è quello dell'Esaltazione dell'eucarestia. Non c'è dunque nessuna disputa, se non l'animata discussione dei Padri della Chiesa sul miracolo dell'eucarestia che si ripete a ogni liturgia della Messa. GLI ANGELI hanno una funzione di contorno, perché costituiscono da una parte la dimostrazione dell'epifania del Sacro e, dall'altra, il corteo che accompagna il Salvatore. Nell'oro, infatti, appaiono le teste di cherubini come se fossero nuvole di luce, mentre in primo piano angeli dal delicato aspetto femmineo indossano la veste con il rigonfiamento sulle pelvi che rimanda all'immagine classica della Vittoria alata.
Riposo nella fuga in Egitto 1599, Caravaggio, GALLERIA DORIA PAMPHILJ, ROMA
L’opera ha come tema principale quello della musica e, per questo, deve essere posta in relazione con la contemporanea scoperta del corpo di Santa Cecilia, patrona della musica. La melodia suonata dall'angelo è una melodia realmente esistente. LA SCELTA di rappresentare l'angelo nudo e avvolto soltanto da una frusciante pezza di lino leggero deve essere posta in relazione con i precetti dettati in quegli anni dal cardinal Federico Borromeo (protettore di Caravaggio) che, nel suo De pictura sacra, consiglia proprio questa soluzione per significare la perfezione e la bellezza angeliche. IL TEMA del riposo nel corso della fuga in Egitto a seguito delle manifeste cattive intenzioni di Erode, che aveva annunciato la strage dei figli primogeniti appena nati, deriva dai Vangeli apocrifi. L'interpretazione che ne dà Caravaggio è quella dolce della ninna nanna (questo è il suono della melodia scritta dal compositore franco- fiammingo Noel Bauldewiyn in onore della Madonna) suonata dall'angelo. LA PRESENZA DEL VIOLINO suonato dall'angelo, per noi, oggi, è un dato scontato, visto che questo fa parte del panorama strumentistico da solista e da orchestra. All'epoca di Caravaggio, le cose non stavano così. Il violino era uno strumento moderno, nato dalle sperimentazioni dei maestri liutai di Bologna, Brescia o Cremona alla metà del Cinquecento, ossia qualche decennio prima che il maestro dipingesse questa memorabile opera.
Fonte I grandi temi della pittura, Ed De Agostini
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Giotto, Angeli che sorreggono la croce, particolare dell’affresco con il Giudizio universale, cappella degli Scrovegni, Padova.
Gli angeli nel medioevo
La grande novità del lungo periodo medievale è costituita dalla consolidata presenza delle ali. In realtà quando il Medioevo ebbe inizio, qualche esempio di angelo con le ali era già stato prodotto, ma è in questa stagione che si mise a punto un'iconografia precisa. Un momento chiave, primo in Italia, vero e proprio punto di passaggio, lo si trova a Roma nei mosaici dell'arco trionfale della basilica di Santa Maria Maggiore, voluti da papa Sisto III nel 432, all'indomani del Concilio di Efeso che aveva sancito il dogma per cui Maria è Thoetòkos, ossia la "Madre di Dio". Per rendere omaggio e per dare forza d'immagine a questa nuova condizione della Vergine che, implicitamente, confermava la coesistenza in Cristo di una perfetta natura divina e di una perfetta natura umana, il mosaico della basilica poneva Maria sul trono, circondata dagli angeli che avevano tutto l'aspetto e l'imponenza di dignitari di corte. Fra questi, uno la sovrastava volando, forse per ricordare il volo dell'annuncio di Gabriele che le rivelava il disegno divino.
