Non sono necessarie molte presentazioni per chi è conosciuto come il padre della fotografia e ha fermato nei suoi scatti quasi un secolo di eventi.
Henri Cartier-Bresson, è nato il 22 agosto 1908 a Chanteloup (Francia), 30 chilometri ad est di Parigi, da una famiglia alto borghese amica delle arti.
Inizialmente si interessa solo di pittura (grazie soprattutto all'influenza di suo zio, artista affermato, che all'epoca considerava un po' come un padre spirituale), e diventa allievo di Jaques-Emile Blanche e di André Lhote, frequenta i surrealisti e Triade, il grande editore.
Dagli inizi degli anni '30 sceglie definitivamente di sposare la fotografia.
Nel 1931 infatti, a soli 23 anni, ritornato in Francia dopo un anno in Costa d'Avorio, Henri Cartier-Bresson scopre la gioia di fotografare, compra una Leica e parte per un viaggio che lo porta nel sud della Francia, in Spagna, in Italia e in Messico.
La Leica con la sua maneggevolezza e la pellicola 24x36 inaugurano un modo nuovo di rapportarsi al reale, sono strumenti flessibili che si adattano straordinariamente all'occhio sempre mobile e sensibile del fotografo.
L'ansia che rode Cartier-Bresson in questo suo viaggio fra le immagini del mondo lo porta ad una curiosità insaziabile, incompatibile con l'ambiente borghese che lo circonda, di cui non tollera l'immobilismo e la chiusura, la piccolezza degli orizzonti.
Nel 1935 negli USA inizia a lavorare per il cinema con Paul Strand e tiene nel 1932 la sua prima mostra nella galleria Julien Levy.
Tornato in Francia continua per qualche tempo a lavorare nel cinema con Jean Renoir e Jaques Becker, ma nel 1933 un viaggio in Spagna gli offre l'occasione per realizzare le sue prime grandi fotografie di reportage.
Ed è soprattutto nel reportage che Cartier-Bresson mette in pratica tutta la sua abilità e ha modo di applicare la sua filosofia del "momento decisivo".
Una strada che lo porterà ad essere facilmente riconoscibile, un marchio di fabbrica che lo distanzia mille miglia dalle confezioni di immagini celebri e costruite.
Ormai è diventato un fotografo importante.
Catturato nel 1940 dai tedeschi, dopo 35 mesi di prigionia e due tentate fughe, riesce a evadere dal campo e fa ritorno in Francia nel 1943, a Parigi, dove ne fotografa la liberazione.
Qui entra a far parte dell'MNPGD, un movimento clandestino che si occupa di organizzare l'assistenza per prigionieri di guerra evasi e ricercati.
Finita la guerra ritorna al cinema e dirige il film "Le Retour".
Negli anni 1946-47 è negli Stati Uniti, dove fotografa soprattutto per Harper's Bazaar.
Nel 1947 al Museum of Modern Art di New York viene allestita, a sua insaputa, una mostra "postuma"; si era infatti diffusa la notizia che fosse morto durante la guerra.
Nel 1947 insieme ai suoi amici Robert Capa, David "Chim" Seymour, George Rodger e William Vandivert (un manipolo di "avventurieri mossi da un'etica", come amava definirli), fonda la Magnum Photos, cooperativa di fotografi destinata a diventare la più importante agenzia fotografica del mondo.
Dal 1948 al 1950 è in Estremo Oriente.
Nel 1952 pubblica "Images à la sauvette", una raccolta di sue foto (con copertina, nientemeno, che di Matisse), che ha un'immediata e vastissima eco internazionale.