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De: MOTHERSIXTEN (Mensaje original) |
Enviado: 24/11/2011 16:24 |
Il SENTIERO Ecco il sentiero che, dopo aver attraversato il bosco e superato il prato, è giunto sino alla riva del fiume, per interrompersi vicino quell'albero di bot che ombreggia il traghetto in rovina. Al di là del fiume ricomincia tortuoso verso un villaggio, costeggiando campi di lino, e lo stagno coperto da fiori di loto. Molte persone ho incontrato lungo questo sentiero! Alcune mi hanno accompagnato, altre preceduto, altre le ho solo vedute da lontano. Con la sera è calato il buio. Un tempo pensavo che questo sentiero fosse a mia disposizione per sempre, ed ora mi accorgo che mi è concesso percorrerlo una sola volta. Dopo aver attraversato il giardino dei limoni, la riva dello stagno, il traghetto, la piccola isola del fiume, la capanna del venditore del latte, non posso più tornare indietro non posso illudermi di far ritorno in quella casa dove pensieri, parole e visi mi sono noti.
Il sentiero che percorro mi porta in avanti e ritornare sui propri passi è impossibile: quando oggi alla fine del giorno mi sono voltato per guardare il tratto che avevo percorso, mi è parso segnato da impronte perse nella polvere e dal canto del distacco dei viandanti-musicisti che da sempre lo percorrono. Quell'intrico di tracce da oriente a occidente procede verso l'infinito... Curvo sulla polvere del sentiero per ascoltare le infinite storie lì imprigionate da tempo immemorabile, non sento nulla: il sentiero rimane silenzioso nelle ombre della sera. E anche se chiedo dove sono mai i tormenti e i desideri dei viandanti che passarono, il sentiero rimane silenzioso: solo lo vedo serpeggiare da oriente a occidente. E anche se domando dove si diressero i passi degli sconosciuti che lo percorsero, il sentiero resta muto: forse non conosce neppure la sua fine, e non sa dove si sono persi i fiori che caddero, i canti che morirono nè dove, al di là delle strade, si celebra perennemente la festa del dolore incessante. Rabindranath Tagore "LIPIKA" Biglietti dall'India |
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Davvero un bellissimo brano...
Grazie Annamaria... |
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Un uomo aveva sempre il cielo dell'anima coperto di nere nubi. Era incapace di credere alla bontà. Soprattutto non credeva alla bontà e all'amore di Dio. Un giorno mentre errava sulle colline che attorniavano il suo villaggio, sempre tormentato dai suoi scuri dubbi, incontrò un pastore. Il pastore era un brav'uomo dagli occhi limpidi. Si accorse che lo sconosciuto aveva l'aria particolarmente disperata e gli chiese: "Che cosa ti turba tanto, amico?". "Mi sento immensamente solo". "Anch'io sono solo, eppure non sono triste". "Forse perché Dio ti fa compagnia..." "Hai indovinato". "Io invece non ho la compagnia di Dio. Non riesco a credere al suo amore. Com'è possibile che ami gli uomini uno per uno? Com'è possibile che ami me?". "Vedi laggiù quel villaggio?", gli chiese il pastore, "Vedi le finestre di ogni casa?". "Vedo tutto questo". "Allora non devi disperare. Il sole è uno solo, ma ogni finestra della città, anche la più piccola e la più nascosta, ogni giorno viene baciata dal sole, nell'arco della giornata. Forse tu disperi perché tieni chiusa la tua finestra".
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Stralci dal romanzo di Alphonse de Lamartine, Graziella.....racconto di uno struggente amore giovanile dell'autore,
durante un soggiorno a Procida.
