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POESIE SUBLIMI E DI SOGNO: NON AMO CHE LE ROSE CHE NON COLSI – STORIA E POESIA DI UNA FRASE SEMPRE VIVA
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Respuesta  Mensaje 1 de 2 en el tema 
De: Tony Kospan  (Mensaje original) Enviado: 03/08/2012 15:58
 

  
 
 
 

  
 
 
 
Chi di noi non conosce questa frase?
 
 
Ma penso che pochi sappiano,
come meprima di scoprirlo,
in quale circostanza sia stata scritta
e da chi…
 
 
Gironzolando tra le amate poesie
ho trovato la soluzione…
che mi fa piacere condividere con voi...
 
 
 
  
  
 
 
  
NON AMO
CHE LE ROSE CHE NON COLSI
a cura di Tony Kospan
 
 
 
 
 
  
  
 
 
E’ in una strofa di questa poesia,
 apparentemente sognante e birichina,
ma profondamente crepuscolare
di Guido Gozzano…
 
 
 
Il mio sogno è nutrito d’abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state… Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent’anni or sono!
 
 
 
Ci parla di sé…  bambino...
ma già ammiratore
di una… Cocotte… vicina di casa…
che avendogli donato un furtivo bacio…
ed un confetto…
è rimasta scolpita nel suo cuore…
  
 
 
 
  
 
 
 
Gozzano si abbandona languidamente ai ricordi
di quel volto… di quei volti…
di quei luoghi e di quelle emozioni…
che dopo tanti anni vivono ancora forti in lui…
ma rimane fermo lì... nella sola contemplazione
 
 
E’ una poesia, per me carinissima,
che rallegra il cuore…
unendo freschezza e profumi…
in un ampio caldo affresco
 avvolto in forte romanticismo…
pur nella sua atmosfera crepuscolare...
 
 
 
  
 
 
 
Ma il suo successo è dovuto soprattutto
a quella frase…
“non amo che le rose che non colsi”.
 
 
Ma ora leggiamola tutta...
 
 
 
 
 
 
 
  
 
COCOTTE
(Guido Gozzano)
 
 
I
Ho rivisto il giardino, il giardinetto
contiguo, le palme del viale,
la cancellata rozza dalla quale
mi protese la mano ed il confetto…
 
II
«Piccolino, che fai solo soletto?»
«Sto giocando al Diluvio Universale.»
Accennai gli stromenti, le bizzarre
cose che modellavo nella sabbia,
ed ella si chinò come chi abbia
fretta d’un bacio e fretta di ritrarre
la bocca, e mi baciò di tra le sbarre
come si bacia un uccellino in gabbia.
Sempre ch’io viva rivedrò l’incanto
di quel suo volto tra le sbarre quadre!
La nuca mi serrò con mani ladre;
ed io stupivo di vedermi accanto
al viso, quella bocca tanto, tanto
diversa dalla bocca di mia Madre!
«Piccolino, ti piaccio che mi guardi?
Sei qui pei bagni? Ed affittate là?»
«Sì… vedi la mia mamma e il mio Papà?»
Subito mi lasciò, con negli sguardi
un vano sogno (ricordai più tardi)
un vano sogno di maternità…
«Una cocotte!…»
«Che vuol dire, mammina?»
«Vuol dire una cattiva signorina:
non bisogna parlare alla vicina!»
Co-co-tte… La strana voce parigina
dava alla mia fantasia bambina
un senso buffo d’ovo e di gallina…
Pensavo deità favoleggiate:
i naviganti e l’Isole Felici…
Co-co-tte… le fate intese a malefici
con cibi e con bevande affatturate…
Fate saranno, chi sa quali fate,
e in chi sa quali tenebrosi offici!
 
III
Un giorno – giorni dopo – mi chiamò
tra le sbarre fiorite di verbene:
«O piccolino, non mi vuoi più bene!…»
«è vero che tu sei una cocotte?»
Perdutamente rise… E mi baciò
con le pupille di tristezza piene.
 
IV
Tra le gioie defunte e i disinganni,
dopo vent’anni, oggi si ravviva
il tuo sorriso… Dove sei, cattiva
Signorina? Sei viva? Come inganni
(meglio per te non essere più viva!)
la discesa terribile degli anni?
 