Il restauro dei mosaici ha portato alla scoperta delle sinopie, ossia di quei disegni sottostanti il mosaico che servivano per eseguire l'opera. Il fatto straordinario è che la sinopia mostra l'angelo in volo, nelle grandi linee, identico a quello del mosaico, ma privo di ali. Si coglie, così, proprio il momento di passaggio da un'iconografia all'altra che costituisce una vera rivoluzione nel modo di rappresentare l'angelo. Da questo momento in poi, infatti, sarà del tutto inconcepibile pensare a un angelo senza ali. Tanto per rimanere nell'ambito della basilica di Santa Maria Maggiore, sarà sufficiente ricordare i mosaici dell'abside, realizzati fra il 1291 e il 1295 da Jacopo Torriti, dove gli angeli hanno ormai ampie, coloratissime ali. Naturalmente gli esempi potrebbero essere moltiplicati senza fatica, a cominciare dagli angeli monumentali che Gaddo Gaddi, fra il 1250 e il 1270, concepì e mise in opera per la cupola del Battistero di Firenze.
Il giudizio universale con Cristo Pantocratore e Storie della Genesi e del Battesimo, Battistero, Firenze.
Anche con la presenza delle ali, gli angeli seguitarono, nei primi secoli, a essere rappresentati con la precedente veste, ossia con la dalmatica, una sorta di poncho che copriva tutte le braccia nella versione più antica e poi una grande tunica a larghe maniche nella versione più tarda. Sopra - prima e dopo le ali -, il medesimo manto, quel pallio cui la tradizione cristiana attribuiva un alto significato morale, che ben rappresentava i valori di frugalità e di rigore cui, il Cristianesimo s'ispirava. I primi angeli erano vestiti così perché considerati di sesso maschile in quanto messi di Dio; né la scelta sarebbe potuta essere diversa, in un mondo nel quale assai differente era il peso giuridico di un uomo rispetto a quello di una donna.
Giotto, Crocifissione, cappella degli Scrovegni, Padova Qui l’artista dipinge, con forte senso naturalistico e plastico, gli “angeli” nuvola.
Perché le ali
Sulla scorta dei testi biblici, perciò, gli angeli si presentavano sotto forma di uomini e di questi assumevano aspetto e abitudini. Quando l'arcangelo Raffaele si rivelò a Tobia, dopo aver contribuito a guarire il padre Tobi, disse esplicitamente: "A voi sembrava di vedermi mangiare, ma io non mangiavo nulla: ciò che vedevate era pura apparenza" (Tobia, XIII, 19). L'episodio è importante, come del resto lo è l'ospitalità d'Abramo (Genesi, XVIII, 1-5), perché narra di angeli che si comportano come uomini. Eppure questi stessi angeli in altre situazioni volano, appaiono e scompaiono, come quando l'arcangelo Gabriele vola verso il profeta (Daniele, IX, 21), oppure mostrano esplicitamente di avere le ali come i cherubini di Ezechiele (I, 24), che le sbattono con il fragore dell'acqua che scroscia. Questo vuoi dire, raffigurare gli angeli con o senza le ali, in ogni caso, permetteva di restare fedeli ai testi biblici.
Ridolfo Giariento, Angelo che tiene alla catena il demonio. Musei Civici degli Eremiti, Padova. La figura dell’angelo rappresentato appartiene alla gerarchia delle potestà.
