Mariannina Coffa nacque a Noto la mattina del 30 settembre 1841 dall’avvocato Salvatore Coffa, un liberale impegnato nelle vicende politiche del Regno di Napoli, e da Celestina Caruso. Dopo aver ricevuto una prima istruzione a Noto, nel 1851 passò al collegio "Peratoner" di Siracusa, dove già compose le prime poesie d’occasione. Considerata un precoce talento poetico, fu affidata al canonico Corrado Sbano, che nel limitato ambiente culturale della cittadina passava per essere un’autorità nel campo delle lettere e un facile verseggiatore. Naturalmente don Sbano le consigliava letture cattoliche e sorvegliava che i temi delle sue poesie rifuggissero da quelli tipici degli «autori esagerati e intemperanti», così da essere poi accusato di aver corrotto e soffocato le naturali tendenze della giovanissima artista, portata a un’effusione sentimentale di matrice schiettamente tardo-romantica, e di averla nutrita di una disordinata miscela di autori classici disparati, senza che questa si fondesse in unità nello spirito della giovane. I successi poetici della bambina si espressero nelle improvvisazioni tanto apprezzate nella arcadica «Accademia dei Trasformati» di Noto, cui fece parte dal 1857 con il nome di Inspirata - e fece parte dall 1858 anche dell’«Accademia Dafnica» e di quella degli «Zelanti» di Catania - pubblicando nel 1855 la raccolta Poesie in differenti metri, e successivamente i Nuovi canti nel 1859. A completare la sua educazione artistica la famiglia le fece impartire dal 1855 lezioni di pianoforte dal giovane Ascenso Mauceri (1830-1893), del quale finì per innamorarsi fino a progettare il matrimonio, con l’iniziale assenso della famiglia che tuttavia cambiò idea, obbligandola a sposare, l’8 aprile 1860, il ricco proprietario terriero ragusano Giorgio Morana. Trasferitasi con il marito a Ragusa nella casa del suocero, iniziò una vita fatta di gravidanze annuali - ma due dei quattro figli morirono ancora infanti - e di difficoltà di scrivere a causa dell’ostilità dei parenti a un’attività che essi ritenevano riprovevole, addirittura strumento di perdizione. Scarsa consolazione le venne dalla corrispondenza con l’ex-fidanzato, che le rimproverava di aver subito il matrimonio, al quale descriveva la miseria della sua esistenza: «Se sapeste quanto soffro allorché mi è necessario prendere la penna! Gli occhi severi e maligni di mio suocero mi seguono come per fulminarmi Egli, il mio onorando suocero, non fece apprendere alle sue figlie il leggere e lo scrivere, appunto perché non fossero disoneste o cattive donne di casa». Per i fibromi all'utero di cui soffriva, conobbe il medico omeopata catanese Giuseppe Migneco, cultore del magnetismo animale, della teosofia e massone come il suo allievo di Noto Lucio Bonfanti, cha la introdusse nella Loggia Elorina: si trovano, nelle poesie di questo periodo, riferimenti ai suoi nuovi credi misteriosofici. Lasciata la casa del marito, si trasferì a Noto per seguire le cure del medico Bonfanti: fu questi a ospitarla dopo che i genitori la cacciarono dalla loro casa, scandalizzati dal suo comportamento. Nelle sue ultime lettere la Coffa espresse tutta la sua violenta esasperazione nei confronti di quanti, genitori, marito e parenti, imponendole la loro volontà e impedendole la libera manifestazione della sua personalità, le avevano rovinato la vita.