L a vita è un piccolo sacchetto di monete. Ogni moneta è un sentimento, un’occasione, un destino.
Ogni moneta ha due facce, e se da una parte peschi la moneta della felicità devi stare molto attento perché potrebbe voltarsi.
E svelarti la faccia del dolore. Ha un grande valore questo sacchetto di monete.
Così pieno, così vario. C’è da pescare, bisogna stare attenti a pescare.
A volte capita che qualcuno scelga le facce giuste e allora hai fra le mani il gettone dell’amore, della famiglia, il gettone del successo professionale, il grande doblone della salute. C’è chi riesce a tenerli per tutta una vita rivolte sul lato fortunato: e questo è il grande miracolo dell’armonia. Altri pescano male e campano sul filo del rasoio, dove la sottrazione vince sull’addizione, dove togliere ha più forza che ricevere.
E questo è semplicemente l’esistenza.
Ma c’è qualcosa in quel sacchetto da tenere stretto e ben presente: è sapere che bisogna pescare, comunque, che la mano non deve aver paura perché la moneta è l’unica possibilità che abbiamo.
Di vivere, o forse di sapere. Sapere cos’è la passione e subito dopo l’amore e poi la fine dell’amore, dell’affetto portentoso di un padre e della tragedia di una sua perdita, della generosità incondizionata di una madre e del suo distacco, di un figlio che nasce, di un figlio che muore. Il pescare è la sola misura dell’esistenza. Non ne conosciamo altri. A volte ci viene tolto tutto all’improvviso, altre volte ci viene regalato un poco alla volta. Qualcuno lo chiama contrappasso, altri bilancia della vita. Io non lo chiamerei affatto, perché lo stupore è l’unica cosa che rimane davanti a questo piccolo sacchetto di destini.
Conosco persone che hanno pescato sempre bene le loro monete.
Ne conosco altre che hanno estratto sempre la faccia dolorosa.
La maggior parte ha avuto che fare con un lato del gettone e subito dopo con l’altro.
Le poche righe che mi rimangono sono dedicate a uno di loro e al suo sacchetto che ha dovuto abbandonare pochi mesi fa.
Si chiamava Gianluca e non ha mai avuto paura, nemmeno una volta, di scegliere il suo destino. Di pescarlo. Aveva quarantadue anni e due bellissime bambine, le sue monete più belle.
Le chiamava 'briciole', perché stavano in un abbraccio. Aveva Sonia, la sua ragazza e poi moglie, conosciuta a 20 anni all’università e sposata a 32. Me l’ha fatta vedere una volta, quando veniva in ufficio a sistemarmi il computer: teneva una fotografia nel portafoglio, lei sorrideva mentre lui era intento a fissarla come non ci fosse nessuna macchina fotografica davanti. Gianluca aveva un buon lavoro, era un informatico ma anche uno scrittore che usava la notte per mettere su carta quel che raccoglieva di giorno. Erano queste le sue monete più preziose, venute fuori dopo un primo gettone sfortunato, la perdita prematura di un padre. Col tempo, però, Gianluca aveva pescato bene dal sacchetto, si era ripreso tutto con i suoi gettoni della vita. E quella era la ricompensa che segue la mancanza.
Poi un giorno Gianluca è venuto in ufficio, aveva una tosse sottile e leggera che non lo lasciava, che l’avrebbe costretto a stare un po’ di giorni a casa per degli accertamenti. Semplice allergia, mi ripeteva con gli occhi impauriti.
Invece quella era la moneta più terribile del sacchetto, quella che ognuno di noi vorrebbe lasciare sempre per ultima.
L’ha pescata e da quel momento ha avuto solo otto mesi per baciare ogni sera le sue bambine, per baciare ogni sera il suo amore Sonia.
Otto mesi, in cui fino all’ultimo ha continuato a venire in ufficio, a lavorare, a dirmi non dimenticare mai quello che hai.
Otto mesi, in cui mi ha insegnato una cosa che non dimenticherò più: l’importante è pescare dal sacchetto della vita, sempre.
Qualsiasi possa essere la moneta. Qualsiasi.
Marco Missiroli