La domanda da porsi, allora, è: perché furono aggiunte e che significato potevano avere? Le ali comparvero, per un verso, perché a quattro secoli dalla diffusione del Cristianesimo non si correva più il rischio che gli angeli fossero confusi con le divinità pagane, come la Vittoria o Iride o Aion (l'Eternità); per l'altro, perché questa nuova presenza sottolineava la natura spirituale degli angeli stessi. Le ali degli angeli, infatti, furono idealmente strappate dalla figura pagana del Vento che, nella visione cosmologica di allora, occupava quel posto intermedio, fra la terra degli uomini e il fuoco dell'empireo, che, d'ora in poi, sarebbe stato degli angeli. Il riferimento testuale sul quale poggiava una simile operazione fu quello di un salmo nel quale si legge che Dio: « ... fece dei venti i suoi messaggeri ... », ovvero i suoi "angeli" (Salmo, CIII, (CIV) 4). Questa dimensione aerea degli angeli, che poi trovava riscontro nell'idea della loro leggerezza, della loro invisibilità, della loro velocità («in un momento gli angeli sono dappertutto», diceva Tertulliano), fu sottolineata da molti autori cristiani a cominciare da Isidoro di Siviglia (570-636), che scriveva come i messi divini traessero corpo « ... da quell'aria che sta più in alto e che indossano come solida forma fatta di cielo, grazie alla quale possono essere distinti in maniera più evidente dallo sguardo degli uomini». I pittori non si lasciarono sfuggire le suggestive possibilità che derivavano da queste riflessioni e, non di rado, cominciarono a dipingere angeli che sbucavano dalle nuvole e da queste traevano corpo e consistenza. Un bell'esempio lo troviamo nell'affresco della Crocifissione che Giotto realizzò nella cappella degli Scrovegni a Padova fra il 1304 e il 1305. Qui le creature celesti, che secondo una tradizione diffusa si disperano intorno al Cristo in Croce, hanno il corpo che finisce in una nuvoletta che, guarda caso, ha il medesimo colore del vestito. Allo stesso modo, ma forse con un intento più naturalistico, Pietro Lorenzetti, il fratello maggiore di Ambrogio, dipinse angeli siffatti nella Crocifissione della chiesa inferiore di Assisi, fra il 1335 e il 1340. Qui l'effetto è proprio quello di figure leggiadre uscite dal cielo, il cui corpo, quasi fatto di nube, pian piano sembra prendere forma e solidificarsi, esattamente come aveva scritto l'enciclopedista Isidoro.
Giotto, Cristo morto . Enrico Scrovegni commissionò quest’affresco per la sua cappella privata, detta dell'Arena per la denominazione del terreno su cui sorgeva. Già dal 1304 papa Benedetto XI concedeva l'indulgenza ai visitatori del luogo sacro. Cappella degli Scrovegni, Padova.
Come una sorta di scala
L'apporto medievale all'immagine degli angeli non si limitò all'aggiunta delle ali. È nel corso del Medioevo, infatti, che si definiscono le varie iconografie dei cori angelici. Fu in questo periodo che ebbe maggiore influenza un testo importante come la Gerarchia celeste dello pseudo-Dionigi l'Areopagita. Il prefisso"pseudo" è d'obbligo perché, in realtà, Dionigi giudice dell'Areopago, allievo e compagno di San Paolo, non ha nulla a che vedere con l'autore di questo testo, redatto assai più tardi, verso il VI secolo, ma accreditato per un lungo periodo come scritto dal santo primo vescovo d'Atene. L'autorità del libro, in realtà, derivò proprio da quest'equivoco che, successivamente, fece del santo dell'Areopago quel Saint-Denis cui l'abate Sugerio (1082-1152) dedicò l'omonima chiesa, manifesto della nuova armonia medievale basata sulla luce. Fatto proprio anche dal nostro Dante Alighieri, il pensiero dello pseudo-Dionigi è uno dei fondamenti dell'estetica medievale, che considera la luce come emanazione e manifestazione di Dio. Per evitare che gli uomini vengano abbagliati da quest'insostenibile lucentezza, lo pseudo-Dionigi aveva immaginato una gerarchia di angeli, una sorta di "scala", che da Dio scendeva fino agli uomini. I nomi dei nove cori angelici che la costituiscono sono ripresi in parte dalla Bibbia con aggiunte derivate da autori come Girolamo e Gregorio Magno, ridotti a un vero e proprio sistema che sarà poi diffuso dall'enciclopedismo successivo di Isidoro di Siviglia, Beda il Venerabile e Rabano Mauro. Naturalmente gli artisti furono fortemente influenzati da questo pensiero, che produsse veri e propri capolavori come i mosaici della cupola del Battistero di Firenze, o del Battistero di San Marco a Venezia, tanto per citare due esempi monumentali.
