IL BAMBINO E LA MONTAGNA
In cima al mondo, nel paese di Nonsidice, c'era una valle in cui, anche in piena estate, la gente non riusciva a scaldarsi. Era una bella valle, fertile e verde, ma su di essa incombeva una perenne ombra, l'ombra di una grande montagna. Era una montagna così alta e massiccia che non lasciava passare né luce né calore.
Gli abitanti della valle si erano abituati, naturalmente, a vivere sempre all'ombra e al freddo; ma avrebbero voluto anche loro, almeno di tanto in tanto, sentire il tepore dell'estate.
Guardavano con invidia la vetta della montagna, alta come le nuvole, dove il sole giocava con le rocce e i nevai.
Qualcuno sognava di andare fin lassù, ma poi nessuno osava avvicinarsi alle aspre balze della montagna, dove di notte, fra le rocce, si sentivano strani rumori.
Attendevano pazientemente che il vento e il tempo consumassero la montagna, così avrebbe potuto passare il sole per riscaldare la valle.
«Devo almeno tentare»
E poi, un bel giorno, in quel paese nacque un bambino. Non era né più forte, né più grande e neanche più intelligente degli altri bambini. Non aveva insomma niente di speciale. Soltanto, crescendo, cominciò a pensare che non aveva nessuna voglia di stare ad aspettare il bel tempo, un po' di luce e di calore, per tutta la vita: «E che importa se ho paura. Tenterò di salire lassù».
Quando la gente della valle seppe che il bambino voleva salire sulla grande montagna, tentò in tutti i modi di dissuaderlo.
«E una parete troppo ripida e liscia, cadrai dopo pochi metri e ti sfracellerai su quelle rocce appuntite là in basso», diceva uno.
«Nelle caverne della montagna abitano bestie mostruose, non senti come ruggiscono?» aggiungeva un altro.
«Mai nessuno è salito sulla montagna», strillava una vecchietta, «chi credi di essere tu?».
«Devo almeno tentare», rispose il bambino. Si preparò uno zainetto con diverse merendine, impugnò un robusto bastone e partì.
All'inizio procedeva lentamente, scegliendo con molta attenzione gli appigli. Si accorse che, vista dal basso, la parete della montagna sembrava veramente liscia e scivolosa, e pareva davvero impossibile che qualcuno potesse riuscire a scalarla. Ma più si avvicinava, più scopriva fenditure, corridoi di roccia, nevai abbastanza agevoli.
Saliva e saliva.
Vide un baldanzoso torrente che si infilava rombando fra le rocce e capi che era quello il rumore che faceva tanta paura alla gente della valle. Si mise a ridere ricordando tutte le notti passate con la testa sotto il cuscino per paura del «ruggito» della montagna.
Ora, non aveva più alcuna paura. Si arrampicava, lento, ma inesorabile. Si scoraggiava qualche volta quando, da lontano, osservava quelle pareti di granito che salivano a picco, quasi verticali, così lisce. Ma quando le guardava da vicino, scopriva sempre un appiglio a cui attaccarsi, una screpolatura dove mettere i piedi. Una mano dopo l'altra, un piede dopo l'altro, il bambino ricominciava e saliva.
«Venite, si può!»
Finalmente raggiunse la vetta. Lassù senti il tepore dei raggi del sole. Trovò che era una cosa semplicemente formidabile. Allora guardò in basso e vide gli abitanti della valle piccoli piccoli. Il bambino cominciò a gridare: «Venite, venite! Vedete bene che si può salire!».
Alcuni, che avevano seguito con il fiato sospeso l'ascensione del bambino, lasciarono immediatamente la valle e cominciarono ad arrampicarsi. Altri si misero a preparare i bagagli per partire. Ma siccome volevano portare con sé tutte le cose più care, non riuscivano mai a decidersi: tutti i momenti tornavano indietro per vedere se avevano dimenticato qualcosa. Molti non avevano la minima intenzione di muoversi: preferirono tornare a sedersi ad attendere che la vecchia montagna si consumasse per lasciar passare il bel tempo.
Ma da quel giorno, ogni volta che qualcuno arriva in vetta alla montagna, si mette a gridare e, di balza in balza, l'eco della grande montagna ripete: «Venite, venite! Vedete bene che si può salire!».