L'uomo ha un bel guardare ed abbracciare lo spazio; la natura intera non si compone per lui che di due o tre punti sensibili, ai quali tutta la sua anima converge. Togliete dalla vita il cuore che vi ama: che cosa vi resta? Ugualmente avviene della natura. Cancellate il luogo e la casa che i vostri pensieri cercano e che i vostri ricordi popolano, non scorgereste più che un vuoto immenso in cui lo sguardo s'immerge senza trovar né fondo né riposo. Come si può stupire, dopo ciò, che le scene più sublimi della creazione siano contemplate con occhi ben diversi dai viaggiatori? Gli è che ciascuno porta con sé il suo punto di vista. Una nube sull'anima vela e scolora più di una nube sull'orizzonte. Lo spettacolo è nello spettatore. Io lo provai. (p. 111-112) Un giorno dell'anno 1830, entrando di sera in una chiesa di Parigi, vidi la bara d'una giovinetta, coperta da una coltre bianca. Questa bara mi ricordò Graziella. Mi nascosi all'ombra di un pilastro e pensai a Procida, piangendo a lungo. Le mie lagrime si asciugarono, ma le nubi che avevano attraversato il mio pensiero durante la tristezza del funerale non dileguarono. Rientrai silenzioso nella mia camera, svolsi i ricordi che sono tracciati in questo libro e scrissi tutto d'un fiato, piangendo, i versi intitolati: Primo rimpianto. È la nota, resa fievole da vent'anni di distanza, d'un sentimento che fece zampillare la prima sorgente del mio cuore. Ma vi si sente ancora la lacerazione d'una fibra intima che non guarirà mai. Ecco queste strofe, balsamo d'una ferita, sboccio di un cuore, profumo di un fiore sepolcrale: Non vi manca che il nome di Graziella. Ve lo incastonerei in una strofa, se vi fosse quaggiù un cristallo abbastanza puro per rinchiudere questa lagrima, questo ricordo, questo nome! (p. 151)
Sulla spiaggia sonora ove il mar di Sorrento spiega le azzurre sue acque ai pie' degli aranceti, posa, lungo il sentiero, sotto la siepe odorosa, una piccola pietra, indifferente ai piedi distratti dello straniero.
I cespi di viola vi nascondono un nome che nessuna eco ha mai ripetuto! Eppur talvolta il passante, arrestandosi, vi legge tra le erbe una data e un'età, e sentendosi salire una lagrima agli occhi dice: «Aveva sedici anni! Troppo presto per morire!»
Ma perché lasciarmi sedurre da visioni lontane? Che il vento gema e mormori il flutto; indietro, indietro, o miei tristi pensieri! Io voglio sognare e non piangere!
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Amico, gli dissi quella sera, lei mi consiglia di aspettare tutto da Dio, ma se mi aspetto tutto da lui, che cosa mi rimane da fare? Ti rimane tutto da fare, disse. Cerca di capirmi: l'artista più grande non può suonare su delle corde rotte, il soffio del vento resta impotente di fronte alla barca che non ha albero, che ha vele ripiegate, il più puro dei ghiacciai non potrebbe generare un fiume magnifico se nel fondo del suo letto è disteso il sudiciume... e Dio-Amore non può nulla se l'uomo libero non si presenta ritto in piedi, artigiano laborioso della propria vita e operaio del mondo insieme ai tuoi fratelli. (M. Quoist)
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" Solo l'Amore " " In quella notte all'improvviso mi ero accorta di una cosa, e cioè che tra la nostra anima e il nostro corpo ci sono tante piccole finestre, da lì, se sono aperte, passano le emozioni, se sono socchiuse filtrano appena, solo l'amore le può spalancare tutte assieme e di colpo, come una raffica di vento."
