"Che la musica influenzi l’umore è cosa nota.
Meno risaputo è che la musica possa agire direttamente sull’organismo modificando il nostro stato emotivo, fisico e mentale.
Questo fenomeno – chiamato effetto Mozart – non si verifica solo ascoltando le sinfonie del grande Amadeus, ma anche i canti gregoriani, un certo tipo di jazz e di pop, i ritmi sudamericani, le armonie new age e persino un pò di sano e robusto rock’n'roll."
Queste citazioni sono prese dalla presentazione all’edizione italiana del libro di Don Campbell "Effetto Mozart".
Dello stesso autore sono in vendita numerosi CD che l’autore pubblicizza affermando:
"Le vostre orecchie, la vostra voce e il vostro repertorio musicale sono il più potente strumento di cura a vostra disposizione".
Le potenzialità terapeutiche della musica ci vengono insomma presentate come un dato certo ed acquisito, una realtà scientifica.
Ma è davvero così?
Ripercorriamo insieme la storia del cosiddetto "Effetto Mozart" e scopriremo un’interessante miscela di dati scientifici, distorsioni mediatiche ed interessi commerciali.
Successivamente alla pubblicazione dei lavori della Rauscher i media, interpretando superficialmente i dati oggettivi e non prestando attenzione al dibattito scientifico in corso, instillarono nel grande pubblico l’idea che bastasse ascoltare Mozart per diventare più intelligenti.
Un po’ come quando da giovani studenti si mette il libro sotto al cuscino nella speranza, la mattina dopo, di sapere la lezione.
E’ facile comprendere che esiste una chiara differenza tra l’ascolto passivo di musica classica, fulcro del lavoro originale della Rauscher, ed gli effetti di una sistematica educazione musicale.
Quest’ultima richiede periodi prolungati di attenzione, una pratica quotidiana, l’apprendimento di una complessa simbologia, la memorizzazione di ampi passaggi musicali, ed inoltre, specie nella musica strumentale, la progressiva padronanza di raffinate abilità motorie.
Questo, specie se avviene nell’infanzia, un periodo di grande plasticità neuronale, può avere significativamente influenzare lo sviluppo cognitivo del bambino.
Tuttavia non possiamo assumere a priori che l’insegnamento di uno strumento musicale sia di per sé più efficace di un corso di informatica di base o di una lingua straniera, sebbene per alcuni bambini probabilmente possa essere più divertente.
Vari studi hanno verificato un legame tra partecipazione a corsi di musica in età prescolare e IQ.
Tuttavia una correlazione tra due eventi non implica di per sé un rapporto di causa ed effetto.
Dobbiamo quindi correre ad iscrivere i nostri figli ad un corso di musica? Perché no! Di certo ne risulteranno arricchiti.
Ma non aspettiamoci di ritrovare un piccolo Einstein al nostro tavolo.
Godiamoci quindi l’ascolto di un brano di Mozart, ben venga un incremento dell’attenzione all’educazione musicale nei curricula scolastici, ma non aspettiamoci di guarire da una malattia o di diventare improvvisamente studenti più brillanti…
Sì... godiamocela davvero questa Sonata K279
WEB – Estratto da un articolo di Bruna Pelucchi – Impaginazione T.K.
Ciao da Tony Kospan
IL SALOTTO CULTURALE DI FB?