Guariento, Schiera di angeli armati 1347-1354 ca. Il dipinto fa parte di una serie di tavole raffiguranti le gerarchie angeliche. L'intero ciclo decorativo fu realizzato dall'artista per la cappella annessa alla Reggia Carrarese di Padova, dimora di Ubertino e Giacomo da Carrara, signori della città. TRA LE TAVOLE SUPERSTITI della serie dipinta da Guariento, questa è sicuramente la più celebre. I principati sono elegantissimi, in armi, con una bella "P" sullo scudo. Questo coro angelico appartiene alla seconda gerarchia, quella intermedia secondo l'insegnamento dello pseudo-Dionigi Areopagita che indica questa successione, dal basso: angeli, arcangeli, dominazioni / potestà, principati, virtù / troni, cherubini, serafini. I TESTI che concorsero alla formazione dell'idea stessa di gerarchia derivano da teologi e Padri della Chiesa tanto latini quanto greci, a cominciare da Girolamo che, seguendo Origene, riconduce la diversificazione fra gli angeli al loro merito individuale. Secondo Ilario, invece, la diversità dipende da come Dio attribuisce gli incarichi. Per Gregorio di Nissa, invece, la differenza sta nelle attività che svolgono. LA SCELTA di Guariento mostra già la volontà di recuperare una dimensione classica che si esplicita nella rappresentazione di un abbigliamento militare di tipo romano. Musei civici degli Eremitani, Padova.
Un coro angelico
Sulla scorta di questo pensiero nacquero una schiera di dipinti, miniature, affreschi e sculture che illustravano i nove cori della gerarchia angelica. Fra questi, uno degli esempi più belli è quello celebre di Ridolfo Guariento che, forse, aveva ideato le tavolette per la cappella dei Carraresi a Padova. Queste immagini hanno delle costanti che derivano dalle fonti testuali ricordate e che permettono, in parte, di riconoscere i vari cori angelici. I serafini, il coro più vicino a Dio, il cui nome significa "coloro che ardono", sono caratterizzati dal colore rosso e dalle sei ali. I cherubini, invece, hanno quattro ali cosparse di occhi e sono azzurri, ma in genere questi due cori sono confusi, come accade a Firenze e a Cefalù. I troni concludono la prima gerarchia e hanno in mano una mandorla azzurra. Poi vengono le dominazioni che pesano le anime e trafiggono il demonio, seguono le virtù, che operano miracoli e salvano i naufraghi e, a conclusione della seconda gerarchia, si trovano le potestà che tengono il demonio per la corda o con catene. I principati sono in armi, gli arcangeli hanno il loros, un abito imperiale in uso a Bisanzio, e gli angeli portano la dalmatica e il pallio con un rotolo in mano che è la missiva di Dio.
Fonte: I grandi temi della pittura Ed. De Agostini.
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Gli angeli nella pittura
Raffaello Sanzio, gli angioli, particolare della Madonna con il Bambino (Madonna Sistina) Gemaldegalerie, Dresda.
Diverse religioni hanno sentito la necessità di colmare la distanza tra Dio e gli uomini attraverso la creazione di figure intermedie. Soltanto tre confessioni, pero, hanno elaborato personaggi complessi come gli angeli, dotati di prerogative assai peculiari.
Ascensione del profeta trasportato in cielo dall’arcangelo Gabriele, dal manoscritto arabo miniato La fine fleur des Histoires par Lauqman, Museo di Arte Turca islamica, Istambul.
