Rompevo i giocattoli. Al momento di riceverli guardavo con sospetto quegli
oggetti che dovevano appartenermi. Non dava certo piacere a voi essere
ricambiati dalla mia diffidenza iniziale anziché dalla gioia. L’emozione di
averli mi preoccupava più che eccitarmi. Mi assicuravo dei miei diritti
chiedendo: è mio? Sì, lo era, ma non aveva il senso che intendevo io,
perché era collegato alle solite necessità e veniva dopo il non fare
chiasso, il non sporcarsi e negli orari stabiliti. Era un mio a povere dosi, un
mio da bambini, mentre invece il giocattolo mi faceva desiderare
un’immensa libertà in cui lo spazio per giocare e il tempo che avrei trascorso
così, erano pure quelli miei, senza confini. è mio?, chiedevo. “Sì, ma non
lo rompere.” Un Natale non me ne fu comprato nessuno, perché avevo
continuato a romperli tutti, quelli dell’anno prima. Vi eravate dispiaciuti
e me l’avevate detto che quell’anno non me ne avreste comprati. Tu mi
rimproveravi lo spreco commesso di fronte a tanti bambini che non ne
avevano nessuno. Oggi ripenso anche ai sacrifici che facevate per
consentirvi quelle spese, anche se non parlavate di problemi di soldi. Più
tardi, e molto, capii i vostri conti striminziti che spremevate per
ricavare di che imbastire un Natale. Ma da bambino non capivo quello che
dicevate. Il giocattolo era mio in un modo che non sapevo dimostrare.
Aveva una sua durata nella quale l’avrei conosciuto, maneggiato,
lasciato. Poi finiva. Avrei dovuto
riporlo in qualche posto, poi forse l’avresti regalato a qualche altro
bambino come facevi con quelli della sorellina. Avrei dovuto fare così, ma
mi restava invece una parte enorme della sua durata che consisteva
nell’attimo della sua fine. Le cose hanno un momento in cui sono
improvvisamente diverse. Un legno appena spaccato, una pietra staccata
da un suo posto forse millenario: per un momento solo hanno un volto
segreto conosciuto solo da chi è testimone dell’improvviso
cambiamento. Per un solo momento sono così, perché dopo un secondo
sono diventati vecchi di cento anni. Accadde così anche all’universo,
dicono, che è invecchiato nei primi secondi della sua formazione più che
nei miliardi di anni successivi. La morte non è uguale per tutte le cose:
ci sono oggetti che cominciano a invecchiare solo dopo aver
attraversato la morte. Un giocattolo invecchia dopo che si è rotto, dopo
che è morto. Le cose hanno un volto segreto che
un bambino può scrutare. Rompevo il giocattolo: non per la insignificante
curiosità di vedere cosa ci fosse dentro, come fosse fatto, ma per
vedere l’attimo in cui era di colpo disfatto, prima di perdersi
nell’indistinto dei suoi pezzi. Dura poco il gioco. Sapevo che durava
quanto l’attimo in cui si sarebbe rotto, o che quell’attimo valeva tutta la sua
durata precedente. Solo allora il gioco era di chi l’aveva avuto in mano, solo
allora era mio del tutto. Solo in morte la vita è interamente di chi l’ha
vissuta, e il possesso è senza donatori, senza rimproveri.
Ti parlo, mamma, che sei così giovane rispetto a me per una sera, di
quest’antico tuo regalo del quale mi sembra di poter completare il
possesso proprio ora. è mia la vita che mi desti? Stasera sì, è mia del
tutto.
Erri De Luca da "Non ora, non qui"
Annamaria