Innanzitutto, almeno per ora, non intendo adeguarmi al recente vezzo di nominare "poete" quelle che per secoli abbiamo chiamato ed onorato come "poetesse" non apparendo, a mio avviso, nel classico termine alcunché di dispregiativo, come alcuni sostengono.
Ma veniamo a conoscere queste poetesse e femministe ante litteram la cui esistenza era, fino a poco fa, perfino negata.
Tuttavia nonostante i tentativi di molti, ed anche di qualche grande poeta, di negare la loro esistenza in quanto pareva impossibile che esistessero all'epoca delle donne che scrivessero poesie e fossero perfino rivendicatrici della parità, i documenti alla fine però hanno smentito questa posizione molto maschilista, ed a mio parere, anche molto sgradevole basata solo su pregiudizi e preconcetti.
Le donne del 300, per loro, potevano essere solo casalinghe o oggetto dei desideri maschili.
Prima delle 4 poetesse marchigiane, Leonora della Genga, Ortensia di Guglielmo, Livia da Chiavello ed Elisabetta Trebbiani storicamente conosciamo solo l'esistenza di Compiuta Donzella considerata la prima poetessa in volgare (italiano).
La nuova pubblicazione, di cui parlerò alla fine, dunque ci consente oggi un approfondimento di alcuni aspetti poco noti della letteratura italiana delle origini ma non solo.
Infatti queste donne non solo scrivevano poesie ma erano anche molto attive negli ambienti culturali marchigiani dell'epoca.
Ma quello che è ancora più sorprendente è la loro moderna visione della parità dei sessi e della parità artistica tra maschi e femmine.
Certo queste poetesse, dato il clima dell'epoca, non potevano che essere un'eccezione, una grande e bella eccezione ma anche la testimonianza della presenza in giro per l'Italia di minoranze culturali attive e controcorrente.
Leggiamo ora 2 sonetti che più di mille parole evidenziano tutto quanto sopra detto.
Iniziamo con un sorprendente inno femminista ante litteram.
TACETE O MASCHI
Leonora Della Genga
Tacete, o maschi, a dir, che la Natura
a far il maschio solamente intenda,
e per formar la femmina non prenda,
se non contra sua voglia alcuna cura.
Qual’ invidia per tal, qual nube oscura
fa, che la mente vostra non comprenda,
com’ella in farle ogni sua forza spenda,
onde la gloria lor la vostra oscura?
Sanno le donne maneggiar le spade,
sanno regger gl’Imperi, e sanno ancora
trovar il cammin dritto in Elicona.
In ogni cosa il valor vostro cade,
uomini, appresso loro. Uomo non fora
mai per torne di man pregio, o corona.
Proseguiamo poi con quest'altro che rivendica invece il diritto delle donne di non dedicarsi solo “all’ago e al fuso, più che al lauro o al mirto“
e cioè di scrivere poesie e cercar la gloria letteraria proprio come i poeti maschi.
VORREI PUR DRIZZAR QUESTE MIE PIUME
Ortensia di Guglielmo
Io vorrei pur drizzar queste mie piume
colà, signor, dove il desio m’invita,
e dopo morte rimanere in vita,
col chiaro di virtute inclito lume.
Ma ‘l volgo inerte che dal rio costume
vinto, ha d’ogni suo ben la via smarrita,
come digna di biasimo ognor m’addita,
ch’ir tenti d’Elicona al sacro fiume,
all’ago, al fuso, più che al lauro o al mirto,
come che qui non sia la gloria mia,
vuol ch’abbia sempre questa mente intesa.
Dimmi tu ormai che per più via dritta via
a Parnaso ten vai, nobile spirito,
dovrò dunque lasciar sì degna impresa?
Chi volesse approfondire l'argomento e leggere altre poesie può farlo in questo recente libro:
"Tacete o maschi. Le poetesse marchigiane del Trecento" (64 pagine € 18,00) della casa editrice Argolibri.
Tony Kospan
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