Quando sulle fredde pareti della catacomba di Priscilla a Roma, nel III secolo della nostra era, apparve la prima immagine di un angelo, questa figura aveva occupato la mente degli uomini per almeno mille anni, nel corso dei quali teologi, filosofi, artisti e gente comune avevano contribuito, con un enorme sforzo, ad attribuirle competenze, ambiti, personalità e aspetto, sulla spinta di un'esigenza che è comune a molte religioni. Il primo motivo per il quale si arriva a concepire figure angeliche è quello di soddisfare la necessità di collegare il dio Creatore alle sue creature. Gli angeli, come la gran parte delle figure intermedie presenti nelle diverse religioni, antiche e moderne, rispondono a questa esigenza: riempire una distanza altrimenti incolmabile fra l'uomo e Dio. Gli angeli, però, in quanto tali sono solo quegli esseri, intermedi per l'appunto, che compaiono nelle concezioni teologiche delle tre religioni del Libro: l'ebraica, che ne costituisce la prima evidenza, la cristiana, che ne sviluppa la riflessione, l'islamica, che alle due precedenti ha in buona sostanza attinto per quanto riguarda questo tema. Basterà solo ricordare che è l'arcangelo Gabriele che compare a Maometto per renderlo edotto sulla sua missione nel mondo (Sura, Il, 97-98 ). Tutte le altre figure, dalle apsaras (le ninfe celesti dell'induismo e del buddhismo), ai daimones della religione greca, non sono angeli perché non ne hanno né il ruolo né le competenze.
Ahura Mazda, rilievo dal Palazzo di Dario a Persepoli, Louvre, Parigi.
Gli angeli, infatti, non solo sono i protettori degli uomini e si assicurano che le loro preghiere giungano fino a Dio, ma badano al funzionamento del mondo, spostano le stelle e vegliano su tutti gli elementi dell'Universo, come pure sulle nazioni e sulle città dell'uomo; costituiscono l'esercito di Dio, fungono da Suoi messaggeri e intervengono in modo che la volontà del Creatore si riverberi sul creato e sulle creature, Le figure intermedie delle altre religioni, non assolvono tutte queste funzioni che, spesso, sono spezzettate fra categorie di divinità differenti. La complessa personalità angelica si è formata lentamente nel corso dei secoli. La credenza in esseri divini inferiori a Dio e a Lui legati, in ambito ebraico, era viva già prima che fosse scritta la Bibbia, ma il momento saliente nel quale si definì la funzione, la personalità e la figura dell'angelo, è quello posteriore all'esilio babilonese (586 a.C.).
Angelo nel mosaico con la Cacciata dal Paradiso, duomo di Monreale.
Nell'ambito delle religioni del Vicino Oriente Antico, quella che più delle altre pensò a presenze intermedie, fu proprio l'assiro-babilonese. Il credo di queste genti prevedeva una schiera di figure che congiungevano il mondo degli umani all'empireo degli dei. Le divinità più importanti del pantheon sumero prima e babilonese poi erano Ea, Enlil e An o Anu. Il primo era la divinità dell'acqua e, visto che per acqua s'intendeva anche quella lustrale che toglie gli incantesimi e guarisce le malattie, era anche il dio della saggezza e della magia, Enlil, invece, era il dio principale di questa triade Il suo aspetto veniva assimilato al monte (asse dell'Universo), oppure al bue selvatico (e sacro), Enlil era il "re dei paesi", ossia il sovrano di tutto e di tutti. An (sumerico) o Anu (babilonese), infine, era il dio del cielo, il cui nome, letteralmente, significava "alto".
Angelo, pittura su tela del IV secolo d.C. Età Copta, Louvre, Parigi
Nel passaggio da una civiltà all'altra, il suo ruolo mutò, da centrale presso i Sumeri, come divinità dominante, a dio secondario per gli Assiro-Babilonesi, An, da sua moglie, la dea Ki, la terra, naturale sposa del cielo, ebbe moltissimi figli (fra cui lo stesso Enlil), che svolgevano la funzione di sukkal, ossia di messaggeri. Per loro tramite, gli dei comunicavano con gli uomini, Nabu era un'altra divinità assiro-babilonese, una sorta di Mercurio, dio della scrittura e della sapienza, che aveva, però, la veste di araldo ufficiale e il suo nome significava, letteralmente, il messaggero, Nusku, invece, faceva da messo a Enlil, Papsukkal, a sua volta, era messaggero di Ea. Altre divinità avevano il compito di amministrare il creato e certi aspetti della vita dell'uomo, come la giustizia. In questi casi, si chiamavano "ministri", ossia sukkalmakh.