Da " Và dove ti porta il cuore" di Susanna Tamaro
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Vecchio, benedetto, Pekisch, questo non me lo dovevi fare. Non me lo merito. Io mi chiamo Pehnt, e sono ancora quello che se ne stava sdraiato per terra a sentire la voce nei tubi, come se quella arrivasse davvero, e invece non arrivava. Non è mai arrivata. E io adesso sono qui. Ho una famiglia, ho un lavoro e la sera vado a letto presto. Il martedì vado a sentire i concerti che danno alla sala Trater e ascolto musiche che a Quinnipak non esistono: Mozart, Beethoven, Chopin. Sono normali eppure sono belle. Ho degli amici con cui gioco a carte, parlo di politica fumando il sigaro e la domenica vado in campagna. Amo mia moglie, che è una donna intelligente e bella. Mi piace tornare a casa e trovarla lì, qualsiasi cosa sia successa nel mondo quel giorno. Mi piace dormire vicino a lei e mi piace svegliarmi insieme a lei. Ho un figlio che amo anche se tutto fa supporre che farà l'assicuratore. Spero che lo farà bene e che sarà un uomo giusto. La sera vado a letto e mi addormento. E tu mi hai insegnato che questo vuol dire che sono in pace con me stesso. Non c'è altro. Questa è la mia vita. Io lo so che non ti piace ma io non voglio che tu me lo scriva. Perché voglio continuare ad andare a letto, la sera, ed addormentarmi. Ognuno ha il mondo che si merita. Io forse ho capito che il mio è questo qua. Ha di strano che è normale. Mai visto niente del genere, a Quinnipak. Ma forse proprio per questo, io qui ci sto bene. A Quinnipak si ha negli occhi l'infinito. Qui, quando proprio guardi lontano, guardi negli occhi di tuo figlio. Ed è diverso. Non so come fartelo capire, ma qui si vive al riparo. E non è cosa spregevole. È bello. E poi chi l'ha detto che si deve proprio vivere allo scoperto, sempre sporti sul cornicione delle cose, a cercare l'impossibile, a spiare tutte le scappatoie per sgusciare via dalla realtà. È proprio obbligatorio essere eccezionali? Io non so. Ma mi tengo stretta questa vita mia e non mi vergogno di niente: nemmeno delle mie soprascarpe. C'è una dignità immensa, nella gente, quando si porta addosso le proprie paure, senza barare, come medaglie della propria mediocrità. E io sono uno di quelli. Si guarda sempre l'infinito qui a Quinnipak, insieme a te. Ma qui non c'è l'infinito. E così guardiamo le cose, e questo ci basta. Ogni tanto, nei momenti più impensati, siamo felici. Andrò a letto, questa sera, e non mi addormenterò. Colpa tua, vecchio, maledetto Pekisch. Ti abbraccio. Dio sa quanto ti abbraccio. Pehnt, assicuratore.
Alessandro Baricco da Castelli di Rabbia
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Però quando la gente ti dirà che hai sbagliato... e avrai errori dappertutto dietro la schiena, fottitene. Ricordatene. Devi fottertene. Tutte le bocce di cristallo che avrai rotto erano solo vita... e la vita vera magari è proprio quella che si spacca, quella vita su cento che alla fine si spacca... ...io questo l'ho capito, che il mondo è pieno di gente che gira con in tasca le sue piccole biglie di vetro... le sue piccole tristi biglie infrangibili... e allora tu non smetterla mai di soffiare nelle tue sfere di cristallo... sono belle, a me è piaciuto guardarle, per tutto il tempo che ti sono stato vicino... ci si vede dentro tanta di quella roba... è una cosa che ti mette l'allegria addosso... non smetterla mai... e se un giorno scoppieranno anche quella sarà vita a modo suo... meravigliosa vita. (Andersson)
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Che cerca il mare quando fragoroso con le onde richiama verso sé le creature? E il sole quando picchia all'orizzonte prosciugando di ogni linfa perfino le distese erbose? E i fulmini, quando non paghi del roboante tuono, cadono a picco con lampi minacciosi? I venti tempestosi, che chiedono? I fiumi tumultuosi? I vulcani accesi di fiamme immense e perigliose? Che chiede la natura con la belligeranza che manifesta? Che vuole comunicare a chi la vive e a chi la sente?
Quello che chiede un uomo quando piange. Che un bimbo in mezzo ad una strada, tacitamente cerca insieme all'elemosina pietosa. Che chiedono madri afflitte sul corpo di un fanciullo donato per la guerra. Quello che invocano i corpi-immagine di un anima malata, negli ospedali dell'umana solitudine rinchiusi. Un'unica voce! Unico gemito di rabbia e di dolore! Uno solo il canto che il loro cuore intona: Pace, Giustizia e Carità! Chiedono amore.
