La capitale dell’impero Khmer nel 1400 d.C., in Cambogia,
si estendeva su 3.000 km quadrati...
Ma il complesso sistema di canali su cui si reggeva
potrebbe averne decretato la fine.
ANGKOR METROPOLI PREINDUSTRIALE
GIOIELLO DI INGEGNERIA IDRAULICA
Alessia Manfredi
Un’immensa metropoli, nata e sviluppatasi su un sistema idraulico complesso, nel cuore della foresta tropicale: quello che sorgeva anticamente intorno al tempio di Angkor Vat, in Cambogia, capolavoro dell’architettura khmer e oggi patrimonio dell’umanità, era il più grande insediamento urbano dell’epoca preindustriale, almeno tre volte più vasto di quanto si era creduto finora.
A gettare nuova luce sulla storia della città sorta intorno al complesso monumentale-religioso che il Guinness dei primati classifica come il più esteso al mondo, è un’équipe internazionale di archeologi. Tracciando una nuova mappa con l’aiuto anche dei radar della Nasa, i ricercatori hanno "rivisto" le dimensioni di quella che fu la capitale dell’impero khmer dal nono al sedicesimo secolo: la sua superficie si estendeva su un’area di circa 3.000 chilometri quadrati ed ospitava una popolazione di un milione di persone, secondo gli autori dello studio appena pubblicato sui Pnas, la rivista dell’Accademia nazionale delle Scienze americana.
Il tutto grazie a un’avanzatissima rete idraulica, che permetteva di conservare l’acqua per utilizzarla nelle stagioni secche, arrivando anche a deviare il corso di un fiume, il Siem Reap, facendolo arrivare fino al cuore dell’insediamento. Ma lo stesso miracolo di ingegneria idraulica che permise alla città di fiorire e prosperare nei secoli, fu, con ogni probabilità, anche causa della sua rovina. Divenne ingestibile e ciò, sommato alla sovrappopolazione e all’eccessiva deforestazione, portò al collasso dell’intero sistema.
La storia di Angkor affascina la comunità scientifica dagli anni ’50. Ma le prove per determinare cosa causò il suo declino sono state finora molto difficili da reperire. Nel 2000 un gruppo di archeologi cambogiani, francesi e australiani chiese aiuto alla Nasa. Grazie alle immagini ottenute dai satelliti in orbita, in grado di scrutare con i radar anche il sottosuolo, sono stati identificati nuovi sentieri e canali sotterranei, che hanno dato un quadro nuovo della reale estensione della città.
Combinando quelle immagini con altre fotografie aeree e rilievi topografici, gli archeologi hanno individuato tracce di migliaia di bacini d’acqua e di 74 templi finora ignoti. E hanno ipotizzato che il complesso sistema di irrigazione permettesse di alimentare colture di riso su superfici molto estese, fino a 25 chilometri a sud e a nord di Angkor.
Un capolavoro di idraulica che potrebbe, però, essersi trasformato in una maledizione, giocando un ruolo chiave nel crollo della civiltà khmer, terminata nel 1431 con l’invasione dei Thai e l’abbandono dei luoghi. Secondo una delle teorie più accerditate, che questa ricerca avalla ulteriormente, a decretarne la fine fu una catastrofe ambientale dovuta all’eccessiva manipolazione dell’ambiente, insieme alla deforestazione, all’erosione del suolo e a una serie di fatali inondazioni.
(repubblica.it – impaginazione Tony Kospan)
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