La Natività, particolare con l’angelo che annuncia ai pastori, monastero di Nostra Signora di Araka, Monti Troodos, Cipro.
Quando gli Ebrei vennero deportati a Babilonia da Nabucodonosor II (il Nabucco di Verdi) prima nel 597 a.C. e poi per il lungo periodo definito della "cattività babilonese", fra il 587 e il 538, rimasero abbagliati da quest'articolata teologia. Del resto, il rigido monoteismo ebraico contemplava soltanto la figura dell'angelo di Jahweh che a volte sostituiva Dio nel comunicare con gli uomini. Da questo momento in poi, la fede ebraica accettò la presenza di figure intermedie che servivano a intrattenere rapporti con gli uomini e ad amministrare il cosmo. Prova ne è che nella parola ebraica mal'ak, letteralmente "angelo", convivono entrambi i significati di sukkal, ossia messaggero e di sukkalmakh, vale a dire ministro. Non solo, ma nell'ambito della cultura assiro-babilonese, gli Ebrei trovarono modelli che adottarono con entusiasmo. In particolare, divinità tutelari minori come i lamassu e i karibu, i colossi dal corpo di toro, con le ali di aquila e la testa umana, che avevano il compito di proteggere le strade e le porte delle città, come Babilonia. Talora affiancati dai grifoni e dalle sfingi, ispirarono i kerubim, i nostri cherubini, i quali, in origine, nulla avevano a che vedere con i morbidi puttini alati che siamo abituati a veder svolazzare nelle Natività o nelle Assunzioni. Sono questi i numi tutelari che Jahweh fece porre a protezione dell'Arca dell'Alleanza (Esodo, XXV, 19) e che collocò a suggello dell'Eden, dopo la cacciata dal Paradiso terrestre (Genesi, 111, 23-24) di Adamo ed Eva.
Un putto, affresco proveniente da Pompei.
La creazione intellettuale e di fede complessa come quella dell'angelo non fu tuttavia il frutto della contaminazione con una sola cultura. Nella figura angelica confluirono, per esempio, le esperienze della religiosità persiana antica che venerava Ahura Mazda, il Signore dell'Universo, e altre divinità minori, gli Amesha Spenta, elementi di congiunzione fra spirito e creato. Alla religiosità mazdaica, però, si deve anche l'idea d'angelo custode che, presso i Persiani, si chiamava Fravashi, l'anima dei morti. Gli Egizi, invece, cedettero alla figura del cherubino veduto da Ezechiele (I, 1-27) con le ali cosparse di occhi, tipiche di una divinità minore.
La dea Nut, Iside e Nefti, Museo Nazionale Egizio, Il Cairo.
I Greci e i Romani, poi, contribuirono con la figura del daimon, nume tutelare degli uomini che li accompagna nel corso della vita. Infine, bisogna ricordare, scendendo nel tempo, il pensiero, talora aberrante, della Gnosi e quello classificatorio dell'ebraismo tardo e la tradizione rabbinica la quale sottolinea, tra l'altro, come gli unici nomi angelici della Bibbia compaiano nei libri scritti dopo l'esilio babilonese. Infatti, è il profeta Daniele (VIII, 16; IX, 21) che cita tanto Gabriele quanto Michele (10, 13 e 21), mentre Raffaele è il protagonista del Libro di Tobia (111, 16, ecc.). Ora, quando apparve la prima immagine d'angelo, tutto questo era in buona parte già stato pensato e scritto. La figura dell'angelo che ne usciva era notevolmente complessa.
Gli angeli dell’Arca dell’Alleanza, mosaico absidale, chiesa di Germigny-des-Prés.
Così, quando gli artisti paleocristiani crearono un'immagine, si accontentarono della resa letterale del testo biblico nel quale, il più delle volte, l'angelo è descritto soltanto come "un uomo" e come tale lo rappresentarono: senza ali e, talvolta, come nel caso della catacomba di via Latina, addirittura con la barba.
Fonte: I grandi temi della pittura ed. De Agostini
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