I versi di Neruda, Ungaretti, Montale ci fanno stare bene, allargano la mente, dicono che non si è mai soli.
E insegnano il senso della vita
"Io non vengo a risolvere nulla. Io sono venuto qui per cantare e per sentirti cantare con me".
Questo è il poeta Ricardo Neftali Reyes Basoalto, nato nel 1904 a Temuco nel Cile, che a 16 anni scrisse i suoi primi versi col nome di Pablo Neruda. "Io non vengo a risolvere nulla".
Questo voleva dire Neruda, il poeta.
Sapendo di mentire perché, fin da principio, sapeva che non sarebbe stato "esattamente" così.
La poesia non risolve nulla, non ti sfama se hai fame, non ti arricchisce se sei povero, non ti riveste se sei nudo, non ti restituisce la persona che hai perduto, voleva dire il poeta.
Eppure.
Se non conosci la poesia, fai più fatica a sopportare tutto questo. Sei più solo, più disperato.
Allora.
Allora, la poesia fa bene al cuore, allarga la mente, ti aiuta a capire che non sei solo: che tu sia felice, o infelice, che tu abbia accanto la persona amata, o che tu l’abbia perduta, c’è stato almeno un poeta che, prima di te, ha calpestato questo stesso sentiero: e l’ha raccontato.
Come.
La meraviglia della poesia sta anche in questo. Come Neruda, certamente non Ungaretti. E come Ungaretti, non certo Baudelaire, Saffo, Dickinson, Montale, Hikmet, Leopardi.
I poeti sono uomini.
Uomini e donne che hanno vissuto in maniere diverse, in tempi diversi.
L’appassionata americana volontariamente reclusa Emily Dickinson.
Il cocainomane, raffinatissimo francese Charles Baudelaire.
L’ironico, spregiudicato inglese Oscar Wilde.
L’amaro ligure Eugenio Montale, che davanti a una rosa cui avevano dato il suo nome commentò: "Proprio a me, che se la tocco, appassisce".
E il capriccioso, bislacco marchigiano Giacomo Leopardi, che si innamorava di donne impossibili, non si lavava, ed è morto per una mostruosa scorpacciata di gelato.
Gente come noi.
Con le nostre stesse miserie e passioni. Ma con la grazia della poesia. Questa indicibile, incommensurabile grazia che ci trasmettono mentre li leggiamo, li ascoltiamo, li ricordiamo.
Soltanto i poeti conoscono, infatti, il segreto del senso della vita.
Soltanto la poesia sa scandire il dolore, la gioia, l’amore, la bellezza come se tutto fosse meraviglia. Ecco.
Se anche noi conoscessimo questo ritmo, vivremmo più consapevolmente; e in ogni caso, conoscendo fino in fondo l’incomparabile prodigio dell’esistenza.
F I N E
Quello che colgo e che condivido in pieno in questo articolo è che la poesia, alla faccia dei suoi ahimé innumerevoli detrattori, 2 cose certamente dona ai chi la "frequenta".
La prima è il dolce "sentirsi in compagnia" con gli autori e la seconda è la capacità di darci, in poche parole, tante emozioni e perfino visioni del senso della vita.
Cosa ne pensate?
Tony Kospan
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