Oimè! Da che non giova il tuo belletto
e il cosmetico già fa mala prova
l’ultimo amante disertò l’alcova…
Uno, sol uno: il piccolo folletto
che donasti d’un bacio e d’un confetto,
dopo vent’anni, oggi ti ritrova
in sogno, e t’ama, in sogno, e dice: T’amo!
Da quel mattino dell’infanzia pura
forse ho amato te sola, o creatura!
Forse ho amato te sola! E ti richiamo!
Se leggi questi versi di richiamo
ritorna a chi t’aspetta, o creatura!
 
Vieni! Che importa se non sei più quella
che mi baciò quattrenne? Oggi t’agogno,
o vestita di tempo! Oggi ho bisogno
del tuo passato! Ti rifarò bella
come Carlotta, come Graziella,
come tutte le donne del mio sogno!
 
Il mio sogno è nutrito d’abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state… Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent’anni or sono!
 
Oltre le sbarre il tuo giardino intatto
fra gli eucalipti liguri si spazia…
Vieni! T’accoglierà l’anima sazia.
Fa ch’io riveda il tuo volto disfatto;
ti bacierò; rifiorirà, nell’atto,
sulla tua bocca l’ultima tua grazia.
 
Vieni! Sarà come se a me, per mano,
tu riportassi me stesso d’allora.
Il bimbo parlerà con la Signora.
Risorgeremo dal tempo lontano.
Vieni! Sarà come se a te, per mano,
io riportassi te, giovine ancora.
 
 
  
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
Ed ora...
in ideale dolce collegamento...
 floreale…
 
  
 
 
[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=iokPv-4PXAo]
 
 

 
 
CIAO DA TONY KOSPAN
 
 
 

 
 
 
 
 
LA POESIA…
IL SUO FANTASTICO MONDO…
E LE SUE  SUBLIMI EMOZIONI…
NEL GRUPPO
 
 
 
 


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Respuesta  Mensaje 2 de 2 en el tema 
De: haiku04 Enviado: 03/08/2012 23:11

 

Conosco tutte le poesie di Gozzano, e spesso ne rileggo qualcuna.
Ho visitato in più occasioni anche la sua casa di campagna, Il Meleto
ad Agliè, in giornate in cui non c'era nessuno, per cui potevo aggirarmi
fra le stanze o il giardino, e immaginare la sua presenza.
Un dandy amareggiato dalla malattia e sinceramente un po' crudele con
le donne che invece erano incantate da lui.... e penso che davvero
lui abbia amato solo le rose non colte, e ciò che poteva essere, e
non è stato.....
 
 
 
  

Un rimorso

I
O il tetro Palazzo Madama…
la sera… la folla che imbruna…
Rivedo la povera cosa,

la povera cosa che m’ama:
la tanto simile ad una
piccola attrice famosa.*

Ricordo. Sul labbro contratto
la voce a pena s’udì:
“O Guido! Che cosa t’ho fatto
di male per farmi così?”

II
Sperando che fosse deserto
varcammo l’androne, ma sotto
le arcate sostavano coppie

d’amanti… Fuggimmo all’aperto:
le cadde il bel manicotto
adorno di mammole doppie.

O noto profumo disfatto
di mammole e di petit-gris…
“Ma Guido, che cosa t’ho fatto
di male per farmi così?”

III
Il tempo che vince non vinca
la voce con che mi rimordi,
o bionda povera cosa!

Nell’occhio azzurro pervinca,
nel piccolo corpo ricordi
la piccola attrice famosa…

Alzò la veletta. S’udì
(o misera tanto nell’atto!)
ancora: “Che male t’ho fatto,
o Guido, per farmi così?”

IV
Varcammo di tra le rotaie
la Piazza Castello, nel viso
sferzati dal gelo più vivo.

Passavano giovani gaie…
Avevo un cattivo sorriso:
eppure non sono cattivo,

non sono cattivo, se qui
mi piange nel cuore disfatto
la voce: “Che male t’ho fatto
o Guido per farmi così?”

 

*l'attrice famosa era Irma Gramatica

 
 

 

 



 
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