Può una statua esser oggetto di culto… e perfino d'amore?
No?
Ed invece sì… leggete e… guardate qua…
La statua del principino Henryk Lubomirski,
ritratto nelle vesti di Eros, capolavoro del Canova,
è, per la sua estrema bellezza,
da secoli un vero oggetto di culto in Europa …
EROS…
LA STATUA DEL CANOVA…
OGGETTO DI… AMORE
“Nel mirarti, ed ammirarti, o vezzoso fanciullo,
che con sì bella leggiadrìa te ne stai,
bellissimo di volto, e di membra,
io sento correre con rapido movimento
spinta dal cuore la mano a careggiare quel tuo vago,
e delicatissimo visetto, modellato dalle Grazie”.
Versi di totale rapimento, quelli della poetessa veneziana Isabella Teotochi Albrizzi che cadde vittima – ma non fu la sola – del fascino abbagliante del principino tredicenne Henryk Lubomirski, immortalato nel bianco e prezioso marmo da Antonio Canova alla fine del Settecento.
La scrittrice, il cui ricercatissimo circolo lagunare era frequentato da letterati e artisti come Pindemonte, Alfieri, Byron, Foscolo e lo stesso Canova, fu sedotta platonicamente da quelle labbra “alquanto umidette”, come ebbe a scrivere, e dal bellissimo corpicciolo e dall'”acerba fanciullezza che traspare in quelle membra composte”.
Una visione di grazia e di squisita mollezza di tocco, con cui Canova concepì la testa piegata dolcemente verso destra, con i capelli acconciati i vezzosi riccioli scapigliati, con i grandi occhi contagiati da un velo di malinconia, e con la chiacchieratissima bocca minuta.
Quello realizzato dal grande scultore veneto non fu un semplice ritratto diplomatico.
Dietro il singolare ritratto, diventato oggetto di culto in tutta Europa, c'era una committenza illustre,
la bella e colta principessa Elzbieta Lubomirski che, vedova,
aveva eletto questo incantevole giovinetto, lontano parente del suo defunto marito, come sue inseparabile pupillo.
L'opera fu ordinata al Canova nell'autunno del 1785 quando la principessa Elzbieta faceva tappa a Roma con il nipote Henryk durante il suo Grand Tour dell'Italia. Fu un viaggio in carrozza come numerosi intellettuali, aristocratici e studiosi facevano da tutta Europa verso l'Italia, a partire dal Seicento. E per i polacchi, in particolare, che nella seconda metà del XVIII secolo partivano in massa per visitare principalmente Roma. Un viaggio che consentiva l'acquisto di gran quantità di opere d'arte per soddisfare i loro gusti personali e per aumentare il prestigio delle loro collezioni e delle loro famiglie.
Henryk Lubomirski
La principessa era legata al principino Henryk, che il 24 maggio 1807 sposerà sua nipote Teresa Czartoriska, da una lontana parentela e da un'autentica infatuazione per la sua insolita bellezza, tanto che le più importanti imprese artistiche da lei promosse furono volte ad eternare le sembianze del fanciullo. Oltre che da Canova, l'efebo polacco fu infatti effigiato nello stesso torno d'anni da Angelica Kauffmann, Elisabeth Vigée-Lebrun e Mary Cosway.
L'eccentrica attenzione della principessa diede adito a discussioni e perplessità, tanto che un contemporaneo ebbe a scrivere: “A Lancut sul soffitto vola come un angelo-nudo; sta in piedi come Ercole; lancia la freccia come Apollo; sospira come Adone; soffia come Zeffiro”.
Canova (Possagno 1.11.1757 – Venezia 13.10.1822)
L'artista ne fece un Tadzio ante litteram, anticipando in arte quella bellezza efebica che Thomas Mann celebrerà nelle pagine di “Morte a Venezia“.
Henryk fu, per Canova, un modello leggiadro quanto ritroso. Per la timidezza del ragazzo, l'artista riuscì a modellare dal vero solo il volto, mentre per il corpo nudo dovette prendere spunto da una statua antica. Per la sua esecuzione l'artista modellò un ritratto, eseguì un modello in gesso e scolpì un marmo preziosissimo.
Fu subito passione per questo inedito “Amore”.
Copie in marmo e gesso vennero commissionate, a caro prezzo, da nobiluomini di diversi paesi. Il Principe Henryk Lubomirski si inserisce in una delicata stagione artistica di Canova, dibattuto tra le teorie classiciste di Winckelmann, la creatività di Raffaello Mengs e una buona dose di invidia e di rivalità che non mancava mai nel complicato, felpato e raffinato ambiente artistico romano.
Quando l'opera rientrò in Polonia nel Castello Lubomirski, fu collocata in una sorta di santuario. Sullo sfondo del marmo era appesa una stoffa cinese con la rappresentazione della Fenice a cui tutti gli uccelli rendono omaggio, proprio come tutti i visitatori del palazzo erano pronti a rendere omaggio alla bellezza di Henryk.
E quella che scatenò in tutta Europa fu una vera e propria erosmania.
Copia romana
Il colonnello inglese John Campbell, visitando nel 1787 lo studio romano di Canova, cui aveva commissionato l'Amore e Psiche, rimase affascinato dalla statua del Lubomirski e ne chiese una copia che fu terminata nel 1789 e pagata 600 zecchini. L'opera giunse a Londra nel 1790 – prima opera di Canova ad arrivare in Inghilterra – e il colonnello lo trasferì nella sua casa diStackpole Court nel Galles, certo com'era che quell'opera avrebbe fatto “sospirare più di qualche ragazza“.
Il successo fu tale chenel 1792, il principe viennese d'Auersperg volle una copia del busto dell'Amorino per le sue collezioni, mentre un'altra replica in marmo dell'Amorino fu commissionata per 550 zecchini per il figlio diciassettenne del banchiere irlandese David La Touche, John. Il ragazzo, in viaggio in Italia, rientrato a Roma, aveva visitato lo studio canoviano e vedendo l'Amorino lo aveva giudicato “exellent”.
L'amorino alato – Canova
Nel 1794, Canova escogitò la scultura dell'Amorino alato,
una replica del Lubomirski ma dotato di grandi ali.
La commissione era arrivata dal principe russo Nikolaj Jussupov per 700 zecchini.
Apollo – Canova
Infine, nel 1797, Canova realizzò per il francese Juliot una replica in marmo con alcune varianti dell'Amorino che Canova chiamò Apollo e che giudicò migliore di tutti gli altri Amorini, pagata 700 zecchini e passò, in seguito, nella proprietà di Sommariva, a Parigi.
LAURA LARCAN – Repubblica.it – 2007 – Impaginazione T. K.
In onore (e per amore) di questa scultura si sono fatte mostre anche in Italia.
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E DI CHI AMA L'ARTE
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