Pensare a se stessi è terrificante, ma è la sola cosa onesta: pensare a me come io sono, alle mie brutte caratteristiche, alle mie belle qualità, e stupirmene. Quale altro concreto inizio, da quale punto di partenza progredire, se non da me stesso?
(Kahlil Gibran)
Pensare a se stessi non è cosa facile. Non perché si è altruisti o generosi, ma perché molto spesso è difficile guardarsi, accettare i propri difetti, lasciarsi ferire da essi, farsi condurre e trasformare, come fanno le larve che diventano farfalle. Pensare a se stessi non fa rumore, ma ci riporta al silenzio del nostro concepimento, al poco che siamo, al piccolo in cui viviamo e respiriamo. Pensare a noi stessi, a volte, lo si crede un insormontabile peccato di egoismo, eppure non abbiamo che la nostra vita, l’unica vita comunque sia impastata, per rimuovere gli ostacoli che sono dentro di noi e cercare d’essere felici insieme agli altri,
come ci ricorda il monologo finale di un film:
“Nessuno fa caso all’acqua che evapora dopo le piogge, quando torna il sole…. poco importa se in quell’acqua ci sono anche le lacrime spese a piangere per amore, per dolore… l’acqua evapora, torna nell’aria e torna nei nostri polmoni respirando il vento che ci investe in viso e le lacrime tornano dentro di noi come le cose che abbiamo perso ma nulla si perde davvero, ogni secondo che passa, ogni luna che sorge non fanno altro che dirci:
“Vivi, vivi e ama quello che sei, comunque tu sia, ovunque tu sia, guarda in alto verso il sole, chiudi gli occhi e non stancarti mai di sognare”.
Gin, la vita è troppo breve per non essere felici insieme…”.
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