Tra le rocce fioriscono minuscole piante nane.
Io me ne sto disteso e getto uno sguardo nel
cielo serotino che da alcune ore si va lentamente
coprendo di piccole, silenziose nuvolette disordinate.
Lassù devono spirare venti dei quali non si ha qui
che un sentore. Essi intessono come fili i filamenti di nuvole.
Come l’evaporare e poi di nuovo il precipitare dell’acqua
sulla terra avviene secondo un certo ritmo, come le
stagioni e i flussi e i riflussi del mare hanno i loro tempi
determinati e la loro successione, così anche nel nostro
intimo tutto procede secondo una legge e per ritmi.
Nella mia vita anche l’onda oscura che io pavento
sopravviene con una certa regolarità. Di tanto in
tanto si solleva nella mia anima, senza motivi apparenti,
l’onda scura. Una nuvola corre sul mondo, come una
cortina nuvolosa. La gioia suona artificiale, la musica
insulsa. Malinconia predomina. Come un’aggressione
giunge questa malinconia, di tempo in tempo, non so
in quali intervalli, e addensa lentamente di nuvole il
mio cielo. Inizia con inquietudine nel cuore, con
presentimento di angoscia, probabilmente con sogni
notturni. Persone, case, colori, suoni, che normalmente
mi piacciono, divengono equivoci e suonano falsi.
Musica produce mal di testa. Tutte le lettere hanno
orde dissonanti e contengono appuntiti risvolti.
In queste ore essere costretto a parlare con le persone
è tormento e conduce inevitabilmente a scenate.
Queste sono le ore a causa delle quali non si posseggono
armi, le ore nelle quali se ne sente la mancanza.
Collera, dolore, risentimento si rivolgono contro tutto,
contro uomini, contro animali, contro il tempo,
contro la carta del libro che si sta leggendo,
e contro la stoffa dell’abito che si indossa.
Ma collera, impazienza, risentimento non hanno
effetto sulle cose, esse tornano indietro in me stesso.
Sono io quello che merita l’odio. Sono io quello che
porta nel mondo dissonanza e deformità.
Oggi mi acquieto dopo uno di questi giorni.
So che ora posso attendermi un po’ di tranquillità.
So com’è bello il mondo, so che esso è per me,
in certe ore, infinitamente più bello che per chiunque altro,
che i colori risuonano più soavi, più esultante si diffonde l’aria,
più tenera ondeggia la luce. Ed io so che questo devo
pagarlo con i giorni nei quali la vita mi è insopportabile.
Vi sono buoni rimedi contro la malinconia: canto, devozione,
fare musica, fare poesie, vagare senza meta. Io vivo di
questi rimedi come l’eremita vive del breviario.
Talvolta mi sembra che il guscio si sia assottigliato e che le mie
ore buone siano troppo rare e troppo poco buone per compensare
le ore infauste. Talvolta al contrario penso di aver fatto progressi,
che le ore buone siano cresciute e le cattive diminuite.
Ciò che non desidero mai, neanche nelle ore peggiori,
è uno stadio intermedio tra bene e male, una sorta di insipida,
sopportabile medianità. No, meglio ancora una esasperazione
della curva – meglio un tormento ancor più crudele, ed in cambio
gli attimi beati ricchi di un pizzico di splendore in più!
Mi abbandona, estinguendosi la svogliatezza, vivere è di nuovo
piacevole, è di nuovo bello il cielo, vagare di nuovo colmo di
significato. In tali giorni del ritorno provo qualcosa di simile
ad una convalescenza: stanchezza senza vero dolore,
rassegnazione senza amarezza, gratitudine senza disprezzo di sé.
Lentamente la curva della vita comincia a risalire.
Si sussurra di nuovo il verso di un canto. Si coglie di nuovo un fiore.
Si gioca di nuovo con il bastone da passeggio. Si vive ancora.
Si è di nuovo superato. Si supererà ancora altre volte, e forse mille altre volte.
Mi sarebbe del tutto impossibile dire se questo cielo nuvoloso, filamentoso,
silenziosamente agitato nell’intimo, si rispecchi nella mia anima, o viceversa
se io leggo in questo cielo soltanto l’immagine del mio spirito.
Talvolta tutto diviene così assolutamente incerto!
Vi sono dei giorni nei quali sono convinto che nessun uomo
sulla terra sappia osservare certe atmosfere di aria e nuvole,
certe risonanze di colori, certi profumi e gradazioni di umidità
in maniera così sottile, così precisa e fedele come so fare io con
i miei vecchi, nervosi sensi di poeta e viandante. E poi di nuovo,
come oggi,può divenirmi problematico il fatto che abbia veramente visto,
udito, odorato qualcosa e se invece tutto ciò che credo di percepire altro
non sia se non l’immagine della mia vita interiore proiettata fuori di me.
H. Hesse
Linda