LA MAGIA DEL LUCCIO
UNA DOLCE FAVOLA RUSSA…
In una sperduta isba della steppa russa viveva un’abbastanza numerosa famiglia: il vecchio padre, due figli sposati con le relative spose, un terzo figlio, scapolo.
Tanto erano intelligenti i due figli maggiori, quanto sciocco e fannullone il terzo.
Infatti se ne stava tutto il giorno seduto in cima alla grande stufa di terracotta, occupato a sgranocchiar nocciole. Faceva spallucce se gli chiedevano aiuto per qualche lavoro in casa o fuori.
- Va’ a prendere acqua al fiume – gli ordinarono un giorno le cognate, seccate di dover sempre far tutto loro. – I tuoi fratelli sono andati al mercato a far compere, chissà che non abbiano qualche regalino per te se ti comporti bene.
Emelja – questo il nome del pigro ragazzo – scese a malincuore dalla stufa e andò al fiume. Non faceva molto freddo, ma l’acqua era già ghiacciata.
Emelja praticò una buca nel ghiaccio ed ecco affacciarsi all’apertura un bel luccio, grosso pesce voracissimo. Svelto, come non mai, il giovane l’afferrò, pensando alla buona zuppa di pesce che le cognate avrebbero preparato.
Ma il luccio parlò con voce umana:
- Ti prego, lasciami andare, in compenso esaudirò qualche tuo desiderio.
- Temo che tu abbia a ingannarmi – rispose Emelja. – Dammi una prova del tuo potere. Ora riempio i miei secchi di acqua, fammi vedere se gli stessi vanno a casa da soli..
. D’accordo, riempi i secchi e poi ripeti con me: "Per volontà del luccio e per mio desiderio andate a casa a portare l’acqua".
Emelja non aveva finito di pronunciare queste parole che già i due secchi si erano avviati.
L’indomani, visto che Emelja pareva ben disposto, le donne lo pregarono di andar nel bosco a spaccare legna.
Il giovane non fece una piega, si limitò a comandare: "Accetta, per volontà del luccio e per mio desiderio, và nel bosco e spacca legna".
L’accetta sgusciò di sotto la panca, prese la porta e si avviò. Non passò molto tempo e la legna arrivò in casa da sola, qualche pezzo saltò addiritturta nella stufa.
Qualche tempo dopo le cognate dissero che sarebbe stata buona cosa preparare in casa una buona scorta di legna. Presto sarebbe arrivato il grande freddo ed era meglio esser previdenti.
Emelja si accomodò sulla slitta senza bisogno di cavalli, per volere del luccio e suo, lanciò la slitta a corsa pazza nel bosco, attraversò il paese mandando a gambe levate gli incauti passanti che non si scansavano in tempo.
Nel bosco l’accetta lavorò a tagliare dagli alberi i rami secchi, che, da soli, si radunavano sulla slitta, già raccolti in fascine.
Quando la slitta fu carica, Emelja ordinò all’accetta di tagliargli un bel bastone.
Sulla via del ritorno, Emelja era atteso dai compaesani inferociti, desiderosi di punirlo per quei ruzzoloni indesiderati. Ma purtroppo il bastone attaccò una danza selvaggia sui gropponi dei malcapitati.
La notizia di tante prodezze arrivò alla reggia.
Lo zar ordinò a un ufficiale delle Guardie di andare a prendere Emelja e di portarglielo dinanzi. Ma il giovane rifiutò di recarsi a corte, disse che stava meglio a casa sua, seduto al calduccio della stufa.
Lo zar mandò allora un cortigiano. Questo, esperto uomo di mondo, si presentò a casa di Emelja con un vassoio di dolci: parlò prima con le cognate e poi col giovane:
- Il nostro sovrano vuole donarti un abito rosso, un cappello e un paio di stivali.
Allora Emelja ordinò alla stufa di recarsi alla reggia.
Per poco lo zar non svenne quando lo strano veicolo entrò nella sala del trono. In quel momento s’affacciò alla porta la figlia dello zar ed Emelja, folgorato dalla bellezza della fanciulla – cadde in ginocchio dinanzi a lei. Giurò a se stesso che l’avrebbe sposata.
Ma la principessa gli voltò le spalle senza degnarlo di un saluto.
Emelja ricorse al potere del suo amico luccio: desiderò che la bella principessa si innamorasse di lui. Cosa che puntualmente avvenne: la giovane si sentò ardere d’amore per Emelja e chiese al padre il permesso di sposarlo.
Mai più lo zar avrebbe acconsentito! Aver per genero uno zoticone simile!
Ordinò al suo astuto cortigiano:
- Riportami qui vivo o morto quel fannullone, lo farò sparire.
Il cortigiano si recò alla casa di Emelja portando in dono un orcio di vino dolce e tanto ne fece bere al giovane che alla fine quello cadde in un sonno profondo, così poté farlo portare alla reggia dalle sue guardie.
Alla reggia era già stata preparata una grande botte ed Emelja vi fu chiuso dentro, solo che la principessa, venuta per caso a conoscenza del progetto paterno, volle condividere la sorte riservata al giovane di cui era innamorata. Entrò anche lei nella botte, senza che alcuno se ne accorgesse. A notte fonda la botte venne sigillata e gettata in mare.
Quando Emelja si svegliò, la principessa gli spiegò ciò che era avvenuto.
E allora bastarono le poche arcinote parole magiche perché la botte approdasse a riva.
Ma quel tratto di spiaggia era deserto:
- Dove abiteremo, Emelja? Costruisci almeno una capanna.
Emelja borbottò le solite parole e non una capanna apparve, bensì un bellissimo palazzo.
- Ora non hai proprio più niente da chiedere al tuo luccio – sorrise la principessa. – Cioè, sì, un’ultima cosa: un’oncia di bellezza e due di intelligenza, per te, amore mio.
E così fu che Emelja divenne un bel giovane e quel che più conta intelligente.
Qualche tempo dopo lo zar, inconsolabile per la misteriosa sparizione di sua figlia, andando a caccia, passò da quelle parti e si meravigliò nel vedere il palazzo mai esistito prima.
Emelja lo accolse con grande signorilità.
- Ma chi siete, bel giovane? – domandò lo zar, incuriosito.
- Sono Emelja, non ricordate, Maestà?
In quel momento comparve la principessa:
- Padre mio! – e i due furono l’uno nelle braccia dell’altra.
Le nozze furono celebrate qualche giorno dopo con grande solennità.
dal web – impaginazione dell’Orso
CIAO DA TONY KOSPAN
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