Amore per l'amore e per nient'altro. Amore per la pace perché è lo specchio della comunione di tutti i cuori. Amore per la guerra, perché fa male... ma perché tanto male sente in cuore suo chi la crea e poi la nutre con i suoi fratelli migliori. Amore inoltre per la povertà perché è sorella prediletta dell'ingiustizia di queste società. Amore per i mali corporali perché son mali da mancanza d'amore. Amore per sé stessi, perché ognuno proietti intorno a sé i propri raggi di luce e di colore. Possano questi tempi di ingiustizia e di dolore portare agli uomini il dono del perdono per se stessi. Possa quel dono aprire poi le porte dell'Immensa Comprensione e possano essere attraversate le sue ante dalla Scintilla del Divino Amore. Anna Perrino
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CANTO DEL CUORE C'era una volta un grand'uomo che sposo' la donna dei suoi sogni. Con il loro amore misero al mondo una bambina. Era una bambina intelligente e allegra e il grand'uomo le voleva molto bene. Quando era molto piccola, la prendeva in braccio, canticchiava a bocca chiusa un motivetto e ballava con lei per la stanza e le ripeteva: "ti voglio bene bambina". Quando la bambina era diventata piu' grandicella, il grand'uomo l'abbracciava e diceva. "ti voglio bene, bambina". La bambina si imbronciava e obiettava: "non sono piu' una bambina". Allora l'uomo rideva e rispondeva : "ma per me sarai sempre la mia bambina". La bambina che non era piu' bambina lascio' la famiglia e se ne ando' per il mondo. Imparando piu' cose riguardo a se stessa, imparo' piu' cose anche riguardo al grand'uomo. Capi' che era davvero grande e forte, perche' ora ne riconosceva i punti di forza. Uno dei suoi punti di forza era la capacita' di esprimere il suo amore per la famiglia. Dovunque lei andasse in giro per il mondo, l'uomo le telefonava e le diceva : "ti voglio bene, bambina". Venne il giorno in cui la banbina che non era piu' bambina ricevette una telefonata. Il grande uomo stava male. Aveva avuto un ictus. Era afasico, le spiegarono. Non riusciva piu' a parlare e non erano sicuri che capisse quello che gli si diceva. Non riusciva piu' a sorridere, a ridere, a camminare, ad abbracciare, a ballare o a dire che voleva bene alla sua bambina che non era piu' bambina. E cosi' lei ando' al capezzale del grand'uomo. Quando entro' nella camera e lo vide, lui le sembro' piccolo e tutt'altro che forte. Lui la guardo' e cerco' di parlare, ma non ci riusci'. La bambina fece l'unica cosa che poteva fare. Sali' sul letto avvicinandosi al grand'uomo. Lacrime scendevano dagli occhi di entrambi e lei con le braccia cinse le fragili spalle di suo padre. Con il capo sul petto di lui, penso' a molte cose. Rammento' i bellissimi momenti trascorsi assieme e come si fosse sempre sentita protetta e amata dal grand'uomo. Provo' dolore per la perdita che avrebbe sofferto, le parole d'affetto che l'avevano confortata. E poi udi' dall'interno dell'uomo il battito del suo cuore. Il cuore in cui avevano sempre vissuto la musica e le parole. Il cuore continuava a battere, sempre indifferente al danno subito dal resto del corpo. E mentre era li' avvenne la magia. Senti' quello che voleva sentire. Il cuore scandiva le parole che la bocca non poteva dire....Ti voglio bene, ti voglio bene bambina bambina. E fu per lei un conforto. Party Hansen Se imparassimo tutti e dire spesso nella vita TI VOGLIO BENE!!.........
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A ridere c'è il rischio di apparire sciocchi; a piangere c'è il rischio di essere chiamati sentimentali; a stabilire un contatto con un altro c'è il rischio di farsi coinvolgere; a mostrare i propri sentimenti c'è il rischio di mostrare il vostro vero io; a esporre le vostre idee e i vostri sogni c'è il rischio d'essere chiamati ingenui; Ad amare c'è il rischio di non essere corrisposti; a vivere c'è il rischio di morire; a sperare c'è il rischio della disperazione e a tentare c'è il rischio del fallimento. Ma bisogna correre i rischi, perché il rischio più grande nella vita è quello di non rischiare nulla. La persona che non rischia nulla, non è nulla e non diviene nulla. Può evitare la sofferenza e l'angoscia, ma non può imparare a sentire e cambiare e progredire e amare e vivere. Incatenata alle sue certezze, è schiava. Ha rinunciato alla libertà. Solo la persona che rischia è veramente libera. -- Leo Buscaglia
Certo, vivere significa buttarsi con coraggio anche a costo di cadere e sbattere il muso. Ma per andare al di là di noi stessi... ci vuole coraggio e determinazione. Cose che non sempre le condizioni psichiche di una persona sono in grado di affrontare. Allora si vivono momenti di alienazione che spiazzano la personalita'..........
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