Francois Martin-Kavel – Rose d'estate
Chi di noi non conosce questa frase?
Ma penso che pochi sappiano,
come me… prima di scoprirlo,
in quale circostanza sia stata scritta
e da chi…
Gironzolando tra le amate poesie
ho trovato la soluzione…
che mi fa piacere condividere con voi...
NON AMO
CHE LE ROSE CHE NON COLSI
a cura di Tony Kospan
E’ in una strofa di questa poesia,
apparentemente sognante e birichina,
ma profondamente crepuscolare
di Guido Gozzano…
poeta tra i più interessanti di questa corrente
in voga a cavallo nei primi decenni del '900
e morto a soli 32 anni
Guido Gozzano
(Torino 19 12 1883 – Torino 9 8 1916)
Ma vediamo il punto esatto dove nasce...
questa mitica frase.
Il mio sogno è nutrito d’abbandono, di rimpianto. Non amo che le rose che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state… Vedo la case, ecco le rose del bel giardino di vent’anni or sono!
Ci parla di sé… bambino... ma già ammiratore
di una… Cocotte… vicina di casa…
che avendogli donato un furtivo bacio… ed un confetto…
è rimasta scolpita nel suo cuore…
Vincenzo Irolli - Tra Le Rose
Gozzano si abbandona languidamente ai ricordi
di quel volto… di quei volti…
di quei luoghi e di quelle emozioni…
che dopo tanti anni vivono ancora forti in lui…
ma rimane fermo lì... nella sola contemplazione…
John William Waterhouse - Mia dolce rosa
E’ una poesia, per me carinissima,
che rallegra il cuore…
unendo freschezza e profumi…
in un ampio caldo affresco
avvolto in forte romanticismo…
pur nella sua profonda atmosfera crepuscolare...
Ma il suo successo è dovuto soprattutto
a quella frase… diventata di uso comune...
“non amo che le rose che non colsi”.
Ma ora leggiamola tutta...
Boldini - La signora in rosa - 1906
COCOTTE
(Guido Gozzano)
I
Ho rivisto il giardino, il giardinetto contiguo, le palme del viale, la cancellata rozza dalla quale mi protese la mano ed il confetto…
II
«Piccolino, che fai solo soletto?» «Sto giocando al Diluvio Universale.»
Accennai gli stromenti, le bizzarre cose che modellavo nella sabbia, ed ella si chinò come chi abbia fretta d’un bacio e fretta di ritrarre la bocca, e mi baciò di tra le sbarre come si bacia un uccellino in gabbia.
Sempre ch’io viva rivedrò l’incanto di quel suo volto tra le sbarre quadre! La nuca mi serrò con mani ladre; ed io stupivo di vedermi accanto al viso, quella bocca tanto, tanto diversa dalla bocca di mia Madre!
«Piccolino, ti piaccio che mi guardi? Sei qui pei bagni? Ed affittate là?» «Sì… vedi la mia mamma e il mio Papà?» Subito mi lasciò, con negli sguardi un vano sogno (ricordai più tardi) un vano sogno di maternità…
«Una cocotte!…» «Che vuol dire, mammina?» «Vuol dire una cattiva signorina: non bisogna parlare alla vicina!» Co-co-tte… La strana voce parigina dava alla mia fantasia bambina un senso buffo d’ovo e di gallina…
Pensavo deità favoleggiate: i naviganti e l’Isole Felici… Co-co-tte… le fate intese a malefici con cibi e con bevande affatturate… Fate saranno, chi sa quali fate, e in chi sa quali tenebrosi offici!
III
Un giorno – giorni dopo – mi chiamò tra le sbarre fiorite di verbene: «O piccolino, non mi vuoi più bene!…» «è vero che tu sei una cocotte?» Perdutamente rise… E mi baciò con le pupille di tristezza piene.
IV
Tra le gioie defunte e i disinganni, dopo vent’anni, oggi si ravviva il tuo sorriso… Dove sei, cattiva Signorina? Sei viva? Come inganni (meglio per te non essere più viva!) la discesa terribile degli anni?
Oimè! Da che non giova il tuo belletto e il cosmetico già fa mala prova l’ultimo amante disertò l’alcova… Uno, sol uno: il piccolo folletto che donasti d’un bacio e d’un confetto, dopo vent’anni, oggi ti ritrova
in sogno, e t’ama, in sogno, e dice: T’amo!
Da quel mattino dell’infanzia pura forse ho amato te sola, o creatura! Forse ho amato te sola! E ti richiamo! Se leggi questi versi di richiamo ritorna a chi t’aspetta, o creatura!
Vieni! Che importa se non sei più quella che mi baciò quattrenne? Oggi t’agogno, o vestita di tempo! Oggi ho bisogno del tuo passato! Ti rifarò bella come Carlotta, come Graziella, come tutte le donne del mio sogno!
Il mio sogno è nutrito d’abbandono, di rimpianto. Non amo che le rose che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state… Vedo la case, ecco le rose del bel giardino di vent’anni or sono!
Oltre le sbarre il tuo giardino intatto fra gli eucalipti liguri si spazia… Vieni! T’accoglierà l’anima sazia. Fa ch’io riveda il tuo volto disfatto; ti bacierò; rifiorirà, nell’atto, sulla tua bocca l’ultima tua grazia.
Vieni! Sarà come se a me, per mano, tu riportassi me stesso d’allora. Il bimbo parlerà con la Signora. Risorgeremo dal tempo lontano. Vieni! Sarà come se a te, per mano, io riportassi te, giovine ancora.
Vincenzo Irolli - Sdraiata nel giardino
Ed infine...
in ideale dolce collegamento...
floreale…
ascoltiamo la mitica voce dell'altrettanto sfortunata
Giuni Russo che ci canta
Una rosa è una rosa
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CIAO DA TONY KOSPAN
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