«Ho una pietrona sul cuore»
E Margherita?
Margherita andava a scuola, faceva i compiti e guardava la televisione. Tutto come prima, apparentemente. Eppure la bambina sentiva come un gran peso «dentro». «Ho una pietrona sul cuore», confidò a Battista, il vecchio giardiniere che le aveva chiesto perché non correva più sui prati.
Un pomeriggio, all'ora di merenda, Margherita era in cucina con Tata Nena. Mentre abbordava una fetta di pane, abbondantemente spalmata di Nutella, disse improvvisamente: «Ti ricordi, Tata, quando Alessandro scambiò il vasetto di Nutella con il lucido da scarpe e i cani leccavano le scarpe a tutti?».
«Oh, si!», disse Tata Nena e scoppiò a ridere. «Che briccone era Alessandro!».
Si portò improvvisamente le mani alla bocca.
«Zitta, Margherita! Se ci sente tuo padre...».
«Per piacere, Tata», la supplicò Margherita, «parliamo un po' di Alessandro... Altrimenti scoppio».
Si misero in un angolo della cucina e parlarono e parlarono. Un po' piangevano, un po' ridevano: Alessandro era stato proprio un ragazzo fantastico. Quella sera, Margherita non sentì più la pietrona sul cuore. Aveva di nuovo voglia di «frizzare» e le sembrava di sentire Alessandro che rideva con lei.
Il giorno dopo, Margherita parlò di Alessandro con il vecchio Battista: «Ti ricordi quando Alessandro finì nella buca del concime?».
Poi con i pescatori della costa: «Vi ricordate quando Alessandro scappava di notte per venire a pescare con voi?».
Un vecchio pescatore con il viso rugoso brunito dal sole e dalla salsedine si asciugò furtivamente una lacrima.
Ogni volta che parlava di Alessandro, Margherita si sentiva più felice. Non era più una pietra pesante quella che aveva dentro, ma qualcosa di prezioso, una specie di sorgente fresca e scintillante. Anzi, pensando all'allegria e a tanti gesti generosi di Alessandro, le veniva voglia di imitarlo, di essere un po' com'era lui.
Ma non succedeva niente nell'isola senza che il commendator Carloni lo venisse a sapere.
Così, una sera, il suo vocione tuonò dall'atrio del palazzo: «Margherita, subito nel mio studio!».
Tirava aria di tempesta. Tata Nena era in cucina che piangeva e si asciugava gli occhi con una cocca del grembiule: il commendatore l'aveva appena licenziata.
Margherita entrò nello studio del padre, pallida pallida e con le gambe che tremavano.
«Hai disubbidito ai miei ordini e sarai severamente castigata. Verrai rinchiusa in cantina da questa sera! Tutti devono imparare che voglio essere ubbidito sempre! Soprattutto da mia figlia!».
Due enormi lacrimoni scivolarono sulle guance di Margherita.
«Papà, dovevo parlare di Alessandro», disse sottovoce, «per sciogliere la pietrona...».
«Quale pietrona?».
«Quella che avevo sul cuore... Allora mi sono ricordata di Alessandro che fischiettava quando aveva paura e ho fischiettato anch'io... e mi sono sentita meglio. E ogni volta che ricordavo Alessandro, lo sentivo più vicino... come se mi tenesse ancora per mano».
«Sciocchezze!».
«No, è vero! Ricordi che Alessandro diceva che questa era la tana di Yoghi, e quando arrivavi tu, gridava forte: "Arriva Yoghi!", e poi scappava a nascondersi e a cena inventava sempre un trucco nuovo per non mangiare la minestra?... E così bello ricordare, papà. Alessandro è vivo, se lo ricordiamo».
Margherita non aveva mai fatto un discorso così lungo a suo padre e quando tacque, il cuore le batteva il tam-tam in gola. Ma... il miracolo accadde: per la prima volta nella vita, gli occhi del commendator Carloni si riempirono di lacrime.
«Il ricordo...», disse piano piano, «io avevo paura del ricordo. Invece è una cosa bella... E grande... E unica... E rende presente chi non c'è più... E ci possiamo voler bene come prima».
Accarezzò la figlia e con la voce incrinata disse: «Grazie, Margherita