Il lungo esodo della popolazione italiana vive la sua prima stagione mentre i fragori della guerra sono ancora in corso, e ha come teatro la città dalmata di Zara, vera e propria enclave italiana in territorio jugoslavo.
Le vicende di Zara rappresentano una significativa eccezione rispetto a quanto accadrà negli anni successivi nei territori dell’Istria e della Venezia Giulia, dal momento che la spinta alla partenza è data dai cinquantaquattro bombardamenti dell’aviazione alleata che tra il 2 novembre 1943 e il 31 ottobre 1944 scaricano quasi ininterrottamente sulla città 584 tonnellate di bombe, causando la distruzione dell’85% delle abitazioni e la morte di circa 2.000 abitanti.
Il peso e i disagi provocati dai bombardamenti, ai quali si aggiunge,il 24 maggio 1944, l’ordine di sfollamento impartito dal comando di piazza tedesco, spingono gli zaratini a intraprendere uno “sfollamento senza ritorno che si
trasforma in esilio”.
Gran parte della popolazione decide così di sfollare inizialmente nelle campagne circostanti, per poi spingersi verso mete più lontane come Trieste, Venezia e le regioni al di là dell’Adriatico.
Chi trova rifugio nei dintorni, lascia la città già nell’ottobre del 1944, e cioè subito dopo l’arrivo dei partigiani di Tito.
A Zara resta così una minima parte di popolazione, che si trova ad essere testimone dell’instaurazione del potere jugoslavo, il cui avvento trascina con sé una lunga scia di violenze ed abusi tali da spingere i pochi zaratini rimasti ad abbandonare la città, che subisce un sensibile ridimensionamento del numero di abitanti passati dai 21.372 del 1940, ai 10.000 del 1944, 7.000 dei quali arrivati nell’ottobre, e cioè subito dopo l’ingresso in città delle formazioni partigiane croate.
Le vicende di Zara si portano dietro un allarmante interrogativo riguardante l’accanimento dei bombardieri alleati nei confronti di un centro di così piccole dimensioni, peraltro privo di rilevanti obiettivi strategici.
Una condotta che sembra sfuggire alle logiche militari e che secondo studi recenti trova una sua collocazione nel quadro più ampio delle iniziative di “diversione strategica” attuate dagli Alleati “per ingannare i tedeschi circa le loro autentiche intenzioni” .
Fin dal periodo bellico, si diffonde così tra la popolazione italiana il sospetto che tale accanimento sia in realtà dovuto a una precisa richiesta del movimento di liberazione jugoslavo che, gonfiando la portata bellica dell’obiettivo, avrebbe sollecitato l’intervento alleato con il chiaro intento di eliminare “l’unico centro urbano completamente italiano sulla costa dalmata” .
Un dubbio che nonostante si sia ben presto tramutato in certezza negli ambienti legati agli esuli giuliano-dalmati, sembra però destinato a rimanere tale, dal momento che, allo stato attuale, non si può contare sul supporto di una documentazione in grado di fornire una precisa ricostruzione storiografica dei passaggi che hanno portato all’elaborazione del processo decisionale alleato.
Testimonianze:
- Zara era tutta distrutta. Noi a ogni esodo andavamo alla riva, tutti. C’era tanta tristezza a veder sta gente con sti pochi bagagli, con queste valige scarse che partiva, e tutti piangevamo ed eravamo tutti tristi. Questo mi ricordo: delle grandi navi con la gente che diceva ciao, ci vediamo. Era triste. Ogni giorno, ogni settimana partivano.
- Niente, niente, non ci siam portati niente, neanche le cose più indispensabili. Non abbiamo avuto il tempo, perché abbiam dovuto correre, perché era l’ultima nave in partenza dal porto di Zara - siccome poi entravano i titini .
Io e la mia famiglia eravamo sull'ultima nave
che partiva da Zara.
Lucilla