Uno psichiatra nella stanza buia di casa Pascoli
Andreoli racconta l'amore incestuoso tra Giovanni e la sorella Ida
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Lo psichiatra Andreoli, in una analisi su "I segreti di casa Pascoli" porta una notizia ghiotta per chi ama osservare i grandi dal buco della serratura. Giovanni ebbe una relazione carnale con la sorella Ida e poi, perso per sempre l' amore incestuoso, si mise a bere come una spugna, fino a morire di cirrosi epatica a cinquantasei anni. Tutto ha inizio il fatidico 10 agosto del 1867, quando un colpo di fucile uccise il padre Ruggero sulla strada di ritorno da Cesena a San Mauro: «Un delitto che non ha mai trovato né colpevoli né giustizia». Pascoli aveva allora tredici anni e subì un profondo «trauma». La trafila clinica è questa. Giovannino, nella propria fantasia, prende il posto del padre e si lega alla madre in una «simbiosi totale di sapore edipico». Ma c' è in agguato un' altra disgrazia. A distanza di poco più di un anno muore anche la madre e la famiglia si disgrega. Per Pascoli diventa allora un' idea fissa riunire la famiglia e ciò avviene solo più tardi nella casa di Massa (giugno 1885), dove Giovanni ricostruisce il «nido» con le sorelle Ida e Maria. Attenti perché il gioco è complicato nella mente tortuosa del poeta. Pascoli ha ventisette anni, Ida ne ha diciannove e Maria due di meno. Giovanni si assume il carico della famiglia, provvede ai suoi bisogni. Ida è una donna fatta, di prosperose forme; ha senso pratico della vita e nel trio è lei che si occupa della casa. Maria è piccola, gracile e asessuata, sognante e intellettuale. Ha le caratteristiche dell' «isterica» che tende ad attirare su di sé l' attenzione generale. Certo è che, nel caldo di questo «nido» ricostruito, gli anni tra il 1885 e il 1895 sono per Pascoli apparentemente i più felici. Ma c' è qualcosa di torbido che cova nella serenità. Presto si ripropone il «trauma» originario con una serie di spostamenti patologici. Ida viene a rappresentare «per Giovanni la donna matura e nel gioco delle metamorfosi inconsce rappresenta la madre. L' oggetto da amare anche fisicamente». Andreoli porta come documenti disegni inediti, stralci di lettere e di poesie. Non sono testimonianze forti, ma da interpretare. C' è, per esempio, nella poesia «Donando un anellino a Maria» una dedica sospetta: «Ida e Giovanni a Maria. Alla nostra piccola consolatrice e figlia».La situazione è vissuta in un clima di idillio, ma sfocia nella tragedia, perché da fantasie e sublimazioni si passa ai fatti. Con il tempo comincia a circolare un' aria di sospetti nel trio: Maria, l' isterica di casa, monta la guardia per fare in modo che Giovanni fratello-padre e Ida sorella-madre non possano avere spazi per un' eccessiva intimità. Arriva l' «anno terribile», il 1895, e tutto va in pezzi. Andreoli dice che il rapporto tra Giovanni e Ida, fatto di complicità e segrete intese, svolti in un rapporto carnale vero e proprio. Maria sorprende i due e li svergogna. Il gioco ambiguo non può più dunque continuare e viene deciso un taglio netto a una situazione insopportabile. Ida sarà costretta a prendere marito e per Giovanni si apriranno le porte dell' inferno: il senso di perdita del suo oggetto d' amore sarà soffocato nell' alcol, in una scelta che Andreoli non esita a definire di «suicidio» programmato. «E pensare che c' è ancora chi continua a considerare Pascoli come il poeta leggero della natura e dei fiorellini», chiosa lo psichiatra, mentre «è uno dei tragici più grandi». Dimentica però che accanto al Pascoli di Myricae, che contempla lo spazio limitato dei campi, c' è un poeta ben più grande che guarda con spavento l' immenso cielo stellato: quella «infinita ombra» dell' universo popolata di «spazi silenziosi» che ruota «minacciosa» intorno al «piccolo globo opaco» della Terra. È lo spazio dell' ignoto che si nasconde nell' imperturbabilità del firmamento: uno spazio figurato dalla fantasia di Pascoli come abisso vertiginoso in cui possono avvenire «crolli» immensi o cataclismi e in cui regna l' angoscia della morte. Pascoli consegna questo messaggio inquietante. Il «cantuccio d' ombra», il «nido» di cui parla è il porto in cui si rifugia un' anima spaventata. Che poi nella realtà biografica l' atmosfera di questo «nido» fosse morbosa poco importa per i versi di Pascoli: nulla toglie alla loro «verità umana». Ma forse oggi trascinare il poeta sul lettino dello psicoanalista, per scoprirne torbidi segreti e svilirlo, può servire a esorcizzare una paura che ancora ci appartiene: a dimenticarla (o a sopirla) in una vanità intellettuale .LA SVOLTA *** E il «fanciullino» diventò capofamiglia ***
Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna nel 1855 e morì a Bologna nel 1912. Nel 1867 rimase orfano di padre, l' anno successivo morì anche la madre. Dal 1885 visse con le sorelle Ida e Maria, poi, dal 1895, soltanto con Maria.
