Quasi tutti conosciamo l’espressione "andare in brodo di giuggiole”.
E’ un’esclamazione che talvolta sentiamo pronunciare e pronunciamo per sottolineare un momento vissuto con grande soddisfazione.
Il "brodo di giuggiole" non è però uno strano modo di dire… bensì un antico e prelibato distillato… oggi difficilmente reperibile nei grandi mercati.
IL GIUGGIOLO…
QUESTO SCONOSCIUTO…
DESCRIZIONE - STORIA - RICETTA - MODI DI DIRE E...
a cura di Tony Kospan
LA PIANTA
Il giuggiolo (Zizyphus vulgaris) è una pianta alta dai 5 a i 12 metri originaria dell’Africa settentrionale e della Siria che in tempi antichissimi si diffuse in Cina e in India, dove viene coltivato da oltre 4000 anni. E’ per questo che viene anche chiamato "dattero cinese".
Presenta un aspetto piuttosto contorto, con rami irregolari e spinosi. Le foglie di piccole dimensioni, sono d’un verde brillante con margini seghettati mentre i piccoli fiori sono gialli.
LA GIUGGIOLA (IL FRUTTO)
La giuggiola… il frutto… assomiglia ad una grossa oliva dal colore prima verdastro e poi rosso marrone scuro quand’è matura. La polpa di colore verde è soda ecompatta ma farinosa. Ha un leggero sapore dolce, Spesso il giuggiolo viene innestato nel melo per cui si ha un frutto… la giuggiola-mela…. di dimensioni cospicue e dalla polpa zuccherina e soda.
LA STORIA DEL GIUGGIOLO
Già per Erodoto, che definì le giuggiole simili ai datteri, esse potevano essere usate per produrre un vino liquoroso ed inebriante. Però i Greci le mangiavano anche come frutta.
Narra Omero nell’Odissea che Ulisse e i suoi uomini a causa di una tempesta, si ritrovarono sull’isola dei Lotofagi e che i suoi uomini, si lasciarono tentare dal frutto del loto un frutto che magicamente fece loro dimenticare mogli, famiglie e la nostalgia di casa. Si ritiene che il loto di cui parla sia lo "Zizyphus lotus", un giuggiolo selvatico.
Una specie affine, lo "Zizypus spinachristi", è ritenuto dalla leggenda una delle due piante che servirono a preparare la corona di spine di Gesù.
IL GIUGGIOLO IN ITALIA
I romani per primi lo importarono in Italia chiamandolo"Zyzyphum" e per essi era simbolo del silenzio ed adornava i Templi della Prudenza. Il termine latino è rimasto nel dialetto veneto "zizoea".
In Romagna in molte case coloniche era coltivato adiacente alla casa nella zona più riparata ed esposta al sole. Si riteneva che fosse una pianta portafortuna.
In Veneto ed in particolare a d Arquà Petrarca i giuggioli sono ancora piantati nei giardini di molte abitazioni e le giuggiole sono variamente utilizzate in cucina ed in… cantina.
Oltre all’espressione di cui parlavo all’inizio una volta era diffuso anche chiamare affettuosamente “giuggiolino” i bambini simpatici e grassottelli.
Nella medicina popolare è considerata uno dei quattro frutti “pettorali” con fichi, datteri e uvetta. Viene usata in infuso o in decotto per prevenire e curare i sintomi da raffreddamento e le infiammazioni alle vie respiratorie.
L’USO ODIERNO
Le giuggiole si consumano sia fresche, appena colte dall’albero, sia quando sono un pò secche. C’è un solo nocciolo all’interno simile a quello delle olive. Si possono trasformare anche in marmellate e pure conservate sotto grappe. Si fanno anche tisane e sciroppi dolcissimi utilizzati contro la tosse ed anche il famoso brodo liquoroso.
I frutti sono diuretici, emollienti e lassativi.
IL BRODO DI GIUGGIOLE
LA RICETTA
INGREDIENTI:
- 1 kg di giuggiole
- 1 kg di zucchero
- 2 mele cotogne
- 1 limone non trattato
- 1 litro di vino bianco
- 200 gr di uva isabella o vespolina sgranata
ESECUZIONE:
Prediligete delle guggiole mature e raggrinzite, che sono poi quelle più dolci, eliminatene il nocciolo. Mettetele in acqua unitamente alle mele cotogne tagliate a fettine, la scorza di limone, l’uva e lo zucchero, cuocete e dopo un’oretta di cottura a temperatura dolce aggiungete un po’ alla volta il vino di modo che questo possa sostituire l’acqua.
Passate tutto al setaccio. Il risultatato finale deve essere quello di una marmellatina tenera e saporita.
IL DETTO:
ANDARE IN BRODO DI GIUGGIOLE
L’espresione nasce a seguito della ricetta con questo nome usata nei paesi intorno al Lago di Garda e considerata una vera e propria prelibatezza.
Viene riportata già nel 1612 nel Vocabolario degli accademici della Crusca e le viene dato il significato di “godere di molto di chicchessia”.
Poi essa si diffuse in tutta Italia e resiste bene ancor oggi… nel senso di "gran godimento".
CIAO DA TONY KOSPAN
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