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S T O R I A: ALEX KURZEM - IL BIMBO EBREO CHE DIVENNE LA MASCOTTE DEI NAZISTI
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Respuesta  Mensaje 1 de 1 en el tema 
De: Tony Kospan  (Mensaje original) Enviado: 07/04/2011 10:15

 

 

 

 

ALEX KURZEM

IL BIMBO EBREO CHE DIVENNE LA  MASCOTTE DEI NAZISTI

QUANDO LA STORIA SUPERA LA FANTASIA

 

 

 
Questa è la storia di un bambino bielorusso che, scampato alla strage della sua famiglia…, da parte dei nazisti, catturato e condannato alla fucilazione…  un attimo prima della fine fu risparmiato… e divenne la loro mascotte.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Quest’incredibile e documentata storia è assolutamente vera…. e da essa…, dalla rivelazione del bambino diventato ormai anziano al figlio…, è nato un libro divenuto best seller in tutto il mondo…, con il titolo IL BAMBINO SENZA NOME.
 
Ma andamo con ordine… ecco la storia…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
LA STORIA
 
 
 
Siamo in Bielorussia nel mezzo della seconda guerra mondiale…
 
Tutto inizia la sera in cui sua madre dice, “Domani saremo tutti morti”.
Ma lui – come si chiamava allora? non lo sa, non lo ricorda proprio – si era alzato ed era uscito di casa nella notte, era salito sulla collina e da lì, la mattina seguente, aveva visto.
Uno spettacolo di orrore per chiunque, immaginarsi per un bambino di – forse – cinque anni.
Aveva solo capito che doveva fuggire e nascondersi.
Nella foresta, dormendo sugli alberi di notte. Ma dopo aver vagato per nove mesi da solo nei boschi, tra la neve e i lupi, viene catturato da un’unità lettone filonazista.
 
Viene allora portato davanti al plotone di esecuzione e lì, le spalle contro il muro della scuola, ha rivolto al sottoufficiale che stava per premere il grilletto una strana, perfetta domanda da bambino:
"Puoi darmi un pezzo di pane, prima di spararmi?".
E’ stata quella strana domanda a salvargli la vita.
 
Le SS decidono allopra di prendere quel bambino dai capelli biondissimi e dagli occhi cerulei come loro mascotte, per farne un modello di soldato bambino da utilizzare per la propaganda.
 
 
 
 
 
 

 

 

 
Da questo momento incomincia la vita ‘costruita’ su misura per lui, proprio come le divise – fatte della sua taglia – che gli fanno indossare per trasformarlo nella mascotte dei soldati.
 
 
 

 

 

 

 

Gli vengono dati un nome, Uldis Kurzemnieks, e una data di nascita; gli si dice che è russo; gli si insegna a ripetere la storia (alterata) del suo ritrovamento; viene perfino modificata la data in cui fu salvato. 
 
 
 
 

                 

 
 
 
Nel 1995 Alex Kurzem ha sessant’anni (almeno, pensa di avere sessant’anni, perché gli è stata attribuita una data di nascita, proprio come gli è stato attribuito un nome) e ha sempre taciuto sul suo passato avvolto dalla nebbia dei ricordi imprecisi e della volontà di rimozione.
 
 
 
 

 
 
 
 
Ora, all’improvviso, lascia Melbourne inventando una scusa per la moglie e appare sulla porta di casa del figlio Mark, a Oxford. Stringendo tra le mani la valigetta che Mark e i suoi fratelli gli hanno sempre visto custodire gelosamente, senza che nessuno di loro potesse mai sbirciarci dentro.
 
 
 
 

 

 

Ora vuole ricordare Alex, ritrovare le sue radici, la sua famiglia, il suo passato, vuole sapere tutto, anche il suo nome, perché quello con cui è cresciuto, si è sposato, ha generato tre figli, Alex Kurzem, non è che il nome falso che gli diedero su un foglio di via.

 

 

 
 
 
 
 
I L     L I B R O
 
 
 
 

 

I CONTENUTI

 

 Mark ha da poco iniziato la sua vita da ricercatore a Oxford quando suo padre Alex bussa alla sua porta con un angoscioso segreto da confessare. I brandelli di quel segreto sono rinchiusi in una logora valigia che custodisce i ricordi evanescenti e ossessionanti che per quasi settant’anni suo padre ha cercato di seppellire nell’oblio. Tocca a Mark ora aiutare suo padre a ricostruire la sua storia, l’epopea di un bambino bielorusso ebreo di cinque anni che è scampato avventurosamente allo sterminio della sua famiglia e del suo villaggio.

 

 

 

UNA RECENSIONE
 
 
Non si esce indenni dalla lettura di questo libro. Perché non solo vi ritroviamo le descrizioni delle carneficine compiute dai nazisti, ma a questi crimini se ne aggiungono altri, che non grondano sangue ma che sono più sottilmente crudeli. Che non annientano la vita ma la manipolano, che non distruggono ma rubano l’identità di un individuo, privando della sua eredità culturale lui e i suoi figli e i figli dei figli. Non possiamo non essere pervasi pure noi dall’angoscia duplice dell’uomo che si domanda chi sia (o chi fosse prima di diventare quello che è ora) e se debba giudicarsi colpevole per quello che ha fatto, che gli hanno fatto fare, che non sa se ha fatto. Un bambino di sei, sette, otto anni, distingue tra bene e male? E, se un bambino è (lo diceva Rousseau) per sua natura buono e innocente, quanto maggiormente colpevole è chi lo mette sulla strada del male? Avrebbe dovuto, lui, avrebbe potuto sottrarsi, fare qualcosa di diverso da quello che ha fatto?
 
 
 
 
 
 

 

 

 

Web – Liberamente adattato ed impaginato da T. K.

Ciao da Tony Kospan

 

 

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