Vado a letto quasi sempre con la testa piena di cognac […]Non sono sereno. Questo è l’anno terribile, dell’anno terribile questo è il mese più terribile. Non sono sereno: sono disperato… Siete sorelle e amate e siete amate da sorelle: così dici. Va bene, Ma dimmi in coscienza, senza diplomazia, dimmi Mariù: tu mi ami da sorella: perché t’ha a dispiacere, che io ami una donna da amante, da sposo, da marito?
(Lettera di Giovanni Pascoli a Maria, dopo il matrimonio di Ida - 19 giugno 1895)
Successiva Lettera a Maria
Mia cara Maria adorata, ti affermo, mia adorata, mio angiolo, che, non ostante qualche ribellione di nervi, io vedo, prevedo, la mia felicità. La mia felicità sta in te. Tu mi ami, io ti amo. Si tratta per noi d'un affetto che possa cedere a un altro maggiore piú vivo piú caldo? Io so che da parte tua non è possibile; tu devi credere che da parte mia non è possibile. Tu non hai le prove d'affetto ch'essa ha da me? No? Io ho messo su casa, ho portato via tutte e due, ho lavorato e vissuto... solo per te. Tu hai voluto, e io che ti amavo ho voluto con te, tutto. Non ricordi? è cosí: tutto. L'Ida mi lascia, l'Ida non sarebbe venuta con me. Sono considerazioni che faccio ora piú che mai, ma che ho fatto sempre. Io credevo la novità nuziale dell'Ida come una specie di sfacelo della mia piccola famigliola... O stolto! per chi avevo fatta la mia casina? per te, Maria. Sai cos'è? Questo matrimonio mi costa un dolore, ma mi lascia un insegnamento: cosa sarebbe stato e sarebbe di te, Giovannino, se fosse Maria che andasse via? Oh! Maria, per qualunque strada tu andassi via, il mio destino sarebbe certo! «Tu perdi tutto e non ti resta nulla.» Io non perdo nulla: mi resti tu... Che furore d'affetto sento a rivederti, a riabbracciarti, a consolarti, a farmi consolare da te. Aver te e aver tutto ciò che si può sperare di divino nel mondo, o mio giglio o mio angiolo! «Nessuno è la disperazione!» Non disperarti, mia sorellina prediletta! sempre peggio trattata perché di cuore piú sicuro! Tu hai tutto tutto tutto il mio cuore che è largo. Tutto tutto. O mia assente! o mia lontana! come volerei a te, come ti mostrerei subito quanto io sia felice di questa immensa fortuna, di possedere un cuore immutabile! Tu puoi pensare, e l'hai pensato, che amando cosí fedelmente e continuamente, si godono meno vantaggi... All'ultimo ci si accorge che meno politica c'è, piú buoni risultati si ottengono. O mia Maria, che vive da quattro o cinque giorni solo in compagnia d'un «cane» che però è Gulí, avrai per sempre, per una ventina d'anni almeno la compagnia assidua pura fedele intellettuale cordiale infinita d'amore e di rispetto e di riguardi, di Giovannino; e dopo quella ventina l'avrai per sempre. Io ti adoro, o adorabile. Dal nostro patto ho derivato solo questo pensiero. «Se fosse Maria che...?» O no, mio angiolino bello e pallido e tremante e amoroso, con te vivere con te morire! La mamma non mi ha fatto invano, perché mi ha destinato al piú piccolino dei frutti del suo ventre! Io ne sono profondamente riconoscente a lei, al mio padre (al quale assomiglio in modo da sbagliarsi): io so che sono per essere felice.
Io ti amo ora e sempre, Mariú. Io sento che un amore come il tuo d'angiolo e di santa dovrebbe bastare a cento vite. Io ne ho il cuore inebbriato. Ti parlerò di tante cose che domandi, a voce. Capisci che certi argomenti primeggiano a spese d'altri. Ti dico solo che per tutto sei ammirata amata adorata: che me ne verrebbe una disperazione al cuore profondissima ed assoluta (oh! egoista) se non fossi certo del tuo cuoricino d'angiolo. Sí: tu sei la mia suora di carità, e la mia casina sarà il tuo convento. Non ti appaga? Oh! allora sí che avrei ragione di buttare al diavolo la gloriola e i poemi latini e italiani!
Amami come ti amo. Adorata, adorata, adorata! GIOVANNINO
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Maria - Vuole Giovannino non certo per un amore fisico che la sua frigidità non richiede, ma per quell'atmosfera mistico liturgica in cui si trova perfettamente e che diventa un teatro personale, da cui trae luce, fama e vita, la devozione al fratello è in realtà un amore mortifero e interessato; le nozze infelici di Ida, da lei combinate, diventano per Giovanni l’inizio della fine: nonostante la fulgida carriera e i successi letterari, il poeta, ormai alcolizzato, trascorrerà il resto della sua vita vivendo affettivamente una situazione di crescente dolore, isolamento e chiusura nell’ambito soffocante della presenza di Maria. Di altri eventi della vita sentimentale del Pascoli si registra soltanto un tentativo di sposare la cugina Imelde Morri, tristemente naufragato al secondo incontro tra i due, anche qui per l’intervento malevolo e possessivo di Maria.
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